Guido Donegani, grande capitano d’industria nonché padre della “Società Monteca­tini”, uno dei più grandi complessi industriali dell’Italia moderna già prima dell’accorpamento con la Edison (1966), muove i primi passi proprio dall’omonimo paese della Val di Cecina.

Cerchiamo, se possibile, di ricostruire i fatti per capire, a grandi linee, come Guido Donegani, o meglio la sua famiglia si era legata alla “Società Anonima delle Miniere di Montecatini” e quindi anche a Montecatini Val di Cecina.

GUIDO DONEGANI E MONTECATINI VAL DI CECINA

Nel 1899, con l’assemblea del 30 ottobre, la Società mineraria approva l’acquisto del pacchetto azionario di due imprese che gestiscono le miniere cuprifere di Fenice Massetana e Capanne Vecchie, in possesso allora della Ditta Luigi Donegani di Livorno. Entrano quindi a far parte del Consiglio di Amministrazione, presieduto dal Cavalier Vittorio Manzi Fè, due nuovi personaggi: i fratelli Giovan Battista e Giulio Donegani.

Nativi di Livorno, fanno parte dell’elite imprenditoriale cittadina e con ogni probabilità sono mossi da interesse per la Società mineraria proprio anche nel quadro della loro attività di esportazione e importazione legata al trasporto marittimo.

Dalla metà del 1800 il capostipite della famiglia, Luigi Donegani, possiede un negozio di chincaglieria e bigiotteria nella Via Ferdinanda, attualmente Via Grande. Il negozio, poi trasformato in «banco», incorpora nella sua nuova veste i traffici e le attività più varie, dal trasporto di legnami, al disarmo di navi, ad imprese e commissioni di diverse tipologie.

Luigi Donegani, nato a Moltrasio sul lago di Como, si trasferisce a Livorno probabilmente nel 1846, attratto senz’altro dalle interessanti prospettive che la città di mare, allora in piena espansione, poteva offrire. Sposato con un’inglese conosciuta in Toscana, è padre di sei figli, due femmine e quattro maschi. Tra questi, il primo, Giovan Battista, promotore della trasformazione dell’iniziale attività paterna in un’impresa commerciale e finanziaria di vasta portata, ed il quarto, Giulio, persona colta, elegante ed amante di cose d’arte, ricondurranno il loro nome alla piccola impresa mineraria con sede sociale allora a Roma, al numero uno di Via Vittoria Colonna1.

Guido Donegani nasce a Livorno al numero tre di Via Scali Massimo D’Azeglio il 26 marzo 1877, in un palazzo signorile dove era andato a stabilirsi il padre Giovan Battista dopo il matrimonio con Albina Corridi.

La famiglia Corridi, che a Livorno già nel 1850 è proprietaria di una «farmacia» in Via dell’Agnolo, risulta più tardi titolare di importanti attività imprenditoriali ed anche cointeressata in affari minerari. Negli atti costitutivi della “Società Anonima delle Miniere di Montecatini”, che ha come Presidente fondatore l’impresario minerario Giovanni Battista Serpieri e suo vice il banchiere francese Jules Rostand, risulta infatti a favore di Giulietta Corridi vedova Hall, un’iscrizione ipotecaria di notevole valore gravante sulla parte di proprietà della miniera apportata alla nascente società dai vecchi comproprietari, gli eredi dei fratelli Orazio e Alfredo Hall. Quindi, già prima di addivenire alla carica di Consigliere d’Amministrazione, Giovan Battista Donegani deve senz’altro essere particolarmente interessato a quella Società che annovera tra i suoi azionisti proprio una stretta parente della moglie: quella Giulietta che in seconde nozze ha sposato Orazio Hall, tra l’altro già socio del padre Filippo Corridi, insieme a Sloane e Coppi, anche nell’Impresa della “Strada ferrata Maria Antonia da Firenze a Pistoia”2.

Cresciuto come tutti i figli dell’alta borghesia livornese di allora, ordinata e ligia alle abitudini di un costume severo, Guido Donegani frequenta il primo biennio di Ingegneria industriale all’Università di Pisa, per poi laurearsi nel 1901 al Politecnico di Torino. Tornato a Livorno, l’anno successivo viene eletto Consigliere provinciale nelle liste liberali ed in seguito, come Assessore comunale ai Lavori pubblici, si segnala per la costruzione dell’Acquedotto di Filettole, fondamentale alla risoluzione del grave problema idrico della città labronica. Si occupa, poi per qualche tempo, anche di demolizioni navali presso i cantieri Ansaldo.

Nel 1903, su consiglio del padre e dello zio Giulio, ma anche desideroso di mettere alla prova le sue capacità ingegneristiche, inizia a far pratica nella miniera di Montecatini Val di Cecina. Qui svolge la mansione di Capo servizio, e come tale la sua attività mineraria non risulta soltanto superficiale o generica, ma si dimostra, come tutto ciò in cui si cimenta, cosa seria e metodica. Conosce da vicino il lavoro in miniera e la vita dei minatori perché assiduamente anche lui scende con loro giù nei pozzi: solo con la partecipazione diretta all’attività lavorativa nel sottosuolo, ritiene sia possibile mettere davvero alla prova le proprie capacità tecniche ed acquisire l’esperienza indispensabile al suo ruolo direttivo.

