Belisario Vinta

Il film di Pasquale Festa Campanile dal titolo Una vergine per il principe, interpretato da Vittorio Gassman, Virna Lisi, Tino Buazzelli ed altri attori di grido, prende lo spunto da un episodio bizzarro e scabroso realmente accaduto alla fine del Cinquecento. Si riferisce alla prova di idoneità matrimoniale del 1583 a cui dovette sottoporsi, alla presenza di testimoni, Vincenzo Gonzaga, figlio di Guglielmo duca di Mantova. Vincenzo Gonzaga, ottenuto l’annullamento del precedente matrimonio con Margherita Farnese, ambiva sposare, per motivi dinastici più che per amore, Eleonora di Toledo, figlia del granduca di Toscana Francesco I dei Medici. Come si vede, lo spunto, piuttosto scabroso, è cercato con il lanternino tra le cronache rinascimentali così ghiotte di argomenti piccanti sul conto dei divi del tempo (oggi si parla degli scandali dei divi cinematografici, allora si parlava di quelli dei principi).

Scena di Una vergine per il principe (1966, 1h 32m)

Nel film compare anche il ministro mediceo Belisario Vinta, di famiglia volterrana, artefice, testimone principale e relatore di questa prova matrimoniale. I Vinta furono una nobile famiglia volterrana il cui nome compare nelle cronache locali fin dal Duecento. Il loro stemma consisteva in uno scudo rosso con sbarra d’oro e con tre pine d’oro.

Il padre di Belisario, Francesco Vinta, aveva compiuto gli studi legali ed era entrato negli uffici di Cosimo I dei Medici dimostrando particolare tendenza all’intrigo diplomatico. Da Milano aveva, infatti, organizzato la vendetta dei Medici contro Lorenzino de’ Medici, uccisore del duca Alessandro. Lorenzino fu appunto ucciso a Venezia, dove credeva di essere sicuro, da due sicari volterrani, un Biboni (Francesco da Bibbona o Bibboni) e un certo Bebo (Gabriello Ricci), istruiti ed assoldati dal Vinta. Lo stesso Vinta era noto per aver scoperto la congiura ordita dal duca Orazio Farnese contro don Ferdinando Gonzaga. Egli fu anche amante dell’arte e della poesia in latino ed in volgare. Compose dei Carmina latina.

La madre di Belisario, Elisabetta Incontri, fu una donna colta ed intelligente. Belisario, nato il 13 ottobre 1542, fu l’ultimo di quattro figli. I suoi genitori furono i suoi primi maestri. Poi fu inviato alla scuola di Dionisio Lippi in Firenze che lo giudicò “un adolescente dottissimo”.

Il giovane Vinta, pur non disprezzando la poesia, amava gli studi giuridici, la “scienza di stato”, per dirla alla Machiavelli. Nel 1561 riuscì a frequentare i corsi di legge a Pisa dove nel 1566 si laureò in utroque iure dopo un esame di due ore, dopo aver risposto a tutte le questioni ed obiezioni rivoltegli dal Collegio Accademico. Tornato a Firenze passò gli anni 1566 e 1567 frequentando i salotti delle migliori famiglie della città. Tra i suoi amici troviamo i poeti Giuseppe Nozzolini, Giovanni Soranzo, Guasparri Torelli, il Borghini, Scipione Ammirato, Aldo Manuzio (di quasi certa origine volterrana anche lui), il Bulgarini, il Borghesi, Celso Malespini, Torquato Tasso, il Galilei. Resi alcuni servigi a Cosimo I, fu da lui nominato Cavaliere di Santo Stefano. Per la sua preparazione diplomatica si pose sotto la guida di Bartolomeo Concini che lo spedì a più riprese in Germania con delicati incarichi.

