Una potente famiglia volterrana: i Belforti

Giovanni Villani, nella sua opera1 narra in un capitolo “Come Messer Attaviano Belforti si fece Signore di Volterra”. Non tutto il racconto è veritiero. Si tratta di una fonte di parte fiorentina ed i Fiorentini, che la sapranno lunga sulla fine dei Belforti, non potevano dire tutta la verità sulla faccenda. Messer Ottaviano Belforti apparteneva ad una nobilissima famiglia feudale volterrana ed era stato fatto capitano generale della città dall’imperatore Lodovico il Bavaro2.

A proposito degli avvenimenti degli anni 1340 e seguenti lo storico cittadino Falconcini dice: «… et tunc effusa fuit ira Dei super eam civitatem ob insolentiam et arrogantiam Belfortium»3. Proprio dalla instaurazione della tirannide dei Belforti dovevano, infatti, venire alla città di Volterra gravi sciagure.

Ottaviano, fiducioso nelle aderenze e nel numero dei parenti, tentava di farsi signore della città. Ciò che resta del Palazzo Belforti (o meglio, di uno dei palazzi) lo si può ammirare anche ora sulla Piazza dei Priori nell’edificio di fianco al Palazzo Pretorio ove attualmente sono la tenenza e la caserma dei carabinieri. Nel prato immenso che si estendeva alle spalle del palazzo e che doveva essere fortificato nei momenti di maggior potenza, i Belforti dovevano aver posto una specie di campo trincerato (per intenderci nell’Ortaccio) ove avevano raccolto mezzi, magazzini, depositi di grano, macchine da guerra,  cavalli ed armati.

Ottaviano era, però, ostacolato fortemente nelle sue mire ambiziose dal vescovo Rainuccio Allegretti che era piuttosto favorevole all’influenza senese sulla città. Allora il Belforti si presentò come il più fervido assertore della libertà volterrana, sia contro il potere del vescovo sia contro ogni influenza straniera. Il popolo, toccato sul tasto, diremo oggi, del nazionalismo, lo seguì.

I Ghibellini, con a capo il vescovo Rainuccio Allegretti, vennero espulsi dalla città. Tutte le loro abitazioni furono saccheggiate e date alle fiamme. Gli espulsi si ritirarono nel castello di Berignone di proprietà del vescovo volterrano. Ma i Belforti non dettero loro tregua ed iniziarono l’assedio della rocca. Una parte degli assediati si arrese, tranne il vescovo che, rinchiuso nella formidabile torre del castello, resistette ad ogni lusinga finché i suoi nemici, persa ogni speranza di averlo, tornarono a Volterra. Il vescovo poté, allora, ritirarsi nel suo castello di Montalcinello.

A quanto narra il Villani4,Ottaviano Belforti avrebbe, durante l’assedio, fatto strangolare due fratelli del vescovo dinanzi ai suoi occhi per indurlo alla resa. Nell’Archivio Storico comunale di Volterra non c’è traccia diretta di tutti questi avvenimenti. Ci sono però atti pubblici stipulati sotto Ottaviano Belforti negli anni 1340, 1341, 13425.

Poiché i Belforti avevano assalito il vescovo ed esso era ritenuto persona sacra anche quando si trattava di cose temporali, la città fu colpita dall’interdetto6 ed Ottaviano fu scomunicato con la famiglia e tutti i suoi partigiani. Gli scomunicati si rivolsero allora al papa Benedetto XII e, morto costui, a papa Clemente VI per ottenere l’assoluzione. Non starò qui a narrare tutte le varie vicende della petizione. Fatto sta che il 9 Febbraio 1343 la città di Volterra ed i Belforti furono assolti dalla scomunica7.

Ma la politica di Volterra non era autonoma. In Firenze si verificarono importanti mutamenti nel governo della città. L’8 Settembre 1342 Gualtieri di Brienne, duca di Atene, si era fatto proclamare signore della città del Giglio. Pochi giorni dopo Arezzo, Pistoia, Colle Val d’Elsa, San Gimignano e Volterra si dettero anch’esse al duca. Volterra precisamente il 25 Settembre8. Questa resa della città fu dovuta probabilmente a due ragioni. Da una parte i Fiorentini, che non potevano certo vedere di buon occhio il tentativo di instaurare nella città la tirannide personale dei Belforti, ritennero opportuno, per mantenere la città nella loro orbita, far accettare a Volterra la Signoria del duca di Atene; dall’altra, una parte dei Volterrani sperava di sottrarsi così alle prepotenze dei Belforti.

