Visita dello scienziato Niccolò Stenone

Niels Stensen (Stenone) nacque a Copenaghen il 16 Gennaio 1638 e morì a Shwerin il 6 dicembre 1686. Studiò medicina prima nella città natale, poi ad Amsterdam dove fu alunno del grande anatomista Gerard Blaes che tentò, però inutilmente, di privarlo del merito di alcune grandi scoperte. Amsterdam era allora una delle più famose scuole anatomiche del mondo, immortalata anche da Rembrandt in molti suoi celebri quadri.

Nel 1660 Stenone si trasferì a Leida, tornando nel 1664 nella città natale dove continuò i suoi studi dedicandosi specialmente all’anatomia ed alla fisiologia delle ghiandole. Nel 1665 venne a Firenze dove fu accolto con grande cordialità dal granduca Ferdinando II. Nel 1667 si convertì al cattolicesimo. Dopo varie vicende, nel 1674 era di nuovo in Italia. Nel 1675 a Firenze vestì l’abito talare e nel 1677 da papa Innocenzo XI fu nominato vescovo di Tiziopoli e vicario apostolico per la Scandinavia. Insieme a lui fu nello stesso giorno ordinato vescovo di Volterra il barnabita Filippo Sfrondati che fu una specie di San Carlo Borromeo per Volterra. Dopo circa dieci anni era la seconda volta che il nome di Volterra si legava a Stenone. Egli rimase ad Hannover fino al 1680 trasferendosi prima ad Amburgo e poi, nel 1685, a Shwerin dove rinunciò alla dignità episcopale vivendo come un umile prete fino alla morte. Per ordine del granduca di Toscana Cosimo III la sua salma fu trasportata a Firenze e fu sepolta in San Lorenzo nei sotterranei delle tombe medicee. Nel 1953 furono apprestati, sempre nella stessa chiesa, una nuova cappella ed un nuovo sarcofago oggi meta costante di turisti e pellegrini specialmente dei paesi nordici.

Per sottolineare l’importanza di Stenone nella medicina ricordiamo le sue ricerche anatomiche sulle ghiandole, sui vasi linfatici, sul cuore, sul cervello, sul sistema genitale; il suo nome è legato alla scoperta del dotto della parotide chiamato appunto “Dotto di Stenone”. Inoltre nel De solido intra solidum naturaliter contento dissertationis prodromus1, l’opera che ci riguarda anche come volterrani, egli pose le basi della geologia e della paleontologia; dopo varie ricerche in varie parti della Toscana, tra cui Volterra, definì alcuni fondamentali concetti della tettonica effettuando imponenti osservazioni di mineralogia e di cristallografia. Eseguì l’esame stratigrafico dei terreni per dimostrare che gli strati terrestri contengono i ricordi di una cronologica successione di avvenimenti.

Non è nostra intenzione, però, illustrare a fondo l’opera e l’importanza del pensiero stenoniano e la sua vita. Rimandiamo chi volesse farlo alle opere citate in nota del dott. Gustav Scherz certamente, insieme a Krund Larsen, il più grande studioso di Stenone; ad esse siamo debitori di diverse notizie generali2.

LE VIE DELLA PROVVIDENZA

Nel 1600 vi furono clamorose conversioni dal protestantesimo al cattolicesimo, come quelle della regina di Svezia Cristina e del conte palatino Carlo Augusto di Sulzbacch. A Padova studiavano molti nordici e svedesi quali Jubo Ludolfo d’Erfurt, Gustavo Banner, forse lo stesso re di Svezia Gustavo Adolfo. Quindi quando Stenone giunse in Toscana da Parigi non era il primo protestante nordico che veniva nel nostro paese. Venne a Firenze attratto dalla fama della scuola galileiana. Il De solido ebbe, infatti, quali consulenti scientifici per la curia fiorentina Vincenzo Viviani e Francesco Redi, amicissimi di lui. Il 1667 è l’anno della sua conversione.

Mentre si trovava a Firenze fu catturato a Livorno un pescecane gigantesco il cui fegato pesava 150 chili. Gli fu inviata la testa per dissezionarla. Visti i denti del mostro, Stenone stabilì un rapporto tra essi e le “glossopietre” di Malta considerate allora una curiosità, un monstrum della natura. Egli dimostrò che, invece, si trattava di denti fossilizzati di un pescecane. Era la prima descrizione della origine organica dei fossili e l’inizio della scienza della paleontologia. Ed era un’ulteriore spinta alla conversione sulla cui via si era messo con la meditazione dei testi sacri non solo nelle scritture latine ma risalendo ai codici greci ed ebraici della Biblioteca Laurenziana che egli era in grado di leggere nell’originale. Il 7 novembre 1667 venne accolto nella Chiesa cattolica. Subito dopo egli si immergeva negli studi geologici della Toscana.

