I cannoncini appiattati dietro l’Ospedale Psichiatrico

Al principio del 1943, quando ferveva la guerra in tutta l’Europa, ero in servizio d’infermiere all’Ospedale Psichiatrico, nel reparto Biffi. Si pativa la fame a più non posso, finché la Germania mandò un gran quantitativo di patate e, alla meglio, l’Ospedale Psichiatrico andò discretamente. Ma dopo l’8 settembre del 1943, quando si ruppe l’alleanza fra Italia e Germania, non si ricevette più nessun aiuto di vitto e le patate furono sostituite da capi di rape che, oltre a non essere nutrienti, facevano male.

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La mortalità fra gli ammalati era grande e fu per questo che un giorno arrivò una commissione ministeriale, con a capo un certo signor Cobianchi, il quale, fatti i dovuti accertamenti alla direzione e dal dott. Mariani, medico legale, si recò all’amministrazione dell’ospedale e, dopo le dovute interrogazioni, cacciò i vecchi amministratori per noncuranza di richieste di alimenti presso il ministero competente e prese possesso dell’amministrazione. Cobianchi visitò personalmente tutti i reparti: le povere ammalate gli si gettarono in ginocchio dicendogli che morivano di fame e che volevano essere aiutate. Lui rispose che quel giorno avrebbe fatto avere un bel piatto di riso e tutti i giorni il vitto relativo. E così fu, sebbene fosse un po’ scarso.

Dopo pochi mesi, però, il Cobianchi e la sua commissione dovettero lasciare il posto perché sostituiti dal fascista repubblichino Vincenzo Paglianti, il quale (dato il partito) ebbe la possibilità di trovare e migliorare il vitto, riducendo anche l’orario di servizio degli infermieri da 48 a 24 ore e formò una commissione interna fra gli infermieri, della quale fui chiamato a far parte anch’io. Sebbene fosse un fascista repubblichino, il Paglianti qualcosa di buono lo fece.

Nel luglio del 1944 la guerra era precipitata con l’avanzata degli americani e la sconfitta dei tedeschi. Tre cannoncini appiattati dietro i reparti dell’Ospedale Psichiatrico erano già parecchi giorni che sparavano a più non posso verso il fronte americano. La cattiveria e la vigliaccheria dei tedeschi erano al massimo. Sparavano dall’ospedale, sperando che gli americani non rispondessero, dato che, per convenzioni di guerra, non si poteva sparare su ospedali. Invece loro rispondevano, eccome! Purtroppo, una cannonata entrò nell’infermeria cronici e fece una carneficina! Letti ridotti a un ammasso di ferro con i brandelli di carne attaccati, morti e feriti lacerati dalle schegge, senza possibilità di medicarli bene, data la mancanza di disinfettanti, di garze e di cotone idrofilo. Il Paglianti se n’era andato al nord con i repubblichini. Gli ammalati erano affamati e impauriti.

Il prof. Sarteschi, direttore dell’Ospedale Psichiatrico, intervenne presso l’alto comando tedesco mettendolo al corrente che non c’era più nulla per sfamare quei poveri ricoverati e chiese un aiuto di vino. Gli alti ufficiali restarono meravigliati di una tale richiesta, perché a detta loro quel genere di ammalati andavano soppressi, poiché erano inguaribili e a carico dello Stato; nella Germania nazista, i manicomi erano stati tutti eliminati con la soppressione di tutti quei malati inguaribili e non autosufficienti. Volevano farlo anche qui. Il prof. Sarteschi allora si mise quasi in ginocchio e li pregò di lasciar vivere quei poveri ammalati, ma gli ufficiali non risposero niente.

Intanto, in qualche reparto, era trapelata questa terribile notizia e, al Biffi, dove prestavo servizio io, mi rammento che c’era un giovanetto, abbastanza lucido di mente che, impaurito, supplicava gli infermieri piangendo, perché gli aprissero la porta per farlo fuggire. Gli infermieri, poveretti anche loro, impauriti, consolavano e rassicuravano quel giovanetto dicendogli che non ci pensasse nemmeno, perché non era vero affatto e che presto sarebbero venuti gli americani a liberarci. Queste tristi scene non le può comprendere altro che chi ci si è ritrovato.

Il 9 di luglio, finalmente, dopo tanti patimenti di spirito e di corpo, entrarono in Volterra le truppe americane, fra gli applausi generali. Fu un sospiro di sollievo per tutti, che ci riportò quasi alla vita serena. La notizia si propagò subito anche nei reparti dell’ospedale e anche i mezzo moribondi ebbero un barlume di esultanza. I tedeschi, per il vitto dell’Ospedale Psichiatrico, ci lasciarono (forse per dimenticanza) un sacchetto di farina gialla di circa 10 kg. Furono anche troppo buoni, vero

© La Spalletta, MARIO PAZZAGLI
“Ultimo atto all’Ospedale Psichiatrico”, in La Spalletta, 18 marzo 1989, p. 21