Nel 1577 sposò Alessandra Bartolini, nipote del Concini (per amore o per calcolo?) e da lei ebbe due figlie, Tommasa ed Elisabetta. Si può dire che dal 1574 la sua vita fu interamente dedicata ai problemi politici del Granducato. Ritiratosi a vita privata il Concini egli, gradatamente, incominciò ad emergere tra i diplomatici medicei. Dopo brillanti successi in ripetute missioni a Roma, dal 1591 iniziò la sua azione di ministro onnipotente. Trattò con il re di Francia Enrico IV con eccezionale maestria. Aveva in ogni corte europea e nelle principali città d’Italia qualche confidente od agente segreto. I suoi modelli sono i diplomatici veneziani. Anticipa i metodi ed i modi della grande diplomazia inglese. Riusciva ad avere i documenti più interessanti di cui si serviva senza scrupoli. Divenne il ministro più informato che esistesse in Italia. Per due volte fu gran maestro e segretario dei Cavalieri di Santo Stefano.

L’AMICIZIA COL GALILEI

Fu amico intimo, profondamente ricambiato, del Galilei. C’è un carteggio (Opere Galilei, Firenze, 1847, prima edizione completa, volumi VI-VIII e suppl.) che rivela come, fin dalle prime pubblicazioni, egli seppe riconoscere la grandezza dell’amico. Cercò sempre di aiutarlo e di diffonderne la fama con il prestigio e la potenza che gli derivavano dal posto che occupava. Fece conoscere in tutte le corti il famoso cannocchiale e le scoperte galileiane. Lo consigliò anche sulla proposta di intitolare i pianeti scoperti Medicea Sidera. «Galileo, nelle tue occorrenze ed affari, tratta meco e non con altri», gli scriveva (Opere Galilei cit., pp. 87 e seg.).

Lo aiutò a ritornare in Toscana perché il governo di Venezia, dove si trovava il grande scienziato, si appassionava molto per le scoperte scientifiche pratiche ma non per i princìpi filosofici e le teorie generali che, invece, premevano assai al fiorentino. Nel 1608 il Vinta scriveva al grande amico per conto del granduca Ferdinando I che «essendo Galileo il primo e più pregiato matematico della Cristianità, il Granduca e noi desideriamo che questa estate venga qui» (p. 92 della Vita di Galileo del Banfi).

Il nostro ministro volterrano pensava ai problemi che stavano per sorgere con la fondazione del grande porto di Livorno. Voleva fondare quello che noi oggi chiameremmo una zona industriale, un grande arsenale. Inoltre, secondo il progetto del Dudley e sotto la guida del Thornton, si tentava, da parte del governo toscano, la colonizzazione del Brasile. Il Granducato di Toscana sembrava offrisse libero campo alla genialità scientifica ed alla operosità tecnica del Galilei. Con le lettere della Pasqua e del 7 maggio del 1610 al Vinta, il Galilei gettava le basi per il suo ritorno in Toscana. Il 13 marzo dello stesso anno aveva spedito al volterrano il primo esemplare del Sidereus Nuncius, “sciolto e ancor bagnato d’inchiostro” ed anche le prime notizie sull’anello di Saturno.

Vinta sognava ardentemente il ritorno del grande scienziato in Toscana ed il Galilei contava sull’appoggio politico del Granducato nello scontro, che ormai andava profilandosi, con la curia romana.

Non a caso le disgrazie di Galilei incominciarono dopo la morte del Vinta. Il nostro Belisario pensava di fare di Livorno una grande città cosmopolita anche se, forse, temeva che il dinamismo e lo slancio appassionato di pochi rari individui non sarebbero riusciti a scuotere una massa amorfa quale quella della Toscana contemporanea, dove i ceti colti, ecclesiastici e nobili, erano spesso lontani dai bisogni reali ed i ceti medi conservatori, costituiti da professionisti dalla cultura più umanistica che tecnica, erano apatici e lontanissimi da una visione più moderna della società. Vinta sul fronte politico e Galileo sul fronte scientifico erano delle eccezioni nella Toscana, direi nell’Italia di allora, spesso incompresi o condannati o vigilati dalle forze dominanti.

