Questa storia inizia nel 1997, fine settembre, durante un’assemblea di Istituto del Liceo Classico, con annesse sezioni di scientifico e socio-psico-pedagogico, Giosuè Carducci di Volterra, provincia di Pisa. Sono un ragazzino che ha compiuto 14 anni da poco e si è appena iscritto alle superiori. Gli studenti di quinta, con un misto di goliardia e nonnismo, ci prendono uno per uno e ci fanno fare cose abbastanza umilianti, per darci il benvenuto nella nuova realtà.

> Sommario, La storia del calcio volterrano

Il tipo che mi si avvicina oggi è uno spettabile farmacista, ma al tempo era un temutissimo spilungone. Mi mette un megafono davanti alla faccia e mi intima di cantare un canzone che fa: “Gros-se-ta-no mun-gi la muc-ca — battito di mani — Gros-se-ta-no mun-gi la muc-ca”. Sillabando il tutto. Poco dopo la canzoncina vira, con lo stesso ritmo, a ricordare che il professore di educazione fisica avrebbe dovuto farsi i capelli. Nonostante fosse completamente calvo. Da allora quella canzoncina mi è rimasta in testa e periodicamente si riaffaccia a ricordarmi dell’esistenza di una partita che per me voleva dire poco o niente, ma per una città intera significò tantissimo. Fu forse l’ultima occasione in cui Volterra si ricordò di amare davvero la propria squadra, la Volterrana, la sostenne e ne portò in alto i colori come mai più sarebbe successo.

Diciotto anni dopo, una sera ne parlo con il mio amico Bruno, barista del mio locale preferito. Mi dice di passare l’indomani e mi racconta cosa successe in quella partita. Anzi in quelle partite. E’ un pomeriggio di mezza estate a Volterra, fa ancora molto caldo e per accompagnare il racconto ci vuole un bicchiere di vino bianco.

Cominciò tutto con un malinteso. Una voce incontrollata che si trasformò passando di bocca in bocca fino ad assumere dimensioni epiche. Per la partita in casa con il Grosseto, sarebbero arrivati a Volterra più di mille maremmani. Immediatamente scattò “l’istinto etrusco”. Non ne fregava niente a nessuno, ma quando si sparse la voce, si mossero tutti.

Per iniziare ci fu una raccolta fondi, una colletta, per comprare tutto il materiale. Venne raggiunta la ragguardevole cifra di tre milioni di lire. In primis si doveva acquistare i botti che al tempo erano praticamente obbligatori allo stadio. Insieme ad altri due amici andammo a Morrona [dove c’è una fabbrica di fuochi di artificio], vicino Terricciola. Comprammo i Palloni di Maradona e interi bussolotti di roba. Il tipo che ce li vendeva, non si capacitava di cosa stessimo facendo e, a un certo punto, ci chiese: “Scusate ma quale sarebbe la squadra? Di biancorosse non me ne vengono in mente, né in Serie A, né in Serie B”.

Con i soldi rimasti, che comunque non vennero mai spesi tutti, vennero realizzati alcuni striscioni fra cui quello del Faranna Group. Come tocco di classe e simbolo di estro volterrano, ne venne realizzato anche uno con il drago che inculava la vacca maremmana. C’erano anche i tamburi. Non mancava nulla.

Il colpo d’occhio, come si dice in questi casi, era imponente. Loro arrivarono in 300/400, con i pullman e i gruppi ultras. In tutto saremo stati 1500 persone.

Prendo talmente tanti appunti che mi fa male la mano. E arriva anche il secondo bicchiere di bianco. La parte tecnico-calcistica è quella che ci interessa meno. E potrebbero esserci imprecisioni dovute all’amore per la maglia e al tempo trascorso da quel pomeriggio.

Dal punto di vista calcistico, non perché io fossi di parte, ma la Volterrana era parecchio più forte. Ma loro erano il Grosseto, e noi, appunto, la Volterrana. Io la chiamo sempre Volterrana, anche se ormai, e già a quel tempo, si sarebbe dovuta chiamare Alabastri Volterra. E anche il bianco-rosso in realtà è mica il colore della squadra. All’inizio eravamo viola, o viola e bianchi, come la Fiorentina. Ma per motivi di sponsor negli anni Ottanta pensarono di cambiare il nome, ma questo con la partita del Grosseto non c’entra niente.

