Il Panorama dalla Spalletta

La prima cosa che colpisce ancor oggi i visitatori della città, da qualunque parte si arrivi, è la posizione della centro storico, così elevata e isolata per larghissimo tratto, sulla distesa delle Valli e delle più lontane colline e montagne che la circondano.

I fianchi del poggio, terrazzati e coltivati, sparsi di case, di strade, di vegetazione, non presentano più l’aspetto di una volta che, soprattutto verso la sommità, era dirupato e scosceso, con strapiombi di incolta arenaria, incrostati da rocce tufacee, degradanti a picco sotto la cerchia delle mura etrusche e medievali.

Questo aspetto di baluardo inespugnabile Volterra lo conservò a lungo, se Carlo Goldoni che la visitò venendo da Siena nel 1742, la vide «fabbricata sulla pendice di un’antichissima e scoscesa montagna» e la considerò «interessantissima per la sua posizione».

150 anni più tardi, anche Paul Bourget rimase impressionato dalla posizione elevata e isolata della Città che definì «un bastione sospeso sulla Maremma»; eppure a quell’epoca, dopo l’apertura del Viale dei Ponti attraverso il «dirupato pomerio», l’aspetto del poggio, sotto la Fortezza e le mura di Castello era completamente mutato e non si presentava più come una continua balza coscesa fino a S. Alessandro.

Dal punto di vista paesaggistico la nostra Città non ebbe mai rivali ed eccelle ancora sopra ogni altra perché dalla sua solitaria e sdegnosa altitudine si domina e si dominerà pur sempre, quello che è forse il più vasto panorama d’Italia, universalmente ammirato e celebrato.

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Dalla sommità del poggio, cioè dalla Fortezza, il panorama spazia su tutta la Toscana e oltre: esso è visibile da Nord a Sud, da Est a Ovest, per centinaia di chilometri, quanti ce ne sono dal Cimone all’Amiata, dai monti del Chianti al Capo Corso.

Partendo dal Monte Cimone a Nord, I’estremo limite dell’orizzonte passa sul crinale degli Appennini con il Libro aperto, il Corno alle scale e il più lontano Falterona, che sono visibili dal prato di S. Andrea; volge verso Sud sui monti del Chianti e la Montagnola senese con l‘Amiata nello sfondo; segue, ad Ovest il profilo delle Cornate di Gerfalco nelle colline metallifere, dietro le quali si stagliano in un più chiaro azzurro i monti Capanne e Volterraio dell’Isola d’Elba, per saldarsi oltre La Spezia con gli Appennini, attraverso le Alpi Apuane.

Nelle rigide mattinate d’inverno quando il cielo è terso, senza tracce di caligine e di foschia, si verificano talvolta spettacolari fenomeni di rifrazione, lo sguardo arriva lontano verso aspetti impensati. Si sono viste le navi nel Tirreno e addirittura le case di Bastia in Corsica, l’arco della Riviera ligure oltre La Spezia, la torre del Mangia di Siena, la croce sul monte Amiata.

Il panorama sopra descritto è visibile nella sua completezza solo dal cammino di ronda della Fortezza, che non è accessibile al pubblico, ma, sia pure con le limitazioni date dalla minore elevazione, esso si può ammirare a settori dal prato di S. Andrea, dalle mura del Mandorlo, dalla spalletta dei Ponti.

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La parte dì panorama più a portata di mano, anzi di piede, è quella che una volta si poteva ammirare nella sua maestosa interezza dalla spalletta della voltata dei Ponti fra Nord Ovest e Sud Ovest in un arco di 180 gradi che va dalle Apuane all’Amiata, con il mare, le isole, i tramonti.

Prima di passare all’esame dei suoi vari aspetti e caratteristiche, è doveroso premettere che il nostro panorama ha il carattere dispettoso e scanzonato dei Volterrani: si mostra nella sua interezza come e quando gli pare e soprattutto per quanto riguarda il Tirreno con la Capraia e il Capo Corso, che dista in linea d’aria circa 120 chilometri, approfitta troppo largamente delle foschie e caligini che in effetti vanno aumentando continuamente di intensità e frequenza.