Ma la fortuna del duca di Atene durò poco e, crollato il dominio di Gualtieri di Brienne, anche Volterra riacquistò la sua, almeno apparente, autonomia. Con la seduta del Consiglio del 29 Luglio 1343 si deliberò di riformare gli ordinamenti e le cariche del Comune. Accanto ai sei Difensori della città se ne elessero altri sei con l’incarico di fare nuove leggi e di eleggere la nuova magistratura9.

I Belforti approfittarono di questa delicata fase di riforma costituzionale per rialzare la testa. Con intrighi e pressioni ottennero la custodia della nuova Fortezza costruita sotto il duca di Atene (la parte vecchia del Mastio, quella presso Porta a Selci) ed ottennero di far rientrare in città quelli della loro famiglia che erano stati esiliati o confinati10. Ottennero anche il privilegio di nominare uno della loro famiglia in ciascun bimestre nella suprema magistratura dei Priori.

Ottaviano Belforti morì nel 1348, ma il suo prestigio era ormai così grande che poterono succedergli con la stessa autorità i due figli Paolo e Roberto. Il terzo suo figlio Filippo, morto Rainuccio, venne eletto vescovo della città a soli 28 anni11. Così il potere temporale e quello spirituale erano riuniti nelle mani della stessa famiglia.

Intanto verso il 1350 Volterra avvertiva sempre di più la minacciosa pressione esercitata dai Fiorentini. Si aumentò il numero di fanti e si riformò l’ordinamento delle milizie. Queste preoccupazioni si rilevano anche in alcune lettere del vescovo Filippo Belforti12.

Da contatti avuti con i Fiorentini appare chiara la subordinazione della politica volterrana a Firenze. Non mancarono vari tentativi di sottrarsi al controllo fiorentino come quello compiuto nell’occasione della venuta in Italia dell’imperatore Carlo IV. Una città che non fosse stata insofferente di ogni controllo, non avrebbe così rapidamente approfittato della fugace apparizione dell’imperatore per sottrarsi ai Guelfi protettori. Lentamente, ma inesorabilmente, Firenze estendeva la sua influenza sul territorio volterrano. Ora era un pesante condizionamento, ora un riconoscimento formale. Con gli avvenimenti del 1361 si offrì ai Fiorentini il destro di mutare questa influenza in una larvata signoria. Rimarranno ancora delle apparenze di indipendenza e di autonomia. Ma anche queste andranno via via eliminate finché in Volterra la libertà sarà definitivamente soffocata.

LA CADUTA DEI BELFORTI

Nel mese di Marzo 1361 i Comuni di Firenze, Lucca e Siena mandarono ambasciatori a Volterra per pacificare i Belforti che erano in discordia tra loro. L’origine e le conseguenze di queste contese sono raccontate da Matteo Villani13 nella sua opera, nel capitolo intitolato: Come fu decapitato Messer Bocchino Belforti Signore di Volterra e come la città venne alla guardia dei Fiorentini. Signore della città era allora Paolo Belforti, figlio di Ottaviano, detto Bocchino (bel soprannome… degno della tradizione volterrana in questo tempo). Il racconto del Villani è abbastanza fedele anche se non completo.

Bocchino Belforti, volendo consolidare il suo dominio, cercava di sbarazzarsi del fratello Francesco togliendoli anche la rocca di Montevoltraio14. Egli possedeva già le rocche di Buriano, di Montecatini Val di Cecina e Caselli; con la quarta sarebbe divenuto potentissimo. Finché fu in vita il fratello, però, non riuscì nell’intento.

Morto Francesco, approfittando della giovane età dei figli, li cacciò da Volterra. Firenze, che non vedeva di buon occhio la tirannide di Bocchino, si interpose, forse temendo anche che le complicazioni della vicenda potessero offrire il destro ad altre potenze di intervenire nelle faccende volterrane. Ottenne che i figli di messer Francesco potessero tornare in città.

Tutto sembrava appianato secondo il desiderio della potenza fiorentina quando nell’Agosto del 1361 scoppiarono in Volterra gravi tumulti in seguito all’uccisione, avvenuta sembra con il consenso di Bocchino, di un volterrano amico dei suoi nipoti15. Anzi Bocchino, disprezzando gli accordi precedentemente stipulati e le pene stabilite dai Fiorentini per chi avesse rotto la tregua16, imprigionò nuovamente i nipoti. La Repubblica di Firenze inviò ambasciatori per ottenerne il rilascio, ma Bocchino li tenne a bada senza concedere nulla. I Fiorentini mandarono un buon numero di soldati a presidiare la rocca di Montevoltraio, temendo che Bocchino potesse occuparla e facendo ulteriori minacce qualora i nipoti non fossero liberati.