Del resto questa è una vecchia storia che si ripete in ogni tempo. Le classi dominanti, in genere, guardano sempre con sospetto chi pensa. Il pensiero è l’unica cosa che esse non possono controllare ancora.

LA BOCCACCESCA VICENDA

Galilei nel 1604 era stato a Mantova per insegnare al duca Vincenzo Gonzaga l’uso del compasso geometrico militare. Si trattava di quello stesso Vincenzo che il Vinta aveva dovuto incontrare in circostanze così insolite e scabrose nel 1583. Come abbiamo accennato più sopra, egli aveva dovuto trattare il matrimonio e la precedente prova di virilità di cui si parla nel film Una vergine per il principe. Vincenzo Gonzaga, dopo aver ripudiato per difetti fisici la prima moglie e dopo aver fatto sciogliere il matrimonio con quella da papa Gregorio XIII, entrò in trattative con il granduca di Toscana per averne la figlia Eleonora.

I parenti della prima moglie ripudiata avevano, intanto, sparso la voce che Vincenzo era impotente ed allora Bianca Capello, la famosa avventuriera veneziana che era riuscita a sposare il granduca Francesco dei Medici e che odiava i Gonzaga, consigliò al marito di non concedere la figlia se prima il duca di Mantova non avesse dato prova della sua virilità con una fanciulla vergine. Era una situazione mandragolesca. Il Gonzaga prima si ribellò, poi, costretto dalla necessità, mandò un suo confidente in Toscana perché gli scegliesse il soggetto. Non starò a raccontare tutte le varie peripezie ed i contrasti. Finalmente si stabilì che Belisario Vinta, che aveva diretto anche questo affare, prendesse la fanciulla scelta dall’inviato dei Gonzaga e si recasse a Venezia dove si sarebbe fatto il famoso esperimento che lo stesso Vinta avrebbe dovuto presenziare e certificare.

Sembrerebbe una novella boccaccesca; è invece realtà storica che papa e cardinali, direttamente od indirettamente, approvarono e che vedeva coinvolte due delle più grandi corti principesche d’Europa. Il Vinta fu l’attore più imbarazzato di questa vicenda. Egli così orgoglioso, intelligente, sdegnoso, fu costretto ad occuparsi di questo grottesco affare più per mire di sviluppi diplomatici che per cortigianeria. D’altra parte la Chiesa approvava, purché l’esperimento non si facesse di venerdì.

Il duca d’Este aveva scelto, prima di lui, questo ruolo di testimone. Ma il Vinta sentiva il ridicolo della situazione. Durante il viaggio per Venezia cercò di non essere riconosciuto. Nella città lagunare rimase sempre chiuso in casa. Usciva solo di notte per portare la corrispondenza al procaccia. Le lettere al granduca sono piene di lagnanze perché “contro la sua natura ha dovuto gettare ogni modestia e vergogna”. Ad un certo punto vorrebbe piantar tutto e tornare a Firenze. Finalmente tutto finì ed il Vinta fu costretto alle constatazioni comandate da Bianca Capello che aveva inventato questo scandalo.

Il matrimonio fu celebrato in Mantova nel 1584. Dal principe Gonzaga il Vinta ebbe 100 ducati “per la diligente et amorevole opera usata nel trattare et concludere il suo matrimonio”.

La grandezza del Vinta non consiste, certamente, in questa storia a cui abbiamo accennato brevemente solo per un sapore di attualità. I documenti relativi sono stati pubblicati dall’editore Canesi nel volume Una vergine per il principe.

Il nostro Belisario fu veramente un grande ministro ed un grande diplomatico. Si comportò da astutissima volpe anche nel far sposare, con i suoi maneggi, il re di Francia Enrico IV con Maria dei Medici, figlia del granduca Francesco I. Il Vinta accompagnò fino a Marsiglia la sposa ed intessé relazioni e conoscenze che seppe, più tardi, convenientemente sfruttare.