Così, sulla scia paterna ma soprattutto per intima congenialità e inclinazione, Donegani si trova naturalmente inserito nell’attività industriale di quella Società mineraria fondata il 26 marzo del 1888 proprio per la coltivazione della miniera di rame di Montecatini Val di Cecina. Miniera, fino a pochi anni prima considerata la più importante d’Europa, che però ben presto vedrà esaurire la sua funzione con la definitiva chiusura dell’attività estrattiva del 1907.

Il 29 aprile 1910, in seguito alla morte del padre, entra nel Consiglio d’Amministrazione e sempre nello stesso anno, il 12 novembre, viene designato Amministratore delegato della Società che ora ha trasferito i suoi interessi minerari in Maremma. Successivamente, sulle orme del padre Giovan Battista e dello zio Giulio, faranno parte del Consiglio della “Montecatini” anche i fratelli Gustavo e Luigi.

Da quel momento e fino al 1945, l’identificazione di Guido Donegani con la “Società Montecatini” risulterà totale.

Sotto la sua guida, la Società conosce subito un notevole sviluppo con la produzione di piriti. Quindi si orienta verso la chimica, incorporando le maggiori società produttrici di acido solforico e superfosfati. Ben presto assume una posizione di primato nel campo dei fertilizzanti fosfatici e azotati, grazie anche all’introduzione del Processo Fauser per la sintesi dell’ammoniaca dall’azoto atmosferico. Negli anni successivi, poi, la “Montecatini” vive un ulteriore intenso progresso di crescita allargando il campo delle sue già molteplici attività nella chimica organica ed inorganica anche al comparto degli esplosivi (Nobel Italiana), dei coloranti (Acna), delle fibre tessili (Rhodiatoce), della farmaceutica (Farmitalia) e di settori complementari quali la produzione di energia elettrica, o logistici come l’imballaggio ed il trasporto delle merci.

Per riassumere, si può ben dire che la “Gestione Donegani” produce una travolgente ascesa dell’Azienda, che da piccola impresa mineraria, grazie ad un continuo ed abile adeguamento alla realtà del momento, riesce in pochi anni a trasformarsi nella più potente e diversificata industria italiana. I risultati, del resto, parlano da soli: la sua Amministrazione porta il capitale della Società dai sei milioni iniziali ai due miliardi di lire anteguerra, e la forza lavoro, da poche centinaia ad oltre cinquantamila dipendenti.

Presidente e Direttore, uomo fortemente individualista ed accentratore, motore primo di ogni strategia societaria, «costruttore» nato, collocato poi in un periodo particolare ed irripetibile dell’evoluzione economica e sociale, Guido Donegani è, come gli Agnelli, i Falck, i Pirelli, protagonista primario della rivoluzione industriale italiana.

Allo scoppio della Seconda Guerra mondiale, il prestigio dell’Azienda è al suo apice e la “Società Montecatini”, che già da tempo ha trasferito i suoi uffici direzionali in Via Principe Umberto (attualmente Via Turati) a Milano, offre l’immagine di una vera e propria potenza dell’economia italiana.

Nel 1943 Donegani riceve la nomina a Senatore. Già nel 1919 tenta l’elezione alla Camera come liberale nella Lista del Blocco perla Circoscrizione Pisa-Livorno, ma per pochi voti non riesce a passare. Risulta eletto, invece, nel 1921 insieme, tra gli altri, ad Arnaldo Dello Sbarba e Costanzo Ciano nella Lista del Blocco Nazionale per la Circoscrizione Pisa-Livorno-Lucca-Massa Carrara. Nelle elezioni del 1924, viene poi opportunamente incluso da Mussolini nella Lista Nazionale bis perla Toscana.

Donegani sembra non aver mai avuto né preclusioni né esitazioni nei confronti del fascismo. Durante la crisi successiva al delitto Matteotti, mentre altri industriali si schierano apertamente contro il governo, egli lavora a favore del capo del fascismo, per il quale poi vota nella seduta del 15 novembre 1924 in piena astensione aventiniana.

Tuttavia la considerazione e l’attenzione che il regime riserba a Donegani, sono derivate più dalla sua prerogativa di grande industriale, di potente capitalista, piuttosto che dalle qualità dell’uomo politico: affidabile si, ma noto a tutti per il suo «scarso spirito fascista».

Amari per Guido Donegani, sono però gli ultimi anni di vita: triste epilogo della vicenda umana di un personaggio che, pur gratificato dagli eccelsi risultati conseguiti, ha dedicato tutto sé stesso esclusivamente alla causa dell’Azienda.