PARLANO LE PIETRE DI VOLTERRA

Stenone fu a Volterra nel 1668 (aveva appena trenta anni). Si trattenne nella nostra zona per oltre un mese, forse dal 18 marzo all’aprile inoltrato del 1668. Abbiamo conferma di questa sua visita, oltre che in alcune pagine del  De solido (pp. 63 e seg.) in cui la nostra città è espressamente citata, anche in una lettera, inedita in Italia, in possesso del concittadino signor Giuseppe Pilastri. La lettera dello scienziato danese è indirizzata al volterrano Raffaello Maffei ed è stata scritta poco dopo la visita a Volterra. Ne riportiamo il testo: «Ill.mo Sig. mio e Padr. Col.mo. Rendo grazie a V.S. ill.ma dell’onore ch’ella mi fece e dell’incomodo ch’ella diade al Sig. Ludovico per farmi condurre a vedere le curiosità d’intorno a Volterra. Le mando un esemplare del mio libro stampato qui in Firenze, non avendo nessun esemplare di quello ch’io ho fatto stampare a Leiden (Leida) come non ho né anche di quello stampato a Copenhaghen, la mi perdoni che con questi non li posso servire. La supplico di continuare a favorirmi rassegnandomi io per sempre di V.S. Ill.ma Umil.mo obbl.mo servitore – Niccolò Stenone – Firenze a 18 Aprile 1668. Riverisco il Sig. Ludovico suo figliuolo e la prego quando l’occasione lo permetterà, di rendere grazie da parte mia al Sig. Cavalcanti dei favori che io ne ho ricevuti».

La lettera è assai importante. Ci permette di conoscere il nome di chi lo ospitò a Volterra, di chi lo accompagnò nelle sue esplorazioni del Volterrano e di chi lo ospitò e lo aiutò nel Pomarancino, cioè il signor Ottaviano Cavalcanti del fu Francesco (come si rileva dagli atti matrimoniali della curia vescovile di Volterra), che abitava a Libbiano di Pomarance. Quasi certamente Stenone arrivò a Volterra giungendo dalla parte di Gambassi dove allora esisteva un importante deposito granducale di sale e si servì della Via Salaiola che congiungeva il deposito alle nostre Saline. Da qui giunse sul nostro colle dove il Maffei lo ospitò certamente nel bel palazzo (ora Ruggieri) fatto costruire nel 1527 da Mario Maffei nell’attuale Via Matteotti. Stenone, se già non conosceva personalmente il suo ospite, lo doveva aver conosciuto come autore del Trattato dei metalli e del Discorso sopra le miniere del Volterrano.

Nel 1625 a Venezia era stato stampato il De Mineralibus del volterrano Giovanni Guidi il Vecchio ed anche questa opera con molta probabilità era stata conosciuta dal danese. C’è poi un altro libro assai importante che lo Stenone conosceva o che dovette essergli messo tra le mani dal Maffei, come una specie di guida per rintracciare certe manifestazioni fisico naturali caratteristiche del Volterrano. Si tratta della Cronistoria dell’antichità e nobiltà di Volterra dell’agostiniano volterrano fra’ Mario Giovannelli (Pisa, 1613)3 il quale si era rifatto anche ai manoscritti, mai pubblicati, dello scultore Zaccaria Zacchi sugli aspetti fisici della zona del Volterrano.

Certo è arduo ricostruire con perfetta esattezza l’itinerario dello Stenone che, accompagnato da Ludovico, figlio di Raffaello Maffei, si aggirò per qualche settimana nelle zone circostanti Volterra da lui definite “uno scrigno di tesori” (geologici). D’altra parte l’ordine seguito dal Giovannelli nella illustrazione di quelle manifestazioni e strutture fisiche segue un certo criterio logico. Il Maffei e lo Stenone, quasi certamente, ne tennero conto. Ciò si rileva dalla descrizione di certi fenomeni nel De solido in cui non si citano direttamente certe località del Volterrano ma se ne descrivono le manifestazioni naturali. Stenone studiò certamente i fenomeni di erosione delle Balze, si spinse verso Montebradoni, il Portone, Ulimeto. Poi si allontanò verso la Nera dove esisteva una fonte di acqua medicamentosa, Montevoltraio, Sant’Anastasio (dove era anche una villa dei Maffei), Saline, Pomarance, Montecerboli, Castelnuovo Val di Cecina, Sasso, Serrazzano, Lustignano, Leccia; in queste zone studiò le “esalazioni fetide, le calde ebollizioni di fuoco” e altri fenomeni descritti a pagina 35 del De solido4. Si recò poi a Monterotondo dove osservò in una grotta i “venti freddi prorompenti dalle montagne” (p. 34), proseguì per Canneto, Monteverdi, Bibbona, Casale, Gello, Querceto, Micciano, Libbiano di Pomarance, dove, come sopra detto, conobbe il Cavalcanti, arrivando fino a Monterufoli e Montecatini Val di Cecina anche allora nota per le miniere di rame. È l’unico itinerario logico, interessante e plausibile per un geologo.

