Italiano Macelloni

Il 6 settembre 2009 al Giardinetto di Montecatini fu ricordata la figura di Don Italiano Macelloni. Un prete cosiddetto “scomodo” che prima di esercitare il suo apostolato a Volterra nella Parrocchia di San Francesco, fino alla prima metà degli anni Cinquanta era stato parroco della locale Chiesa di San Biagio.

All’incontro portarono il loro contributo di testimoni del tempo, Ivo Gabellieri, già sindaco di Volterra, Renzo Rossi, già sindaco di Montecatini e Don Luciano Ticciati, parroco di Saline, in gioventù stretto collaboratore di Don Italiano.

Fu indubbiamente una bella manifestazione, e mi piace qui sottolineare che vi partecipò un gran numero di persone, desiderose di omaggiare con la loro presenza la memoria di un personaggio di rara umanità, di un religioso di grande spessore che, sia in vita che dopo, mai è stato oggetto di quella considerazione che avrebbe meritato, quantomeno al pari di altri.

Un personaggio dalle indubbie qualità (rare allora ed oggi ancor di più) che con gratitudine anche Volterra, la Volterra umile, la sua Volterra dovrebbe degnamente ricordare e far conoscere alle giovani generazioni, sempre più bisognose di esempi… positivi.

Vero è che gli umili non hanno mai avuto “voce in capitolo”; e solitamente, anche all’interno di una piccola comunità, promuovere e tener viva la memoria collettiva risulta essere cosa di altri. Così va… il mondo.

Per un breve ricordo di Don Italiano, mi avvalgo qui di un brano tratto da una mia pubblicazione di qualche anno fa. Una testimonianza diretta di chi – al contrario del sottoscritto, non proprio vicino a quell’ambiente – ebbe modo di frequentarlo e di condividere con lui esperienze invise assai ai benpensanti di allora. Una tipologia di uomini mai a rischio di estinzione, che, sospinti da quella «ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto», con sprezzo additavano come “catto-comunisti” quei cattolici democratici riuniti – come vedremo – nel “Gruppo Esperienze”.

“[…] Tra coloro che si davano convegno al numero 43 di Via Matteotti (abitazione di Silvano Bertini, nonché sede del Gruppo Esperienze), risaltava senz’altro la presenza di un sacerdote, Don Italiano Macelloni: un uomo di grandi valori, il cui entusiasmo, la dedizione, il generoso impegno sociale, non trovarono però adeguato sostegno, per usare un eufemismo, da parte delle autorità ecclesiali e di certi notabili politici locali.

Un personaggio scomodo quindi, minimizzato in vita e poi troppo in fretta dimenticato, che credo meriti di essere, sia pure per inciso, richiamato alla memoria. Cercherò di farlo avvalendomi dei ricordi sempre vivi di Ivo Gabellieri che, avendo avuto l’opportunità di frequentarlo e conoscerlo da vicino, ne rievoca volentieri la figura (da Gianna Bertini, Enrico e Fabrizio Rosticci, “Silvano Bertini e Volterra. Un connubio imprescindibile tra l’uomo e la ‘sua’ città”, Pisa, ETS, 2009):

«Don Italiano diventa parroco di San Francesco dopo l’esperienza nella Parrocchia di Montecatini V.C. [siamo nel 1956; N.d.R.]. Il salto è grande, a San Francesco trova l’eredità dei Salesiani, una presenza significativa con luci ed ombre. Subito Don Italiano rivolge la sua attenzione ai giovani, lo fa attraverso il Centro Sportivo Italiano, con il motto “Educare attraverso lo sport”. L’attività sportiva è vista come momento di divertimento ma anche come occasione di aggregazione, di confronto e di crescita nel rispetto reciproco. Tra i suoi collaboratori sono da ricordare: il Commendator Dei, Enzo Fivizzoli, Mauro Baragatti, Sergio Mancini, Benito Mancini, Rolando Barberini, Ivo Gabellieri ed altri.

In questi anni Don Italiano continua, inoltre, ad avere uno stretto rapporto con i giovani montecatinesi Renzo Rossi, Otello Poli, Fosco Lazzerini. Di tanto in tanto li incontra e con essi coltiva un’amicizia cara a lui ed agli altri.