La sua mano si rivela anche nella faccenda della occupazione del forte di If, caro più tardi ai lettori delle avventure del Conte di Montecristo. La sua posizione politica era costantemente in contrasto con la Spagna. Per opera sua l’unione tra Toscana e Francia divenne sempre più stretta. Il Vinta tentò continuamente di influenzare in senso antispagnolo il re di Francia Enrico IV. Egli sosteneva che gli Spagnoli volevano che «chi è loro servitore ed amico sia anche schiavo». Tale azione diplomatica era particolarmente difficile nell’ambiente della corte francese, piena di gente gelosa e puntigliosa e, spesso, prevenuta contro gli Italiani, dati i precedenti intrighi di Caterina dei Medici. Non sempre questo estenuante e paziente lavoro diplomatico dette i frutti sperati, anche per la leggerezza di Maria dei Medici.

Morto il granduca Ferdinando I nel 1609, egli continuò la sua opera sotto Cosimo II. Ma ormai la sua fibra era logorata. Il 14 ottobre 1613 egli moriva e fu sepolto in Santa Croce.

L’amico Galilei, profondamente colpito da questa perdita, scriveva ad Andrea Cioli di aver appresa la «dolorosissima nuova della morte del Senatore Cav. Vinta sentita da me con quel travaglio che Ella può immaginare maggiore, havendo io perso un tanto padrone e protettore» (Lettera del 15 ottobre 1619; Opere Galilei, vol. XI, p. 584). Moltissimi letterati ed amici scrissero su di lui in occasione della sua morte.

La famiglia Vinta doveva poi estinguersi, per mancanza di eredi maschi, verso la fine del Seicento.

© Pro Volterra, SILVANO BERTINI
Belisario Vinta, in “Volterra”, a. gennaio 1966; in “Scritti Volterrani”, a cura di Gianna, Enrico e Fabrizio Rosticci, Pisa, Pacini Editore, 2004.

Approfondimenti

Tra gli anni Sessanta e Settanta del Cinquecento Praga, città bella e cosmopolita, ospitava una numerosa comunità italiana della quale facevano parte il vescovo di Volterra, Lodovico Antinori, e un giovane volterrano non ancora trentenne, Belisario Vinta, futuro ministro dei granduchi Ferdinando I e Cosimo II. Il Vinta, sebbene si dichiarasse «pochissimo atto a rappresentar feste», l’8 marzo 1570, descrisse in una lettera diretta a sua altezza le spettacolari giostre promosse dall’imperatore Massimiliano II d’Asburgo che soggiornava spesso e volentieri in questa città.

> Scopri, cosa scrisse Belisario Vinta sui tornei dell’Imperatore


Il suo stemma, uno scudo rosso dotato in basso da una sbarra d’oro con tre pine d’oro e in alto dalla croce rossa dei cavalieri di Santo Stefano, è raffigurato al centro della didascalia di un affresco a lunetta dipinto da Bernardino Poccetti nel Chiostro Grande della SS. Annunziata di Firenze. La ragione di questa presenza è dovuta al fatto che i Padri del convento, con gratitudine, avevano concesso alle principali famiglie fiorentine l’apposizione dell’insegna di casata per ricordare il loro finanziamento dell’intero ciclo di pitture nelle lunette.

> Scopri, Lo stemma dei Vinta


Per i rapporti del Vinta con il Galilei vedasi:
Garin, Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, Bari, Laterza, 1965.
Galilei, Saggiatore, Milano, Feltrinelli, p. XVIII e p. 84.
Alessandrini, Galileo Galilei linceo, in “Studi Cattolici”, n. 52-53, luglio-agosto 1965.
Sui Vinta vedansi:
Vinta, Carmina quinque Hetruscorum poetarum, Florentiae, 1592.
Fusai, Belisario Vinta, Firenze, 1905.
Per una visione d’insieme del periodo, dal punto di vista intellettuale, vedasi:
Bulferetti, Galileo e la società del suo tempo, in Fortuna di Galilei, Bari, Laterza, 1964

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