Le antiche terre dei Lagoni

Storici e naturalisti, da Ristoro d’Arezzo a Giovanni Targioni Tozzetti, hanno descritto le antiche zone lagoniche come terre aride, pericolose, spoglie di vegetazione e deserte, cosparse di putizze bollenti e di soffioncelli, che si manifestavano “cum strepitu ingenti ac fragore horrendo”.1

E’ quindi naturale che l’aspetto selvaggio e fantastico del paesaggio suscitasse nella fantasia popolare paurose leggende di diavoli e streghe, di terremoti e sprofondamenti e richiamasse negli animi la tetra visione delle bolgie d’inferno.

Trova anche giustificazione il tremendo anatema: “Dio ti mandi un soffione nel tuo podere!”, con cui la gente dei nostri luoghi, un tempo dedita esclusivamente alla pastorizia e all’agricoltura, soleva lanciare la peggiore delle maledizioni contro i suoi nemici.

LA LEGGENDA

Molte notizie, tramandateci attraverso il tempo, sono frutto di pura immaginazione, come per esempio la comparsa del lago sulfureo, tuttora esistente nello stabilimento di Lago Boracifero, che sarebbe avvenuta verso iI 1300. E’ curiosa la leggenda che si lega all’origine di questo lago. Una volta, nei tempi dei tempi, alcuni contadini avrebbero arato con i loro buoi, in giorno festivo, i campi oggi sommersi dalle acque del lago. Ma l’empia opera sarebbe stata troncata dallo sgorgare delle acque bollenti e dal vacillare del terreno. E ancora si sentirebbero nelle notti buie muggire in fondo al lago i buoi e imprecare i bifolchi costretti ad arare sino alla consumazione dei giorni lo sterile letto del lago.2

Secondo Ristoro d’Arezzo il lago si sarebbe invece formato a causa di un violentissimo terremoto, seguito da una disastrosa eruzione, che gettò spavento e costernazione in una vasta zona limitrofa.3

Ma è ormai acquisito che il lago esisteva, con quasi assoluta certezza nell’epoca romana, secondo quanto asseriscono i più dotti interpreti della “Tabula Itineraria Peutingeriana”.

LA SPELONCA

Un fatto singolare è riferito dal geografo bolognese F. Leandro Alberti (1479-1552):

“Discosto da Leccia tre miglia vedesi Monterotondo de’ Senesi. In questo paese ritrovasi in una selva una spelonca molto profonda, dalla quale a certe stagioni dell’anno salisce con tanto impeto il vento che rompe e spezza i circostanti rami e tronconi degli alberi e sovente gli sveglie”.4

E’ verosimile che il “vento” possa identificarsi col gas dei soffioni o riferirsi a violentissime esplosioni intermittenti di vapore; ma, ch’io sappia, la notizia non troverebbe conferma nella vasta bibliografia che tratta delle zone dei soffioni.

FIAMME FRA I LAGONI

Altra notizia, che non sembra del tutto campata in aria, è quella del manifestarsi di fuochi fra i lagoni, cui del resto accenna anche il celebre Paolo Mascagni:

“Sono stato assicurato da alcuni guardiani di bestie, che essendosi trovati di notte a quelli di Travale, i medesimi hanno veduto sorgere delle fiammelle, e soprattutto in quei luoghi in cui fanno più strepito”5.

In realtà anche nella fabbrica di Larderello, per quanto in epoca e in condizioni ben diverse, fu notata più volte, di notte, la fuoruscita di fiammelle o scintille dalla bocca del foro Venella, costruito nel 1859. Di questo fenomeno fu data anche una spiegazione attendibile, secondo la quale le scintille sarebbero state causate da minutissime particelle di ferro trascinate dalla violenza del vapore e che si incendiavano al contatto con l’aria.6

I LAGONI, LE MOFETE E LE BESTIE

La permanenza fra i lagoni non era scevra di pericoli spesso mortali; il terreno tormentato dal secolare lavorio del vapore e dei gas, era fragile, franoso e corroso dall’acqua bollente; e tanto caldo da scottare i piedi.

