Questa contrada era divisa in due parti: una intra moenia, all’interno delle mura medievali, e la seconda extra moenia, al di fuori di esse. La prima parte è costituita dall’attuale via della Porta all’Arco, con tutti i vicoli e viuzze ad essa collegate. Facevano parte di essa, oltre alla via che le dà il nome, anche i vicoli dei Labirinti, degli Alberi, via Lungo le Mura, vicolo Mozzo e vicolo Falconcini, questi ultimi in origine erano comunicanti; sono tutte strade che non arrivano all’altezza di piazza San Giovanni e piazza della Dogana, da cui oggi sono separate da due muri di sostruzione. Vi apparteneva anche tutto l’odierno borgo sant’Alessandro, la zona di Fontecorrenti, delle Ripaie e dei Cappuccini. Sono tutte aree edificate di recente ad eccezione di poche abitazioni più antiche concentrate soprattutto intorno alla chiesa di S. Alessandro.

> Sommario, La nascita e lo sviluppo delle Contrade

Nel XIII e XIV secolo questa contrada non era giuridicamente riconosciuta dal comune. La zona di Porta all’Arco era compresa all’interno di quella di Piazza e Sant’Alessandro era considerata una pendice della contrada. Solo occasionalmente le è stata riconosciuta una certa autonomia a volte concessa alla sola zona di Sant’Alessandro senza Porta all’Arco. Nel 1389 questa contrada si chiamava Contrada di Porta all’Arco e comprendeva solo la parte all’interno delle mura, mentre la zona al di fuori era classificata come “pendice”. In seguito, agli inizi del XV secolo, visto il calo demografico che interessò la città e dato che la quantità di abitanti della pendice eguagliava quella degli abitanti che si trovavano in città, queste due zone acquistarono pari dignità e il nome della contrada venne esteso in Porta all’Arco e Sant’Alessandro.

Ciò avviene anche grazie all’aumentato prestigio religioso dell’area suburbana, che, dopo la fondazione della chiesa di Sant’Alessandro nel 1121 e del convento dei cappuccini nel 1540, divenne maggiore di quella della zona di Porta all’Arco che non ha nessuna chiesa nel suo territorio.

Nella zona all’interno delle mura la densità abitativa dovette essere molto alta, mentre nella zona esterna vi dovettero essere poche abitazioni sparse con intorno la campagna, un nucleo piuttosto consistente di edifici dovette esistere solo nell’area compresa fra la chiesa di S. Alessandro e la Fonte del Pino.

Dalla porta all’Arco partiva la via che conduceva alle Maremme e quindi alle miniere di Volterra doveva essere quindi abituale vedere carovane di carri o di asini risalire la strada e entrare in città dall’antica porta etrusca, l’attuale vicolo Mozzo, oggi chiuso, continuava fino alla piazza della Dogana e portava i mulattieri a scaricare direttamente davanti al magazzino i carichi di sale e degli altri minerali.

Nelle case accanto alla Porta all’Arco vi avevano la residenza i soldati che dovevano custodirla e i gabellieri del comune; la porta aveva anche una torre sovrastante che fu costruita nel 1329 per essere abbattuta nel 1540 in quanto pericolante.


LO STEMMA

Lo stemma di questa contrada è una immagine della Porta all’Arco; i suoi colori il giallo ed il verde.


Dal 1992, la Contrada di Porta all’Arco e Sant’Alessandro ha inglobato una porzione della Contrada di Castello, suddivisa tra la Contrada di Sant’Agnolo, la Contrada di Porta a Selci.

CASTELLO

Questa contrada è oggi quasi completamente disabitata. Infatti essa comprendeva tutta la zona attualmente occupata dal parco Fiumi, insieme alle case che stanno alle sue pendici, cioè parte delle abitazioni che danno su via di Castello, le case di via dei Marchesi e di vicolo Guidi e la parte posteriore delle case di via Matteotti e di via Gramsci.

Non sappiamo con esattezza quali fossero i confini originali, oggi rimane intatto soltanto uno di essi, quello delle mura medievali, gli altri sono scomparsi a causa delle vicende che hanno modificato l’assetto urbanistico della zona.