Fra i tanti acquisti che furono fatti a Morrona c’erano anche diverse scatole di magnum. Una persona fu incaricata di lanciare questi petardi già prima dell’inizio della partita. E con applicazione certosina cominciò, botto dopo botto, a tirarli dalla tribuna dietro le panchine verso il campo.

Non si sa quanto volontariamente, o quanto per caso, fatto sta che il Ds del Grosseto, mandò a fare in culo il pubblico volterrano prima del fischio di inizio. Allora i magnum che venivano diretti genericamente verso lo spazio antistante la tribuna, furono indirizzati proprio verso la panchina ospite. Uno in particolare si fermò sopra, incastrandosi nei ferri di sostegno. Il botto fu forte e chi si trovava sotto la struttura ne risentì parecchio tanto che il massaggiatore svenne e la partita fu sospesa ancor prima di cominciare.

Erano altri tempi, e non la si fece più lunga del dovuto e qualche tempo dopo il direttore di gara fece iniziare la partita. La Volterrana si portò in vantaggio per prima, dopodiché salì in cattedra proprio l’uomo vestito di nero. Ora, potrebbe sembrare un’esagerazione, ma se te chiedi a un volterrano sui quarant’anni, chi è Furia, questo ti risponde senza neanche farti finire la domanda: l’arbitro di Volterrana-Grosseto.

Non dico che i due rigori che dette nel giro di dieci minuti a favore dei maremmani fossero del tutto inventati, ma quantomeno dubbi. Eppure il signor Furia da Viareggio non ebbe alcuna esitazione.

A quel punto la scena degenerò. La gente era incazzata, si sentiva fregata. Dalla tribuna gremita arrivò in campo di tutto, compreso un pezzo di un generatore dell’Enel. Ci fu un espulso dei nostri e la partita terminò 3–1 per gli ospiti.

Fu allora che finì la partita e iniziò la leggenda.

Loro non riuscivano ad uscire. Fu anche abbattuto un operatore televisivo con tanto di telecamera in braccio. Abbattuto è la parola giusta, e non un refuso, perché cadde a causa di una “pedata a mezza vita”, sferrata da una persona di mezza età.

Intanto mentre proseguiva la pioggia di magnum, intervennero i reparti della celere che erano arrivati da Pisa e Pontedera. Presero qualche nome e provarono a convincere qualcuno a salire sui loro mezzi. Invano.

Dopo un iniziale periodo di stallo, alcune macchine tentarono la sortita, ma furono assalite da sputi e calci. Un autista del pullman spazientito oltremodo perché non riusciva a passare provò a farsi giustizia da solo, ma fu subito colpito da un diretto che lo mise ko e lo invitò a tornare sul bus e a più miti consigli.

Si narra anche di un ragazzo con la bandiera inglese, inginocchiato a terra che urlava “Dio salvi la Regina e la Volterrana”.

Come già detto il Grosseto si era presentato alle Ripaie, anche con gruppi ultras organizzati, ma probabilmente quella volta non erano preparati, o non si aspettavano una tale reazione, tanto che anche loro dovettero aspettare parecchio prima di lasciare lo stadio. Quando ci riuscirono, e qui si entra nella leggenda e le fonti sono controverse, si fermarono poche centinai di metri dopo lo stadio, dove la strada si fa in salita, per poter osservare quello che accadeva. Come gesto di stizza, per la giornata storta, colpirono con un calcio un vaso. La proprietaria di casa che era sul terrazzo richiamata dal gran casino, non gradì il gesto e dall’alto lanciò un altro vaso all’indirizzo dei ragazzi di Grosseto.

Uno dei protagonisti che reincontreremo anche fra un po’ fu un avvocato maremmano che ebbe l’ardire di mostrare il dito medio ai tifosi della Volterrana. La sua macchina fu vittima di attenzioni ancora più sentite. Partì una denuncia e la vicenda non finì lì.

Chi davvero trovò scomodo lasciare le Ripaie fu il direttore di gara, il signor Furia. Le storie più appassionanti raccontano che fu fatto uscire nel bagagliaio di una delle macchine della polizia. La sera stessa ci fu una precisa e sistematica caccia al numero di casa sugli elenchi telefonici della provincia di Lucca. La famiglia fu tempestata di telefonate, anche notturne, per i mesi successivi, tanto che la madre quasi in lacrime implorò più volte i ragazzi che chiamavano di far finire lo scherzo.