E’ chiaro che tutto questo interessamento per i giovani Belforti non era che un pretesto. A Firenze non interessava per niente la sorte dei nipoti del Belforti. L’episodio di Volterra s’inquadra nel piano delle relazioni tra Firenze e Pisa. Tra esse la pace durava fin dal 1343. Ma non era che una tregua di cui le due città rivali approfittavano per rafforzarsi attendendo il momento propizio per colpire.

Firenze, da tempo avvertito il bisogno di trovare un altro sbocco al mare per farne il punto di sfociamento del suo commercio, aveva messo gli occhi sul porto di Talamone, dipendente da Siena, città non amica ma meno temibile e più malleabile di Pisa. Nel 1336 aveva stipulato con essa una convenzione per l’uso di quel porto e poco dopo, col pretesto che i Pisani avevano aumentato le gabelle del loro porto, aveva ordinato a tutti i suoi mercanti di abbandonare Pisa. Il colpo per l’economia di quella città era stato molto grave ed il rancore era ulteriormente aumentato.

Ora, in previsione di un conflitto armato con Pisa, cosa che sembrava ormai inevitabile (scoppiò, infatti, nel Maggio 1362 e durò due anni), Firenze non poteva non sentire il vantaggio che le sarebbe derivato dal possesso di Volterra posta in una posizione quasi imprendibile. Ecco spiegato il maggior interessamento per le faccende interne volterrane da parte dei Fiorentini. Tanto più che anche i Pisani brigavano per averla nelle loro mani.

Bocchino, infatti, non cedette alle minacce. Si circondò di mercenari pisani e la domenica mattina del 24 Agosto 1361, alcuni cittadini di Firenze vennero attaccati da questi armati presso Volterra.

Urtati e sempre più insospettiti da questo incidente, i Fiorentini inviarono altre forze nella zona e si prepararono ad investire la città. Bocchino allora, in vista di questo attacco, cercò di accordarsi con i Pisani, riunendo poi quanti più parenti ed amici poté. I Fiorentini si impensierirono. Sembrava che Bocchino avesse fatto intendere ai Pisani che era pronto a cedere loro la città per la somma di 32.000 fiorini d’oro.

Il Villani, a questo punto, non dà altri particolari su quello che era accaduto a Volterra. Il provveditor Raffaello Maffei in una sua cronichetta17 ne è più ricco. Verso la metà dell’anno 1361 erano sorti dei contrasti tra il Comune di Volterra ed Ugo della Gherardesca conte di Montescudaio a causa di certi confini del Pasco di Gello. I Pisani, per placare gli animi dei litiganti, scrissero a Bocchino Belforti perché, con la sua autorità, diminuisse questa contesa. Egli radunò il Consiglio Generale perché si esponessero in esso le ragioni del Comune di Volterra e si proponessero i modi per sciogliere tranquillamente la contesa. Ordinato con fare arrogante di risolvere al più presto la questione, se ne partì per andare a caccia al suo castello di Buriano con una comitiva di amici.

Nell’assemblea comunale varie erano le opinioni espresse tumultuosamente. Finché Paolo di Giovanni Inghirami, che sarà poi uno dei sei Riformatori dello Stato di Volterra18, si alzò e, con appassionata eloquenza, rammentò ai colleghi la obbrobriosa tirannia dei Belforti, i torti da tutti subiti, i patti da lui  stipulati per vendere a prezzo d’oro la città ai Pisani. Non è da escludere che l’Inghirami, così agendo, facesse gli interessi dei Fiorentini ed, in definitiva, i suoi. Il momento per sobillare gli animi era stato scelto bene. Le parole dell’Inghirami furon convincenti e l’intera assemblea giurò di sterminare l’odiata famiglia dei Belforti.

Si radunarono armati e sul cadere del giorno del 4 settembre 1361 si posero guardie alla Porta all’Arco da cui Bocchino doveva rientrare in città. All’una di notte il Belforti ritornò, stanco, dalla caccia che lo aveva occupato tutto il giorno, seguito da una masnada di armati. La trappola funzionò a meraviglia. Entrato tra le due porte, fu subito chiusa quella esterna e, separato così dai compagni, fermatogli il cavallo, gli fu intimato di arrendersi. Stroncata ogni velleità di resistere, fattolo scendere da cavallo e incatenatolo, venne condotto a furia di popolo verso il Pretorio.

Era il 5 Settembre 1361. A stento poté essere sottratto al popolo inferocito. Chiuso nel carcere e guardato a vista, chiese ed ottenne di dettare le sue ultime volontà e di sistemare le sue cose. Il suo testamento, rogato da ser Michele di Antonio Cenni, si conserva ancora in sunto nelle Epitome delle Membrane dell’Archivio comunale di Volterra19 e da esso si rileva che erano stati chiamati ad assistervi come testimoni alcune guardie fiorentine e tre frati conventuali dell’ordine di San Francesco che, forse, furono gli ultimi confortatori del Belforti.