Di questo carattere dispettoso ne fece le spese anche Giosué Carducci, che fu nella nostra città per una decina di giorni nel Giugno del 1882 e si portò più volte sui «Ponti» per ammirare il suggestivo panorama senza mai riuscire a vedere il mare.

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Il panorama dei Ponti merita anzitutto una digressione che esula dal paesaggio in sé stesso per riferirsi alla sua particolare importanza nel campo delle previsioni meteorologiche, che è tale da destare l’invidia del Colonnello Bernacca.

Per chi sa interpretarne i vari e mutevoli aspetti nel corso della giornata, il panorama che si estende sotto la spalletta dei Ponti può sostituire infatti e con vantaggio nel difficile campo delle previsioni metereologiche, barometri, anemometri ed ogni altro apparecchio di indagini atmosferiche.

Il Volterrano che si avvia alla voltata dei Ponti, dà anzitutto una guardata alla banderuole della Torre dei Priori, per stabilire la direzione del vento e trame le prime considerazioni, poi si volge ad osservare i fumi di Larderello per stabilire il grado della pressione atmosferica. Salvo errori, i fumi alti sono segno di bassa pressione con presagio di cattivo tempo; i fumi bassi sono invece segno di alta pressione con presagio di bel tempo. Sommando questi dati con la direzione del vento, la previsione in certi casi può divenire certezza, come insegna ad esempio il detto popolaresco:

«Se i fumi vanno verso la Botte, non è buio che ti fotte»

La Botte, per chi non lo sapesse, è quella località oltre Saline, dove la Cecina curva per indirizzarsi al mare. L’origine popolaresca non giustifica affatto il tono piuttosto volgaruccio di questo detto e anche per renderlo più comprensibile penso che si dovrebbe dire piuttosto:

«Se i fumi vanno verso la Botte, pioverà prima di notte»

Altri detti codificano con regole fisse, ricche di collaudata saggezza, le previsioni del tempo:

«Quando Montecatini ha il cappello, Volterrani prendete l’ombrello»

«Non nevica bene, se di Corsica non viene»

Se tira lo Scirocco vento afoso, umido e debilitante, bisognerà ricordare che questo avviene perchè:

«di Pomarance non c’è buono neanche il vento»

e se il refrigerante Maestrale, che diventerà più oltre il Ponentino fresco dei Romani, sollievo e delizia dei pomeriggi estivi, decide a un tratto di buttarsi al cattivo, soffiando con torbida veemenza, allora bisognerà ricordarsi che questo avviene perché, mutate le sue normali caratteristiche, il buon Maestrale si è trasformato nel cattivo «Marin pisano».

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Altra peculiare caratteristica del panorama dei Ponti è quella del mare in espansione.

Il Padre Fausto Andreotti delle Scuole Pie di S. Michele, scriveva nel 1883:

«E alla osservazione non isfuggì un interessantissimo fenomeno che appunto si verifica nella visuale del mare, la quale va sempre crescendo di estensione in un modo più che sorprendente». Nel 1830 «si vedevano a ponente-libeccio solamente due piccoli seni di mare: l’uno maggiore alla destra dell’osservatore in bocca di Cecina, l’altro, quasi insignificante, nella direzione di Bibbona. La piccola catena littorale di Guardistallo e Montescudaio non solo impediva la veduta del mare compreso fra i seni suddetti, ma copriva altresì la parte bassa della Capraia».

Oggi invece, quando è possibile, e questo come ho già osservato accade di rado, La Capraia appare in mezzo al mare ed il campanile di Montescudaio si trova ora sotto la linea dell’orizzonte marino.

Poiché l’esistenza di questo curioso e raro fenomeno è indiscutibile, si pone quindi il problema di trovarne la spiegazione, ricercandone l’origine e le cause che l’hanno determinato.