Quel campionato finì con la Volterrana e il Grosseto appaiate a pari punti. A decidere chi sarebbe salito in Eccellenza sarebbe stato uno spareggio da disputarsi all’Ardenza di Livorno.

Per noi riprese immediatamente la tiritera che era cominciata ai tempi della partita di campionato. Dai Ponti partirono due pullman e svariate macchine. Sui bus c’erano quelli che potremmo chiamare ultras, mentre le famiglie avevano scelto la vettura privata. Fece eccezione un tifoso che decise di viaggiare in macchina da solo, fra un pullman e l’altro. Ovviamente tutti furono seguiti da molto vicino dalle Forze dell’Ordine.

Il fenomeno ultras a Volterra vide i suoi anni ruggenti verso la fine degli anni Settanta, ma non durò neanche dieci anni. Nel 1977/78 nacque il gruppo Ultra’ che andava allo stadio con la pistola lanciarazzi. C’erano anche i Boys e i Danger, e quelli che portavano il nome dei bar. Ma erano forse più club che veri e propri gruppi ultras. La Curva della Volterrana veniva chiamata Curva dell’Ignoranza.

Il viaggio fu lunghino, con l’autobus. E a Saline furono lanciate decine di botti, tanto che, racconta la leggenda, partirono due macchine di salinesi che vennero appositamente fino a Livorno a tifare il Grosseto. I livornesi invece preferirono stare dalla nostra. Mica tutti, ma un centinaio erano con noi. Cominciammo con i fumogeni già sul lungomare e la gente si guardava intorno e non capiva chi fossero quei cretini che facevano quel fumo biancorosso.

La nostra tradizione negli spareggi era negativa in maniera sconcertante. Epico è rimasto quello di Staggia, con lo striscione “Tutti a Staggia, ultima spiaggia”, che si rivelò drammatico, fu una sconfitta e alla fine furono rinvenuti sul terreno di gioco qualcosa come 200 mila lire in monete. Quella di Livorno fu probabilmente la più grande trasferta mai fatta dai volterrani. Ci saranno state circa mille persone, soprattutto tifosi, ma anche giocatori labronici che erano venuti a vedere la loro ex squadra.

C’era vento quel giorno all’Armando Picchi e i fumogeni lanciati davanti alla tribuna coperta dove stavano i volterrani (i grossetani furono fatti sistemare in gradinata) tornarono indietro con gli interessi, causando non pochi problemi a noi che ci ritrovammo chiusi sotto il tetto della struttura. Come per la gara di campionato continuammo a tirare magnum in modo continuo. Cercavamo sempre di centrare una grata. il botto che cadeva di sotto faceva un casino ancor più tremendo. Dopo ci spiegarono alcuni giocatori, che li stavamo praticamente tirando negli spogliatoi, tanto che l’arbitro ebbe problemi a fare le operazioni di riconoscimento. I palloni di Maradona, che non erano stati lanciati in campionato, non passarono i controlli neanche a Livorno. Probabilmente sono ancora all’Arci, in magazzino, anche se è chiuso da dieci anni.

La partita si sa come finì e posso dire con certezza che il Grosseto meritò quella vittoria e la Volterrana giocò malissimo.

Il viaggio di ritorno fu triste, venimmo scortati mentre eravamo tristi e demoralizzati. L’ultimo segno di vita arrivò quando ci sorpassò il solito Mercedes guidato dall’avvocato di Grosseto che ci mostrò un’altra volta il dito medio. Gli tirammo di tutto.

Gli scontri delle Ripaie non andarono subito nel dimenticatoio e le foto sequestrate dalle Forze dell’Ordine servirono per un riconoscimento. In moltissimi furono chiamati a dire se sapevano o meno chi fossero quelli nelle foto, ma per fortuna nessuno riconobbe nessuno. Probabile che le foto fossero venute male.

Vallebona la storia creò
giù nei Borghi la storia passò
alle Ripaie va la nuova società
che Volterrana ancor si chiamerà…
Tanti gol si farà
Forza viola sempre più avanti
Tutti d’accordo si vincerà
E poi faremo baldoria…
La Volterrana grande sarà!
Viola viola alé alé alé

© Gianni Galleri, GIANNI GALLERI
Lo spareggio del 1997, in “Medium.com”