Don Italiano vuol far crescere la Parrocchia di S. Francesco e sogna di poter creare in quella sede un centro di aggregazione per la città di Volterra, un luogo dove i giovani possano incontrarsi, studiare, giocare, formarsi attraverso il confronto di varie esperienze: il Centro sportivo, le ACLI, gli Scout, l’Azione Cattolica. Progetta la ristrutturazione dei locali della parrocchia per costruire “la città dei ragazzi”.

Purtroppo Don Italiano è visto nel mondo della politica (dalla DC) come un prete troppo aperto. È in questo periodo che nasce una controversia con l’allora ministro Togni il quale preferisce il rifacimento dei campanili per compiacere i parroci, piuttosto che la costruzione della città dei ragazzi di S. Francesco.

Don Italiano incassa amaramente il no della politica, ma non si arrende, anzi accentua ancora di più la sua attenzione sia verso il movimento delle ACLI sia verso quei giovani intellettuali che all’interno della DC portano avanti una politica di trasparenza e di onestà nei confronti dei padroni delle tessere. Da qui la vicinanza con Enzo Fivizzoli, con il prof. Giuliano Bocci, con il prof. Luciano Bruschi, con il maestro Aldo Barsotti, con il prof. Silvano Bertini ed altri con i quali promuove dibattiti e momenti di riflessione sui problemi di attualità tra i più scottanti: il rapporto tra fede e politica, la teologia della liberazione, le opere di Don Milani e Don Mazzolari, il Concilio Vaticano II, il pensiero di Padre Balducci.

In questi anni le ACLI di San Francesco diventano non solo il punto di aggregazione dei lavoratori cristiani della parrocchia ma riescono a coordinare anche le altre sezioni comunali e zonali di Volterra.

Grazie alla presenza e all’impegno di Don Italiano le ACLI zonali costituiscono un movimento molto attivo e diventano gli interlocutori più significativi per le Istituzioni presenti in città sia sui problemi cittadini (alabastro, scuola, fabbriche, sanità, cultura) sia sui problemi generali (guerra in Vietnam, conflitto tra palestinesi ed israeliani, obiezione di coscienza, encicliche sociali). Non solo, è da questa esperienza che parte un’opera di rinnovamento delle ACLI provinciali (allora dirette da Tellini e Carmignani) che porta avanti il concetto di autonomia delle ACLI dai partiti e mira a porre fine al collateralismo alla DC in accordo con l’allora presidente nazionale Emilio Gabaglio.

In seguito a questo attivismo, le ACLI zonali di Volterra crescono, entrano a far parte del Consiglio provinciale e hanno addirittura un rappresentante nella Presidenza Regionale delle ACLI.

Ma l’impegno di Don Italiano non è rilevante solo per l’associazionismo cattolico.

Per molti anni è un insegnante di religione nella scuola e fa delle sue lezioni un momento di discussione e confronto importante per i giovani volterrani. Come tiene a precisare lui stesso la religione a scuola non va intesa come catechismo – “il catechismo si fa in parrocchia” diceva –, a scuola l’insegnamento della religione non può limitarsi all’insegnamento della religione cattolica ma deve essere occasione di crescita e dialogo.

All’apertura del suo approccio corrisponde anche l’apertura della sua casa; la canonica di Don Italiano è “una casa aperta” a tutti ed a tutte le ore. La sorella Graziella, il cognato Orazio, la mamma Bonfiglia erano sempre pronti all’accoglienza, a collaborare con Don Italiano e le associazioni presenti a San Francesco.

In quegli anni, Don Italiano è attratto dall’esperienza dei preti operai ed è un suo cruccio non poterla fare lui stesso. Ci prova per un breve periodo, lavorando in una conceria a Santa Croce, ma l’esperimento viene interrotto presto, non sappiamo per quali motivi, se personali o dovuti a prescrizioni dei superiori.

Per Don Italiano anche la devozione è un’occasione di condivisione. Devotissimo della Madonna di San Sebastiano, fa fare delle icone incise su tavoletta e le distribuisce agli amici e ai parrocchiani. L’idea nasce da un’icona, a lui tanto cara, avuta in dono durante la sua visita in Russia.