Oggi molte di quelle manifestazioni o strutture del terreno sono mutate o deformate o non hanno più la stessa intensità di qualche secolo fa.

Esaltato da questa visita lo Stenone fu colpito soprattutto, oltre che dalla varietà di rocce e minerali (calcedoni, travertino, ecc.), dalla notevolissima quantità di conchiglie nelle rocce del Volterrano (pettinidi e molte del tipo pecten Jacobaes).

LE CONCHIGLIE DI VOLTERRA

La visita di Stenone a Volterra è decisiva per la nascita di una nuova scienza: la geologia. «Tra i solidi – egli scrive – inclusi naturalmente in un corpo solido nessuno si incontra più spesso né solleva più dubbi delle conchiglie. Io mi occuperò un poco più a lungo di esse, considerando per prime le conchiglie nel mare, poi quelle che si estraggono dalle montagne». Per dimostrare l’antichità delle conchiglie Stenone utilizza un argomento allora originale. Ne parla in alcune pagine del De solido (pp. 63 e seg.). Volterra era una città già potente prima della fondazione di Roma, distante da noi oltre 2.400 anni. Per arrivare a questa potenza Volterra deve aver avuto una lunga vita anche precedentemente. Senza dubbio devono essere trascorsi dei secoli dopo il primo insediamento umano in quella zona. Se aggiungiamo il tempo che è passato tra il ritirarsi delle acque del mare ed il momento in cui questo primo insediamento è stato possibile noi arriviamo facilmente ai tempi del diluvio universale. Le pietre della cinta antica delle mura di Volterra contengono le medesime conchiglie che si trovano in una pietra estratta non molto tempo fa in mezzo alla piazza di Volterra, dice lo Stenone. È questa la pietra che figura nel catalogo dei reperti archeologici del danese sotto il numero 266: «Uno spezzato di pietra con delle conchiglie, diviso in due, estratto dalla piazza grande di Volterra». Secondo il nostro geologo quelle conchiglie risalgono all’epoca del diluvio. A parte l’ingenuità di certe affermazioni, l’argomento prova molto bene la sua tesi: le conchiglie fossili risalgono ad un’epoca molto lontana da noi. Egli fissava questa epoca a circa 4.000 anni dal suo tempo perché adottava la cronologia allora da tutti accettata, quella, cioè, stabilita dal vescovo protestante James Usher che categoricamente assegnava la creazione del mondo a 4.004 anni prima di lui. Stenone non poteva certo essere più saggio in questo degli scienziati positivisti dell’800 che contavano in milioni di anni i tempi dei periodi geologici che oggi si valutano in miliardi di anni. Stenone è, quindi, il primo scienziato che ha trovato argomenti per dimostrare che i fossili erano resti di animali e di piante che erano esistiti al momento in cui i sedimenti si depositavano e che vi erano stati sepolti. Gli esperti, leggendo il De solido, hanno la sensazione di trovarsi dinanzi ad un’opera scritta almeno duecento anni più tardi, tante sono le geniali intuizioni. La pietrificazione lo aveva spinto alla paleontologia; i minerali ed i cristalli lo indussero allo studio della cristallografia. È un uomo affascinato dalla bellezza del creato.

Nel Giornale dei letterati del 29 agosto 1669 si legge che «Stenone trovò conformità e consenso tra la natura e la scrittura». Belle sono le cose che si vedono; più belle quelle che si sanno; di gran lunga più belle quelle che si ignorano.

AFFINITA’ TEILHARDIANE?

A questo punto vengono in mente certe frasi di Teilhard de Chardin, il grande paleontologo e spiritualista francese morto un decennio fa.

«L’unica scienza è scoprire la crescita dell’universo». «Materia affascinante e possente, materia che accarezza e che virilizza. Materia che arricchisci ed anche dilapidi, io mi abbandono alle tue potenti risorse».