Confinava ad Est con la contrada di Piano di Castello e il limite era segnato da una strada che partendo dalla Porta dei Vescovi attraversava la sommità della collina e si congiungeva con Piazza XX settembre tramite il vicolo che ancora oggi collega il Parco con questa piazza; in al-
cune piante del Seicento si vede un sentiero che attraversava gli orti ottenuti dopo la distruzione della zona e che forse ricalcava il tracciato di questa strada più antica.

Il limite Nord, che la divideva dalle contrade di Sant’Agnolo e di Porta a Selci, era costituito da una strada oggi non più esistente, di cui resta solo un tratto in corrispondenza di vicolo Leonori Cecina, essa aveva un andamento parallelo a quello di via Don Minzoni e di via Gramsci, l’antica via Nuova.

Ad Ovest confinava con la contrada di Piazza tramite un vicolo oggi non più esistente, di cui il vicolo Senza Nome è l’ultimo tratto sopravvissuto e che andava verso Via de’ Selci seguendo un tracciato parallelo a via Matteotti; questo tracciato è oggi riconoscibile soltanto in parte.

Non sappiamo perché questa zona fosse chiamata Castello, dato che sia il castello dei vescovi, che il Cassero erano distanti da essa, probabilmente non vi doveva essere un vero e proprio castello, quanto piuttosto una incastellatura, formata da una torre con un piccolo circuito murario attorno.

Nella contrada di Castello vi erano numerose abitazioni, anche di famiglie magnatizie, vi fu costruita almeno una casa torre, i cui resti erano ancora visibili nel secolo scorso, e altri edifici più poveri; fra questi dobbiamo elencare il postribolo del comune che era stato relegato quas-
sù perché era lontano sia dalle strade principali che dalle chiese, luoghi interdetti alle prostitute.

Dal piano più elevato dove erano costruite le case e i palazzi, una strada realizzata anche con rampe di legno e pietra scendeva giù fino all’attuale piazza Martiri della Libertà; queste rampe hanno dato il nome di Ponti all’intera zona al di fuori delle mura. Nei primi anni del ‘400 il comune decise di costruire alcune case per le prostitute che “lavoravano” al postribolo della contrada nella zona dei Ponti, dove probabilmente vi era anche un’altra porta, chiamata Balduccia, che divideva la zona di Castello dalla Piazza e che forse si trovava nel tratto di mura che esisteva dove oggi vi è il parcheggio sotterraneo.

Questa contrada ebbe un notevole sviluppo economico quando, nel 1280, Ranieri II degli Ubertini trasferì il palazzo vescovile nella vicina contrada di Piano, fino ad allora il palazzo del vescovo si trovava nei pressi del Duomo. La causa è, probabilmente dovuta alla costruzione del Palazzo dei Priori con la conseguente diminuzione dell’influenza vescovile sulla politica cittadina. Una grande quantità di abitazioni deve essere stata costruita in questo periodo dai fedeli del vescovo che volevano abitare vicini a lui per darsi maggiore importanza.

La contrada di Castello continuò ad esistere, pur con un ridotto numero di abitanti, fino al 1428, anno in cui il Catasto ci informa che venne inglobata con quella di Piazza. Il colpo di grazia alla contrada fu dato però dai fiorentini. Quando i Medici, signori di Firenze, dopo aver conquistato Volterra nel 1472, decisero di costruire una grande fortezza che controllasse la città. Per raggiungere il loro scopo non esitarono a distruggere le case della contrada di Piano di Castello su cui costruirono il Mastio e, per garantire un maggior campo di tiro alle loro artiglierie, distrussero anche le case della contrada di Castello spianando completamente la zona. Da allora la zona è stata dedicata esclusivamente agli orti; la contrada conserva oggi solo poche case poste al confine di essa.

Le coltivazioni non dovevano mancare nemmeno prima dato che in un documento del 1320 è documentata addirittura una piantagione di zafferano e in un documento di IX secolo si parla dell’esistenza di una vigna del vescovo.

Il suo stemma è un leone rosso rampante a destra. I suoi colori sono il marrone ed il verde.

© Alessandro Furiesi, ALESSANDRO FURIESI
Alabastrai Buontemponi, in “Volterra”
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