Quando conobbi Drea ero piccino: avrò avuto sei anni. Anche Drea era piccino ed aveva almeno quarant’anni. Era nato per caso il trenta novembre 1882, in Maremma, in quel di Campiglia Marittima, pochi giorni dopo era stato portato a Volterra ed era stato girato alla ruota.

Allora c’erano tante donne in Maremma. C’erano quelle della zona e quelle andate laggiù a lavorare. E se a una di queste accadeva di rimanere ingannata in amore, il rimedio era semplice, perché «siccome c’era nella zona un chincagliere» – diceva la mia suocera – «fermo di proposito e di parola d’onore, e siccome faceva tanti piaceri col pagare, andava a finire che lo mandavano a chiamare per fissare il giorno e l’ora del trasporto dell’incomodo a Volterra.»

L’ora poteva essere una qualunque ma il giorno era preferibile che fosse di venerdì per abbinare il viaggio col mercato. Per questo motivo e per altri motivi comprensibili, il chincagliere portava con sé anche la moglie ed il cane. Ma qualcuno diceva, sotto sotto, che il venerdì giravano le streghe.

Per un banale contrattempo il nostro personaggio fu portato a Volterra la notte del lunedì diciotto dicembre 1882 e fu messo nella ruota. AI suono della campanella, l’impiegato addetto si svegliò, girò la ruota, guardò se si trattava di maschio o di femmina, scrisse sul registro e borbottò: «di nome lo voglio chiamare Andrea e di cognome Andrei». Ma, come accade in simili circostanze andò a finire che i suoi amici lo chiamarono Drea e fu meglio così: altrimenti chissà come l’avrebbero chiamato, piccino com’era.

Veramente gli amici erano pochi perché Drea, dopo il baliatico, fu richiesto da Ottaviano Guerrieri, il cosiddetto «Nano di Nebbia», contadino al podere Fonteripoli. Il Nano gli insegnò a lavorare la terra ma a scuola non ce lo mandò.

A vent’anni Drea era ancora a Fonteripoli. La visita di leva del diciannove giugno 1902 lo trovò alto un metro e cinquantatré centimetri e mezzo. Più tardi però si venne a sapere che un centimetro e mezzo gliel’avevano appiccicato quelli della commissione perché gli era scappato detto che il soldato non era necessario. Era stato misurato e rimisurata parecchie volte, con la speranza di farlo arrivare all’altezza del Re nel momento di strappo; ma a quell’altezza non ci fu verso di farcelo arrivare.

Così, riformato, affrontò la vita. Fece il bracciante, l’alabastraio, la scuola setare e prese la licenza di terza che gli fece tanto comodo anche quando appuntava il lapis con la martellina.

Intanto il venticinque luglio del 1916 veniva «riammesso» a visita e veniva rifatto inabile, con un metro e cinquantadue di altezza. Sembrava che avesse fatto lo schiaccio: invece era stato riportato all’altezza naturale del 1902.

Era il tempo in cui il cosiddetto Re soldato emanava leggi e decreti per far fare la guerra a tutti e il decreto del dodici agosto 1917 sembrava fatto apposta per farla fare anche a Drea. Infatti, «riammesso» nuovamente a visita, il dieci ottobre del 1917 veniva dichiarato alto abbastanza. Allora Drea accusò la malattia dell’ernia e per un’ernia inguinale destra fu messo a disposizione per i servizi sedentari.

«Ora – disse Drea ritornando sereno – ora mi posso anche sposare!». E il primo dicembre 1917, alla presenza di quattro testimoni, si sposò davvero, con Maria Barbieri di Montecatini con la quale a suo tempo si era manifestato.

Per essere sinceri Maria era stata un po’ chiacchierata prima del pateracchio, specialmente dalle amiche; ma Drea era uomo che non stava sulle chiacchiere e poi gli interessava il cognome che il Nano di Nebbia gli aveva dato per fargli prendere moglie e per non fargli fare il soldato. L’aveva chiamato Andrea Guerrieri di Ottaviano e di Amina Ciandri e, naturalmente, l’aveva fatto erede legittimo tra il disappunto e le proteste dei parenti diseredati.