Mi rendo conto che è facile suscitare un vespaio azzardando un raffronto tra Stenone e Teilhard de Chardin. Fatti i debiti riferimenti ai diversi periodi e mondi storici e culturali, mi sembra che ci sia qualcosa in comune tra i due grandi scienziati cattolici. Certamente non bisogna dimenticare l’enorme cammino che hanno fatto le scienze da allora ad oggi. Ambedue sono paleontologi di rilievo. Ambedue vogliono galileianamente conoscere Dio attraverso il mondo e non con una fuga dal mondo. È questo un problema non puramente astratto ma esistenziale; direi che, in gran parte, è il problema di ogni uomo che pensa. C’è in questi due scienziati il desiderio di afferrare il mondo nella sua totalità come fenomeno. È identico il desiderio che spinge Teilhard nella lontana Cina e Stenone nelle contrade del Volterrano. Se Stenone fu il padre della paleontologia, l’opera di Teilhard, con la scoperta del Sinantropo o “uomo di Pechino”, segna una delle più grandi tappe dello sviluppo di questa scienza.

Dice il Salmo XVIII della Bibbia: «I cieli narrano la gloria di Dio e le opere delle sue mani annunzia il firmamento». Ma ora, giustamente, non si cerca più solo il Dio dei cieli, il Dio trascendente, ma il Dio nell’evoluzione della materia, il centro della materia universale. La storia del mondo è unica: come ogni storia bisogna conoscerla dal principio; passato ed avvenire sono divisi dalla barriera inafferrabile e sempre mobile del presente.

Oggi dall’esame di certi fossili si può risalire fino a settecentomilioni di anni fa, ma la geochimica ci consente, con l’esame radioattivo dei fossili, di andare ancora parecchio più in là.

Identico è poi l’intento dei due scienziati. Il Fabroni nella sua settecentesca biografia stenoniana ci dice che Stenone fece esperimenti naturali che conferivano non poca autorità per conoscere la divina autorità  del Cristo e della Sacra Scrittura per coloro che o non credevano affatto o che provavano gravi dubbi per le parole dei non credenti. Lo spirito umano vuole vedere e vedere è unire, ma unire è collegare, cioè bisogno di concatenare tutti i fatti tra loro. La vita vegetale ed animale non è scissa da quella umana. Il corpo è formato di atomi, di molecole e trae alimento dal regno vegetale ed animale.

Inoltre, come Teilhard, Stenone passa dagli studi dell’uomo (le ricerche anatomiche) allo studio della terra: l’uomo inserito nell’universo è, infatti, il grande tema del pensiero teilhardiano. Certo in Stenone c’è solo una intuizione del fatto che non solo il vivente nasce, cresce e muore e che materia e vita sono un tutto unico. La storia della vita nella storia del cosmo passa attraverso nomi che vanno da Copernico, Galileo, Newton a Buffon, Laplace, Darwin e Teilhard. Tra essi si può degnamente porre Niccolò Stenone. Se è vero che la nostra civiltà si contraddistingue soprattutto per i suoi contenuti scientifici e tecnici, lo scienziato danese è oggi di estrema attualità.

La visita che egli, nel lontano 1668, effettuò nelle nostre terre e di cui parlò l’anno successivo nel De solido costituisce una tappa importante nella storia delle conquiste scientifiche. Merita, perciò, di essere ricordata da noi volterrani con l’apposizione almeno di una semplice lapide bilingue sul bel Palazzo Maffei in cui egli fu ospitato. Ciò non solo a titolo storico ma anche con un concreto riferimento pratico vòlto a sollecitare la curiosità e l’attrattiva del turista specialmente nordico.

Ma su questa ed altre analoghe iniziative ritorneremo un’altra volta.

“Nessuna attività umana sfugge alla storia,
l’uomo è capace di scoperte meravigliose,
fuori di essa egli non può nulla”.

L’opera di Stenone ci conforta a ribadire la validità di questa tesi.

© Pro Volterra, SILVANO BERTINI
Visita dello scienziato Niccolò Stenone, in “Volterra”, a. novembre 1966; in “Scritti Volterrani”, a cura di Gianna, Enrico e Fabrizio Rosticci, Pisa, Pacini Editore, 2004, pp. 129-134
1 Nicolai Stenonis, De solido intra solidum naturaliter contento dessertationis prodromus, Firenze, 1669.
2 Niels Stensen, Disputatio physica de Thermis. A cura di Gustav Scherz, Montecatini Terme, 1966. Nicolaus Steno and his Indice, Edited by Gustav Scherz, Copenaghen, 1958.
3 Di questa opera si sta procedendo alla ristampa anastatica a cura dell’editore Adolfo Forni di Bologna.
4 Così ne parlava il Giovannelli nell’opera sopra indicata… “Vedesi in questi luoghi, quanta possanza ha la gran maestra natura producendo diversi, rari meravigliosi effetti. Et prima veggionsi bollire acque in alcuni luoghi, e con tanto strepito e velocità da dieci piedi in alto salire, e poi con maggiore strepito scendere subitamente, che non è così animosa persona, che non si spaventi mirandole, e sono i tanta caldezza, che essendoci gettato un animale incontinente saliscono l’ossa a galla totalmente dalla carne separate” (p. 60).

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