Nel marzo 1944 è arrestato e poi rilasciato dai Tedeschi con l’accusa di collaborazione con il nemico, sembra in seguito ad una anonima denuncia.

Il 26 aprile 1945, per gli svariati addebiti che da più parti gli vengono rivolti, spesso anche in contrasto tra di loro, decide di abbandonare la Direzione della “Società Montecatini” che, si può ben dire, era stata lo scopo primario della sua esistenza.

Nel maggio 1945, sempre con l’accusa di collaborazionismo, è arrestato dagli Inglesi e dopo la scarcerazione, nel luglio successivo, viene colpito da mandato di cattura da parte del Comitato di Liberazione Nazionale per l’attivo sostegno a Mussolini.

Inconfutabili i legami di connivenza tra il fascismo e la “Società Montecatini” che, avendo tra l’altro svolto un ruolo indubbiamente funzionale alle politiche autarchiche del regime, ottiene durante il ventennio ampie agevolazioni e protezione per le proprie produzioni e per le più disparate strategie di espansione.

Dopo aver vissuto per circa un anno in clandestinità, fino al proscioglimento, afflitto da uno stato di deperimento psicofisico che si aggrava di giorno in giorno sempre di più, muore a Bordighera il 16 aprile 1947.

Per volere testamentario, lascia il suo ingente patrimonio all’Accademia Nazionale dei Lincei affinché sia destinato all’incremento degli studi chimici in Italia.

A Montecatini Val di Cecina, dove pure l’omonima Società già dal 1907 aveva abbandonato la locale miniera facendo precipitare il territorio in una profonda crisi economica, nei primissimi anni ’60, quando ancora qualche anziano sopravvissuto alla sua generazione ricordava «l’ingegnere di Livorno» vestito da minatore, gli fu intitolata la nuova Scuola Media.

A Livorno, sua città natale, dove ho cercato di integrare le mie conoscenze sul personaggio Donegani dei primordi, la sua fama risulta abbastanza impercettibile. Pur se da alcuni anni una via in zona periferica della città porta il suo nome, pochi conoscono o hanno sentito nominare il concittadino Guido Donegani.

Nel 1952, con una targa marmorea posta sulla facciata della casa nativa agli Scali D’Azeglio, proprio nei pressi della filiale della Cassa di Risparmio di Volterra, la città labronica volle ricordarlo nel quinto anniversario della morte.

Qui ebbe i natali
GUIDO DONEGANI
che creando e potenziando la
Montecatini, dimostrò vivendo,
la forza benefica e costruttrice
del lavoro, e dedicando in morte ogni
suo avere, allo sviluppo della
scienza, ci ricordò che sull’inerte
materia, splende la luce del pensiero.
In memoria di lui l’Associazione Industriali pose
– 19 aprile 1952 –
© Fabrizio Rosticci, FABRIZIO ROSTICCI
Guido Donegani e Montecatini Val di Cecina, in “Rassegna Volterrana”, a. LXXXIII, 2006.
1 L’imprenditoria mineraria nella città labronica in quel periodo risultava abbastanza diffusa. Anche la Ditta Modigliani, oltre a gestire fin dal 1866 una miniera di piombo in Sardegna, aveva in concessione ricche miniere di calamina (Zn) in Lombardia. La società “Fratelli Modigliani”, commercianti livornesi di origine ebraica, risultava costituita da Isacco, Alberto e Flaminio, rispettivamente zii e padre di due personaggi a tutti noti quali Amedeo e Giuseppe Emanuele, la cui memoria gode tuttora di grande prestigio, l’uno nel campo artistico, l’altro nel mondo della politica. Giuseppe Emanuele, il primogenito, nato nel 1872 e perciò coetaneo di Guido Donegani, fu suo avversario, nella medesima Circoscrizione e quindi anche nel Collegio di Volterra, alle elezioni politiche del 1919, del 1921 e del 1924 dove risultò sempre eletto.
2 Albina, moglie di Giovan Battista Donegani, era figlia di Gustavo, a sua volta fratello di Filippo Corridi, famoso uomo di scienza e di cultura nella Toscana di Leopoldo II. Giulietta, l’unica figlia di Filippo, già aveva contratto matrimonio con il vedovo Orazio Hall, comproprietario oltre che della miniera di Montecatini anche di altre aziende legate all’attività estrattiva e metallurgica, ed azionista nelle maggiori imprese ferroviarie del Granducato. I fratelli Corridi (ma soprattutto Gustavo, in prima persona), partendo da una piccola fabbrica di chinino e prodotti chimici, avevano pian piano costituito una società per azioni per la produzione di olii industriali. Successivamente erano riusciti ad impiantare nei pressi di Livorno una grossa e moderna industria agricolo-manifatturiera che negli anni ’60 dava lavoro ad oltre 1200 persone e sulla quale si fondarono le fortune della famiglia. Una delle più ricche famiglie della città labronica, che avrebbe rafforzato ancor più la sua posizione con il matrimonio della figlia di Gustavo con un Donegani.
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