Alla ricerca della chioccia dai pulcini d’oro

Le nostre nonne ci avevano raccontato più di una volta la storia della chioccia con i pulcini d’oro che per una strana magia se ne stava nascosta sul culmine del Poggio alla Rocca. Questa fiaba era forse l’ultimo anello di una serie di leggende che il passato ci tramandava. Bambini, assaporavamo la magica storia con soddisfazione ed ognuno, in cuor suo, sperava di essere il fortunato scopritore del tesoro: ne parlavamo tra noi, c’era qualche scettico, ma in ragazzi di sei-otto anni fà presto a correre la fantasia; infine l’idea della scoperta di un tesoro nascosto sulla cima del Poggio conquistava tutti.

La buona stagione ci dette la possibilità dl salire sul Monte Voltraio. Armati di bastoni, calzate le scarpe alte, contro le vipere, subito dopo pranzo, con un sole che ci arrostiva, partimmo a piedi da Borgo S. Lazzero per Roncolla e su fino al Palagione. Da questa fattoria iniziammo la vera e propria salita del Poggio boscoso, lentamente e con circospezione.

La nostra immaginazione era già entrata in una fase avanzata e vivevamo in clima fiabesco; il viottolo saliva con la spirale di una biscia e noi avanzavamo sotto una galleria di verde, tanto che i raggi del sole stentavano a filtrare l’intrico dei rami e ci giungevano come una pioggia di pulviscolo dorato. Tutto concorreva a rendere l’ambiente irreale; l’erba e le foglie ovattavano il nostro cammino, per noi ogni sporgenza diventava un capitello antico ed ogni muro cadente un rudere di vecchio maniero. In quell’aria strana il cauto salire era ravvivato solo dai voli radenti degli uccelli disturbati dal nostro passaggio.

Per il resto la quiete era assoluta.

Quando raggiungemmo il culmine i nostri occhi spaziarono su orizzonti Infiniti, sulla sinistra il mare e dagli altri lati mondi lontani, sconosciuti, campagne, paesi e tanto azzurro. Eravamo orgogliosi di noi stessi e ci sentivamo pionieri in terre inesplorate.

I massicci ruderi dell’antico Castello, colmi di borraccina e mezzi soffocati dalla vegetazione, riaccesero la nostra fantasia e ci apparvero come il luogo più idoneo a racchiudere l’ambito tesoro. Eravamo certi che quelle mura ci celavano la chioccia con i suoi pulcini d’oro.

Ed eccoci con i bastoni a frugare ogni interstizio, ogni antro, ogni angolo di fitta vegetazione, ed infine il grido lanciato da uno di noi: «eccoli, laggiù». Un accorrere dì tutti a «vedere» con gli occhi della fantasia ciò che avevamo da tanto tempo agognato.

Ma i nostri veri occhi non videro mai i pulcini d’oro.

Il tramonto del sole ed il calare delle prime ombre ci riportò alla realtà e comprendemmo che la fiaba non poteva avverarsi.

Allegri e spensierati giocammo a nascondino poi, stanchi e sazi scendemmo dal Poggio alla Rocca e lentamente risalimmo a Volterra che erano già accese le luci nelle strade.

© Pro Volterra, BRUNO TERTULLIANI
La Chioccia dai Pulcini d’Oro, in “Volterra”

LA LEGGENDA DELLA CHIOCCIA E I PULCINI D’ORO

Tre cavalieri vanno
e pensano fra loro
se la ritroveranno
la bella chioccia coi pulcini d’oro1,

Sì che la ritrovarono…. Perché è lassù che i cavalieri etruschi l’hanno sepolta, più di duemila anni fa, prima ancora che la prepotenza di Roma avesse la meglio sulla loro splendente civiltà. A questo preziosissimo gruppo scultoreo, i sacerdoti etruschi consegnarono la testimonianza della loro federazione e delle città che la componevano, fra le quali la potente e superba Velathri.

Perché poi l’abbiano nascosta sulla cima del Monte Voltraio2 – o del Poggio alla Rocca, com’è più familiarmente chiamata la collina trapezoidale che per prima s’incontra scendendo da Volterra verso San Gimignano – non lo sapremo mai. Forse per gli Etruschi quel colle a forma di tronco di piramide su cui si posava maestoso e lugubre l’avvoltoio era un luogo sacro, uno scrigno naturale, discreto e impenetrabile, nel quale potevano celare le tombe dei loro cari e gli oggetti più significativi della loro origine e della loro religione: come gli enigmatici ex voto di bronzo, come la Chioccia con i dodici pulcini d’oro.

Già da tempo le viscere del Monte Voltraio hanno restituito al culto dei volterrani fascinosi reperti, ma la chioccia rimane ancora nascosta “tra le rocce, tra le macchie, tra i pruneti, tra le mura, tra le colonne infrante. Insomma, dove sarà la bella chioccia coi pulcini d’oro?”.

La storia è diventata leggenda e la leggenda una nenia, quella riportata all’inizio dell’articolo, al cui ritmo dolce e cadenzato generazioni di bambini hanno chiuso gli occhi in braccio alla mamma.


La chioccia con dodici pulcini tutti d’oro è una leggenda antichissima tramandata di generazione in generazione, fatta risalire all’epoca etrusca, come espressione della confederazione etrusca e delle sue dodici città. Nel Medioevo la riproduzione della chioccia con i pulcini fu molto in uso da molte parti, quale simbolo di prosperità, limitando il numero dei pulcini a quello dei figli che venivano augurati alla coppia. Un esempio di utilizzo di questa immagine leggendaria è la riproduzione aurea della chioccia con i pulcini del VI secolo che il Papa Gregorio I donò alla Regina Teodolinda, opera oggi visibile nel duomo di Monza, forse come simbolo di prosperità o di rinascita alla vita o come semplice rappresentazione della regina e dei ducati longobardi.

© Pacini Editore S.P.A., FRANCO PORRETTI
La Chioccia e i Pulcini d’oro, in Volterra Magica e Misteriosa, p. 19, 20
1M. RICCOBALDI DEL BAVA, Il baratro, pag. 190, Pavia, casa Editrice Vescovile Artigianelli, terza edizione. Il nome di Pavia, indicato come luogo di pubblicazione del romanzo dello scrittore volterrano, fa ricordare la chioccia con i pulcini che il Papa Gregorio VII donò alla regina longobarda Teodolinda e che oggi si trova esposta nel museo di Monza.
2 Il nome si fa derivare, più che dal toponimo etrusco Velathri, dal latino vultur, avvoltoio, il rapace che nell’antichità si dice nidificasse in cima all’altura.