Numerosi furono nel passato i luttuosi incidenti occorsi a viandanti malpratici o imprudenti e allo stesso personale addetto ai lavori, la cui memoria è tuttora viva fra i più anziani. Si racconta nelle vecchie cronache che gli uccelli che volavano sopra i lagoni cadevano subito a terra fulminati dal vapore e dalle esalazioni gassose e che in essi vivessero tranquille le ranocchìe:7 ma è evidente che trattasì di pura immaginazione.

Notizie interessanti sull’argomento sono state riportate da Giovanni Targioni Tozzettl, insigne studioso delle nostre zone, il quale scrive che le esalazioni dei soffioni “non nuocciono punto alle bestie, perché d’inverno, particolarmente in tempo di neve, vi se ne ricoverano molte per godere il calore dell’aria, non solo bestie domestiche, ma anche delle selvatiche come lepri e diversi uccelli, laonde i cacciatori ci fanno una specie di “balzello”8. Ma non sempre questi luoghi erano così accoglienti per i poveri animali, in quanto il girovagare fra i lagoni poteva rappresentare sovente un viaggio senza ritorno:

“per quanto mi riferiscono i paesani, se vi si getta dentro un cane legato, o se per disgrazia vi cade dentro una pacora, vi muore subito, ed in brevissimo tempo resta consumata tutta la carne e ritornano in su le ossa spolpate”.9

Anche le “mofete” erano infide e pericolose, specie per le bestie. Costituivano manifestazioni naturali di varia estensione, ove il terreno si presentava fragile, cedevole e caldo; e, a differenza dei lagoni, molto secco e senza fuoruscita di vapore. Generalmente emanavano notevoli quantità di gas letali. come acido carbonico e acido solfidrico:

“tramandano un fetore orribile che si sente da lontano e fa morte chiunque vi sia ad una certa distanza: Mi fù narrato che pochi anni avanti vi passò un porcaro, con trenta porci che guidava: si dette la disgrazia che scoppiò la “putizza” ed instantaneamente morirono ventinove porci, ed il porcaro cadde in terra, ma con gran presenza di spirito salvò la vita col rotolare che fece per il declive luogo”.10

LE ACQUE TERMALI

Numerosi e assai frequentati furono, sin da epoca lontana, gli stabilimenti termali della zona boracifera, famosi per le proprietà terapeutiche delle loro acque, come Bagno a Morbo, La Perla, San Michele e altre.

Di queste terme, per non parlare che di quelle più prossime all’attuale centro di Larderello, la più rinomata è senza dubbio quella di Bagno a Morbo che risale all’epoca romana. Tutto il complesso delle terme era circondato da un castello munito di mura merlate fatto costruire dalla Repubblica fiorentina verso iI 138811, affinchè i “bagnaioli” potessero trascorrervi il periodo di cura in tutta tranquillità e senza pericolo di aggressioni:

“E poiché il luogo è assai boscoso e vicino si trovano alcuni castelli appartenenti a nobili i quali vivono di rapina, come pure, di ricoveri di ladroni e uomini pessimi, ì quali catturerebbero spesso i cittadini, proponendogli di lasciarli dietro riscatto in danaro, il luogo stesso è ridotto in sicurezza con opportune fortificazioni. Mi ricordo ai miei tempi di un tale di Castelfiorentino, il quale si chiamava Mazeta e che affetto da podagra, si recò a quei bagni e venne catturato da vicini predoni e che credeva di potersì riscattare mediante quattromila fiorini, ed avendo essi rifiutato pretendendone ottomila, egli preferì la morte perché i figli non fossero ridotti in povertà e sbatté tanto il suo capo contro il muro finché morì”.12

Era fama che le acque del Bagni a Morbo fossero addirittura miracolose contro la sterilità delle donne e, a questo proposito Giuseppe Giuli, dottore in filosofia e medicina, riporta il seguente curioso episodio: “et perciò alcune donne l’hanno usato con felice successo di ottenere figli, et in particolare Giovanni di Bartolommeo Diotisalvi, cittadino fiorentino”, il quale essendo già avanti con gli anni e desiderando tanto avere dei figli, mandò la moglie, nel 1534, al Bagno al Morbo, per consiglio di M. Piero Lisci, medico a Volterra. Terminata la cura e tornatasene a casa sua piena di rosee speranze, la donna regalò al suo Giovanni una dozzina di figlioli di seguito; per cui il povero Diotisalvi si lamentava spesso amaramente con gli amici, dicendo: “lo ho mandato mia moglie al bagno per li doglie!”.13