Con questo matrimonio Drea e Maria mutarono vita. Comprarono un quartiere, l’arredarono, entrarono in società per la costruzione di un caseggiato, insomma s’ingrandirono tanto che i parenti del Nano dissero al Nano: «Ma i soldi, alla Signora Maria , chi glieli dà?» E il Nano rispondeva: «Il mondo è un pagliaio: bisogna sapello pelare.»

Intanto Drea era riuscito a farsi assumere portalettere per la corsa di Ulignano. Tutti i giorni, comprese le domeniche, scendeva a Prato d’Era, saliva a Ulignano e Sensano, scendeva a La Nera, Cozzano e Cortilla e dopo un giro di trenta chilometri fra colli e valli tornava a Volterra da Montebradoni con la sua ernia inguinale destra.

A vederlo camminare, con quelle gambe corte, con la borsa a tracolla, con gli occhiali sulla punta del naso per guardare su e giù, si sarebbe detto che avrebbe fatto «poca strada». Invece prima del calar del sole rientrava a Volterra, piuttosto allegro: per aver bevuto un dito di vino dai contadini «prima di mettersi in cammino» e per averne bevuto un altro po’ «per non perdere l’amicizia». Perché l’amicizia premeva a lui e a loro: a loro per le incombenze che gli davano; a lui per le «baciarelle» a fine anno.

Per quell’amicizia faceva un po’ tutto a confidenza e così camminava di meno perché la posta del sabato la distribuiva al mercato e la posta di Sensano la dava ai ragazzi del posto che andavano a scuola a Ulignano.

Ma quando il solito collega gli faceva il solito scherzo di scambiargli la borsa facendogli sciupare tempo e fatica, allora trasformava l’amicizia in risentimento e soltanto la strada di Ulignano gli ridava il sereno.

Un tempo le strade erano sterrate e per Drea era conveniente prendere la strada più corta anche se era più ripida. Suonava la tromba da lontano, per annunziarsi e tutti gli andavano incontro volentieri.

Intanto si era resa vacante la corsa dei borghi e i dirigenti pensarono di assegnarne la supplenza a Drea, il quale, però la pensava diversamente: non tanto perché non voleva che gli dicessero che la corsa di Ulignano era troppo lunga e che lui stava invecchiando, quanto perché non si sentiva capace di interpretare quegli indirizzi che a lui sembravano raspaticci di gallina. Tuttavia, dopo molte reticenze, durante le quali ci scappò anche qualche «resìa», finì per accettare e fu meglio per lui e per sua moglie.

Naturalmente qualche volta si trovò in difficoltà, sempre aiutato però dai suoi colleghi. Del resto gli indirizzi più difficili se li portava a casa per studiarli e se gli accadeva che una lettera non sapesse a chi consegnarla, faceva leggere l’indirizzo a chi gli capitava, scusandosi per aver lasciato gli occhiali a casa.

Si racconta che una volta mise una lettera proveniente dall’Egitto nella cassetta del sor Amilcare e la mattina dopo se la ritrovò nella borsa. Pensando chissà che cosa, provò a rimetterla nella stessa cassetta ma il terzo giorno se la ritrovò fra le mani. Decise allora di consegnarla di persona e fu così che il sor Amilcare gli disse che quella lettera non era sua.
«Ma come?!» disse Drea meravigliato «Io le lettere con questi francobolli le ho sempre portate a lei!»

Era nato così per caso e camminò tutta la vita per andare a morire alla Casa di Riposo proprio il giorno di Natale.

Lo chiamavano Drea, però non era cattivo.

© Pro Volterra, GIOVANNI BATISTINI
“Lo chiamavano Drea”, in “Volterra”