Il Prof. Lelio Melani, Direttore della Scuola Complementare, prima della seconda guerra mondiale, studiò il fenomeno ed il problema connesso in un articolo pubblicato nella Rassegna Volterrana X-XI 1939, irto di diagrammi e formule matematiche zeppe di radici quadrate. In esso precisa che nessuna ipotesi di livellamento, innalzamento o erosione delle masse geologiche può essere addotta a spiegazione del fenomeno. «In definitiva» egli scrive «si può affermare che nessun movimento terrestre sembra qui avvenuto negli ultimi secoli e che se fosse anche avvenuto non potrebbe ammettersi per un ipotetico ingrandimento di orizzonte. A questa conclusione pervenne anche un Congresso di Geologi recatosi a Volterra in epoca non ricordata.» Non essendo riuscito a trovare per il fenomeno alcuna spiegazione scientifica o almeno plausibile, il Melani concludeva in sostanza, contro ogni evidenza, che doveva trattarsi di una «suggestione collettiva della popolazione volterrana» causata dalla «pulizia dell’aria per pulviscolo ed ideale grado di umidità tale da ottenere il massimo di rifrazione». (?)

L’ultimo serio intervento sull’interessante fenomeno fu dato, a quanto mi risulta, dall’articolo «Sopra un supposto bradisismo volterrano» pubblicato nella Rassegna Volterrana XVIII 1947 a cura del Prof. Alessandro Marcantoni, Direttore dell’«Istituto di Geodesia e Topografia» dell’Università di Pisa, che confuta ampiamente lo studio del Prof. Melani e la sua semplicistica conclusione, per auspicare una approfondita indagine sperimentale affidata all’Istituto da lui diretto, da eseguire con il «metodo della livellazione trigonometrica reciproca» da compiere con tutta accuratezza e da ripetere ad intervalli regolari, augurando che «possa avere inizio questa importante ricerca, che, se interesserà gli studiosi, farà pure onore a quanti la avranno facilitata».

Naturalmente nessuno si è mai interessato di tali ricerche, né alcuno si è mai dato da fare per facilitarle.

Il fenomeno però è sempre attuale ed il problema di trovarne la spiegazione anche, intanto l’enigma resta insoluto ed è forse meglio che così resti con tutti gli altri misteri che concorrono al fascino misterioso che circonda la nostra città.

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Fra i Volterrani e i gruppi di turisti che sostano alla spalletta della voltata dei Ponti, capita spesso di incontrarne qualcuno con il braccio e l’indice puntato verso qualcosa che si delinea nel paesaggio sottostante. E’ questi un «Panoramologo», uno di quegli autorevoli esperti che sanno tutto sul panorama, che ne conoscono tutti gli aspetti, che ti sanno indicare senza esitazione i paesi, le tettoniche, i boschi e anche le singole case coloniche, valutandone le distanze e ricordando i nomi, i riferimenti e gli aneddoti connessi alle varie località.

Ti spiegano che una volta si distinguevano benissimo le sei antenne della stazione ultrapotente di Coltano e che lo sguardo poteva arrivare fino a La spezia ed al suo faro che si vedeva lampeggiare nell’oscurità della notte, ma che ora questo non è più possibile da quando la Congregazione di Carità costruì la grande casa fra le mura e Via Persio Flacco, già degli Abbandonati, questo naturalmente a prescindere dal fatto che le antenne di Coltano sono state demolite da tempo.

Ti indicano in compenso il paese di Rivalto, patria del Beato Giordano e il paese di Chianni il cui vino è molto apprezzato in Volterra e che ricorda il Chianti, almeno nel nome. Da Chianni provenne Giuseppe Galeassi che fu primo clarino in chiave di do nel Concerto filarmonico cittadino, ai gloriosi tempi del maestro Cornacchini. Più a Ovest ti indicano Terricciola e il gruppetto di case di Orciatico, da dove proviene il dotto Nucci, responsabile dell’incremento demografico volterrano. E via via ti dicono i nomi degli altri paesi che si vedono o si intravedono in lontananza e ti precisano l’ubicazione di quelli che mon si possono scorgere perché nascosti dietro le colline.