La presenza di quelle guardie fiorentine proprio tra i più stretti custodi di Bocchino induce a pensare che Firenze non fosse stata del tutto estranea a questa faccenda della cattura del signore volterrano.

La mattina del 10 Ottobre, sul far dell’alba, le campane del Pretorio, suonate lugubremente a martello, annunziavano al popolo di Volterra che la sentenza di morte del suo tiranno stava per essere eseguita. Era presente una enorme folla che, già prima dell’alba, si accalcava sulla Piazza dei Priori, dinanzi al Palazzo Pretorio. C’era non solo il popolo della città e dei borghi, ma anche una gran turba di gente venuta dai luoghi vicini. Le finestre ed i tetti brulicavano di persone spinte da una feroce curiosità. Il Bocchino fu giustiziato al grido di: «Morte al tiranno».

Poi, dopo la decapitazione, il Palazzo dei Belforti fu saccheggiato e si tentò anche di incendiarlo. Cominciarono le consuete vendette contro i Belforti superstiti che furono cacciati dalla città e fu promulgato un terribile bando che puniva come traditori della patria chi avesse aiutato o protetto anche i più lontani discendenti del tiranno20.

Sulla data della morte di Bocchino vi sono delle contraddizioni. Erra il Falconcini ed ha ragione il Villani nel fissarla alla data sopra riferita. Esiste una prova dell’affermazione del Villani in una pergamena che è annessa al testamento di Bocchino e contrassegnata dalla lettera “A” in cui si legge: “scripturae di Bocchino Belforti e sua famiglia, perdé la Signoria capite truncatus anno Domini MCCCLXI Die X Octobris”.

Volterra si era così sottratta alla tirannide dei Belforti, ma una oppressione ben più dura si stava apprestando per essa e proprio col consenso e per opera dei suoi stessi cittadini.

© Silvano Bertini, SILVANO BERTINI
L’articolo sui Belforti è stato tratto dalla Tesi di Laurea di Silvano Bertini,“Le relazioni tra il Comune di Volterra ed il Comune di Firenze dall’anno 1361 all’anno 1472”, Relatore il professor G.B. Picotti, A.A. 1947-1948, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Pisa. Detta Tesi è stata pubblicata nel 2004 da Bandecchi e Vivaldi di Pontedera (Pi), per il Consorzio Turistico Volterra Val di Cecina. La pubblicazione è stata curata da Gianna Bertini, Enrico e Fabrizio Rosticci.
1 Villani Giovanni, Istorie Fiorentine, Libro XI, cap. 116.
2 Falconcini Ludovico, Antiquissimae urbis volaterranae historia, Volterra, Tipografia Sborgi, 1876, p. 250.
3 Falconcini Ludovico, Ibidem.
4 Villani Giovanni, op. cit. Ibidem.
5 Archivio Storico Comunale di Volterra, Membrana L, n. 95 del 1342.
6 Cecina A.L., Notizie istoriche della città di Volterra, Volterra, Tipografia Giovannelli, 175, p. 124.
7 Archivio Vescovile di Volterra, Pergamena N, IX sec.-XIV sec., decade 1343.
8 Falconcini Ludovico, op. cit., p. 256.
9 Archivio Storico Comunale di Volterra, Codex deliberationum, VIII, libro V,  1343.
10 Archivio Storico Comunale di Volterra, Codex deliberationum,  VIII, libro V, 1343 “Priores decreverunt Actavianum de Belfortibus habere potestatem restituendi ac absolvendi exules, atque relegatos a Communi Vulat.”
11 Volpe Gioacchino, Volterra, storia dei Vescovi Signori, di istituzioni comunali, di rapporti tra Stato e Chiesa nelle città italiane nei secoli XI-XIV , Firenze, La Voce, 1923.
12 Archivio Storico Comunale di Volterra, Codex Statutorum anno 1352, in data die XIII Junii IV.
13 Villani Matteo, Istorie fiorentine, Libro X, p. 67.
14 Ammirato Scipione, Istorie fiorentine, Libro XI, p. 133.
15 Villani Matteo, Ibidem.
16 Ammirato Scipione, Ibidem
17 Maffei Raffaello, Cronichetta – In Rivista Volterrana, fasc. n. 1, gennaio 1876, Volterra, Tipografia Sborgi.
18 Cecina A.L., op. cit, p. 163.
19 Biblioteca Guarnacci Volterra, Nocetti, Epitome Membranarum, Tomo IV, carte 2363 (manoscritto).
20 Archivio Storico Comunale di Volterra, Filza G nera 16, carte 39 tergo.