Queste acque godevano, anche ne secoli scorsi, di giusta fama; fra gli ospiti illustri, “il Magnifico Lorenzo de Medici e Mad. Clarice Orsini sua Consorte, i quali tenevano in tanta stime quel ‘bagnuolo’, che non volevano che altri se ne servisse, lo tenevano apposta serrato e portavano appresso di loro la chiave; sebbene ciò ripugna alla gentilezza, cortesia e beneficenza del Magnifico Lorenzo, tanto lodata dai suoi coetanei, anche suoi nemici”.14

I PAOLI FALSI

E’ noto che l’azione dell’acido solfidrico contenuto nel vapore dei soffioni, determina in breve tempo l’annerimento del rame e delle sue leghe, dell’argento e anche dell’oro che non abbia almeno il titolo di 18 carati. Gli strumenti del Corpo musicale di Larderello, che erano di ottone, si presentavano tanto scuri che il Corpo stesso veniva comunemente chiamato la “banda nera”.

A causa di questo naturale fenomeno chimico era ed è tuttora molto raro trovare nelle Case di Larderello e delle altre fabbriche oggetti di rame o d’argento.

Lo stesso Giovanni Targioni Tozzetti ci narra di una non gradita esperienza occorsagli visitando i lagoni:

“Nel girare che io feci intorno ai lagoni mi accadde che tutto l’argento che io portavo indosso, cioè bottoni, fibbia, monete, orologio, ecc., diventò colore di rame o difficilmente riprese il suo colore, anziché al Pontedera mi fu fatta difficoltà nel pagamento di certi paoli, che stante il colore acquistato erano supposti falsi”.15

I LAGONI E LE BALLOTTE

E’ per chiudere, una nota di… culinaria per le massaie. Sino a non molti anni fa le donne delle fabbriche boracifere erano solite cuocere le patate e le castagne, sia lesse che arrostite, introducendole nella bocca aperta di qualche soffioncello inutilizzato, chiuse in un robusto sacchetto di iuta, bene assicurato ad un bastone: e risultavano veramente gustose.

Nei tempi passati si usava un sistema più rudimentale:

“I pastori cuociono i marroni in ‘ballotte’, ponendogli dentro ad un sacco, e tenendogli per breve tempo immersi negli scoli dei lagoni: le mangiavano poi impunemente, soffrendo però un poco di sito di zolfo”.16

Dall’aneddotica del territorio dei lagoni si potrebbero attingere tante altre notizie, ma penso sia opportuno non dilungarmi ancora su questo argomento.

Chiedo anzi venia ai cortesi lettori, se, contro ogni mia intenzione, ho sin troppo abusato della loro pazienza.

© Pro Volterra, ALDO GALLORI
Le antiche terre dei Lagoni, in “Volterra”
1 F. Cluver, “Italia antlqua”, 1624, pag. 513.
2 T. Cangini, “I fumacchi e le terme del Volterrano”.
3 R. d’Arezzo; “Della composizione del mondo”, 1282.
4 F. L. Alberti, “Descrizione di tutta ltalla”, pag. 5. 1594.
5 P. Mascagni, “Dei lagoni del Senese e del Volterrano”, pag. 41, 1779.
6 G. Meneghini, “Sulla produzione dell’acido borico” pag. 24, 1867.
7 Segni, “Istorie fiorentine” libro 9.0, pag, 225,
8 G. Targioni-Tozzetti, “Relazione di alcuni viaggi fatti In diverse parti della Toscana” Tomo III, pag. 117, 1769.
9 G. Targloni Tozzettl, op. cit. pag, 403,
10 G. Targioni Tozzetti, op. cit, pag, 370,
11 G. Giuli, «Delle acque minerali di Bagno a Morba”, pag. 28, 1809.
12 U. da Montecatini, “De Balneis”. 1417.
13 G. Giuli: op. cit., pag, 87.
14 G. Targioni Tozzettl: op. cit., pag. 401.
15 G. Targioni Tozzetti: op. cit., pag, 412.
16 G, Targioni Tozzetti, op. cit., pag, 453.