Ti parlano di Montecatini, della sua miniera che dette il nome al più importante complesso minerario e chimico d’Italia, del paese che è certo il più grazioso e il meno manomesso fra quelli circostanti, con le sue porte, l’imponente torre dei Belforti che furono un tempo Signori di Volterra, e la piazzetta antica in pendio fra il pozzo, la chiesa e la loggia del vecchio palazzetto comunale con la lapide che ricorda Vittorio Emanuele.

In passato i Volterrani prendevano in giro i Montecatinesi (e anche i Montierini) raccontando storielle che echeggiavano fino a Cuneo in Piemonte, ma ormai lo sfottò arguto e la bonaria presa in giro non si usano più ed è un peccato perché fra le storielle montecatinesi ce n’erano alcune veramente buone.

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Nel mezzo del panorama, dietro il paese di Saline, in continua espansione alla base del poggio, il fiume Cecina spartisce le vallate indirizzandosi al mare:

«Fiorini accesi,
le più belline son le volterrane,
le più giallone son le Salinesi».

Nessuno ricorderà più questo vecchio stornello dei tempi della malaria e del chinino di Stato; di quando i Signori di Maremma venivano a passare l’estate nei loro palazzi di Volterra, che meritò per essi l’appellativo di «Regina»; di quando gli uffici della provincia di Grosseto si trasferivano d’estate a Scansano; di quando i bufali si trascinavano nel fango delle paludi. Oggi tutto è cambiato e in meglio, almeno per quanto attiene alla «salubrità dell’aria»; Volterra non è più la «Regina della Maremma», ma le salinesi sono ora bianche e rosse come le Volterrane, o meglio?

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l vari paesi della Val di Cecina si chiamano e si sfottono fra loro secondo le care vecchie usanze.

«Chi vuol veder tre paesi disastro:
la Leccia, Lustignano e il Sasso».

Nascosto dietro la protezione di Larderello, Castelnuovo altezzoso e pieno di boria chiama i paesi vicini:

«Sasso, Sasso, voltati in qua,
Castelnuovo è una bella città,
Larderello è uno scrittoio,
Montecerboli un cacatoio».

I tre paesi interessati non hanno raccolto la provocazione e a quanto ne so hanno preferito un dignitoso silenzio ad una risposta sullo stesso tono che li avrebbe portati a gareggiare nel campo di una becera volgarità. Con molto garbo e distinzione potrebbero però rilanciare la seguente quartina, anche se indirizzata in origine a un Castelnuovo di tutt’altro genere:

«Siamo stati a Castelnuovo,
c’è del nuovo e c’è del bello,
quel che è bello non è nuovo,
quel che è nuovo non è bello»

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E’ nelle ore notturne che il panorama dei Ponti offre da sé l’aspetto più romantico e più suggestivo.

Nel vento fresco delle notti estive, affacciati alla spalletta con lo sguardo fisso nell’oscurità verso interminabili spazi tra sovrumani silenzi e profondissima quiete.

Si prova allora come una sensazione di levità e l’impressione di trovarsi sospesi nel buio infinito, fra la volta del cielo e l’immensa distesa della terra.

Le stelle che punteggiano la «cava ombra infinita» e si riflettono nelle luci che segnano sulla nera terra i paesi e gli abitati, lo specchio della Cecina che risplende sotto la luna, i fari delle auto che spazzano il buio della notte salendo in lunghe file da Saline le curve del poggio, incrociando i fanalini rossi delle auto che le discendono, offrono nel loro insieme uno spettacolo di magica ed incantata bellezza.

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Come ho scritto più sopra, il panorama di Volterra, con particolare riferimento a quello dei Ponti, è universalmente ammirato e fu più volte descritto da scrittori illustri. Tralasciando le citazioni nelle opere di Volterrani, mi limiterò a citare solo quanto ne scrissero alcuni insigni autori italiani e stranieri.