Don Italiano diventa Vicario Generale, ma non tiene alle cariche; dice sempre: “dobbiamo operare non per avere una Chiesa dei riti ma per una Chiesa militante”. Nella sua libreria, viva ed attenta, si trova tutto sul Concilio Vaticano II, le opere di Bernanos, di Maritaine, dei Vescovi Tedeschi e di Camillo Torres, gli scritti della Teologia delle Liberazione, i volumi di Don Milani, i libri di Don Mazzolari, la rivista di Testimonianze di Padre Ernesto Balducci con il quale ha molti punti di vista in comune.

Don Italiano segue con attenzione e partecipazione le conferenze e le attività del gruppo “Testimonianze” e della “Torre Nuova”. Inoltre, osserva con interesse le esperienze politiche di La Pira, di Pistelli, del giudice Meucci, di Gozzini, di La Valle, di Elia Lazzari perché le giudica testimonianze di vita attiva. Ma guarda con pari interesse anche le esperienze della Comunità dell’Isolotto e del Catechismo olandese, non per condividerle interamente ma per analizzarle, per criticarle e per riconoscerne alcune verità. Un grande rispetto per le idee degli altri contraddistingue sempre il suo operato.

Don Italiano ha un’attenzione particolare verso le Encicliche sociali: le studia, le diffonde, le discute richiamando la presenza di persone qualificate (Padre Ernesto Balducci, Monsignor Ablondi vescovo di Livorno ed altri). L’occasione di un confronto con tali personalità a Volterra è per lui un momento di gioia e di riflessione ma anche di sofferenza, poiché dà vita a continui richiami dei vescovi che mal tollerano la presenza di Balducci.

Guidato dalle sue convinzioni piuttosto che dall’obbedienza alle gerarchie, Don Italiano spesso è considerato un prete scomodo.

Don Italiano non è stato un prete operaio come aveva più volte desiderato, perché le circostanze non glielo hanno consentito, ma sicuramente è stato un prete operatore di bene, così come Papa Giovanni XXIII voleva che fossero i cristiani.

Lo è stato per i suoi parrocchiani, per gli aclisti volterrani, per i cattolici impegnati in politica, per gli studenti che ha incontrato nella scuola.

La comunità volterrana deve essere grata a Don Italiano per la sua opera».

Mi sembrava doverosa questa breve parentesi su un personaggio che, pur avendomi tenuto a battesimo quando nei primi anni Cinquanta era parroco a Montecatini, devo ammettere, con vero rincrescimento, di non aver conosciuto a fondo per quelle qualità che, forse per i motivi sopra esposti, non avevo percepito o meglio non mi erano mai pervenute nella loro pienezza”. (F.R.)

Un nome, il suo, da inserire a mio parere nel novero di quei personaggi (volterrani e, se vogliamo, anche montecatinesi) che per il loro operato, il loro prodigarsi, il loro comportamento,  meriterebbero non dico di essere celebrati – onore riservato agli “eccelsi”, e onestamente non ne vedo – ma quantomeno ricordati e soprattutto (loro sì) portati ad esempio. Un uomo mosso da “impegno disinteressato” che – cosa assai rara in qualsiasi ambito, e quindi anche nel suo – umilmente, schivo di lodi e di onori, senza volersi atteggiare a “protettore dei deboli”, fu come pochi interprete delle istanze sociali provenienti dal basso.

E, mantenendosi – al contrario di qualche “leaderino altezzoso” al tempo già in auge – distante dal ruolo di “trascinatore [di folle]” (assai consono a quel popolo a suo modo esasperato, solitamente incline a confidare ciecamente in qualche “piccolo grande uomo” abile nell’arte incantatoria), così tanto seppe dedicarsi e dare agli altri; soprattutto a quella comunità volterrana, che – come sostiene Ivo Gabellieri – dovrebbe “essere grata a Don Italiano per la sua opera”.

E chissà che, magari silenziosamente, non lo sia davvero!

Mai disperare: chi può dire che prima o poi anche a lui – pur senza patrocinatori autorevoli – non possa essere dedicata una via o una piazza cittadina?

© Fabrizio Rosticci, FABRIZIO ROSTICCI
Don Italiano Macelloni, in “La Spalletta”, a. 24 aprile 2014