Oltre a Carlo Goldoni che ho già citato, voglio ricordare Augusto Von Platen, che fu in Italia fra il 1826 e il 1835, anno in cui morì a Siracusa. In una delle sue poesie dedicate dedicate all’Italia, scrisse di Volterra:

«Alta, dalle ciclopiche mura
che di querce han ghirlanda
oltre i monti, lontano,
vedi nel mare le navi».

Paul Bourget fu nella nostra città il 21 e 22 Ottobre del 1890 e come Von Platen e poi Lawrence, ebbe la ventura di vedere il mare, che fu negata al Carducci. Nelle sue «Sensations d’Itelìe» scrisse:

«la rue s’ètale en terrasse et l’on apercoit l’ondulation immobile des collines nues et fauves par delà lesquelles miroite la mer indécise qui se montre et se dérobe tour à tour, avec le passage de ses bateaux à vapeur. Visiblement cette Volterra ne fut qu’un bastion suspendu sur la Maremme»

David Herbert Lawrence contemplò il panorama dai Ponti nel 1927 e nel suo «Libro di viaggio e pagine di paese» così lo descrisse: «E più oltre la nuda, verde campagna si solleva in onde ed in creste aguzze, ma è come guardare il mare mosso dalla prua di un’altra nave, qui a Volterra cavalchiamo sopra il mondo.»

Prima di lui, nel 1897, quando per la prima volta salì in perfetto incognito al nostro poggio, Gabriele D’Annunzio aveva descritto con mirabile sintesi il panorama dai Ponti con la famosa terzina del sonetto dedicato a Volterra nel secondo libro delle «Laudi»:

«Lontanar le maremme febbricose
vidi, e i plumbei monti e il Mar biancastro
e l’Elba e l’Arcipelago selvaggio».

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Tutto quello che ho rievocato si riferisce al panorama come lo videro un tempo gli scrittori illustri più sopra citati. Chi si avvia oggi verso la voltata dei Ponti ne vede solo la parte destra, perché a sinistra una folta parete di pini forma una siepe impenetrabile.

Ho scritto più sopra, accennando all’importanza meteorologica di questa parte del panorama, che il Volterrano si volta poi ad osservare i fumi di Larderello e invece avrei dovuto scrivere: si voltava, perché oggi dalla citata spalletta i fumi di Larderello e nemmeno Pomarance, non si possono più vedere. Per contemplare il restante panorama verso Sud, bisogna spostarsi verso il viale alberato della passeggiata; si vedranno allora i boschi di Berignone, la Rocca Sillana, le linee allungate delle case di Casole d’Elsa e di Radicondoli, le Cornate di Gerfalco e la Montagnola Senese, con l’Amiata nello sfondo.

I pini piantati sotto la spalletta, che impediscono la libera visibilità dell’intero paesaggio, furono sottratti dal Consorzio di Bonifica a più utili opere di rimboschimento campestre e ceduti al Comune che, nella sua frenesia di piantagioni indiscriminate e imprevidenti, li andò a piantare proprio nel punto che doveva essere lasciato libero per la libera visibilità del panorama sottostante. Anni fa, in un sussulto di tardiva resipiscenza, questi pini cresciuti oltre misura, non furono scapitozzati sotto il livello della spalletta, come ragione insegnava, ma semplicemente sfoltiti; cosicché oggi, oltre ad Uffici pubblici, Ferrovia, Manicomio, Volterra ha perduto o meglio ha spontaneamente rinunciato, anche all’integrità del panorama che nei suoi diversi aspetti, qui sommariamente descritti e documentati, è parte importantissima di quel patrimonio di attrattive che rende così interessante la nostra Città, e non solo dal punto di vista turistico.

© Pro Volterra, FRANCESCO BIANCHI
Il panorama di Volterra, in “Volterra”