Quando sono a casa e ripenso a Volterra mi viene quella curiosità. Quando poi sono in città ci sono tante cose da rivivere e tante persone da salutare che mi dimentico di chiederne ai locali. Dov’è, ora, il Monte di pietà? Anzitutto, c’è ancora? Se c’è ancora non può non essersi aggiornato sui nuovi modelli: vi sono uffici che da un capo all’altro dell’Italia ripetono lo stesso stampo e quando lo conobbi io (era al primo piano sopra la Cassa di Risparmio di Piazza dei Priori) ripeteva punto per punto il modello obbligatorio, uguale per città grandi, città minori e cittadine. Di solito, i vecchi uffici dei Monti di pietà si nascondevano in un intrico di strade strette, storte, scure, ma in vicinanza di qualche via commerciale molto frequentata e in questo somigliavano molto alle case chiuse: quella strada vivace nelle vicinanze poteva servire per alibi bugiardi. Anche le facciate potevano somigliarsi. La diversificazione avveniva a livello di portone. Quello del Monte dichiarava la sua identità con una targa modesta «Monte di credito su pegno» o, in forma più concisa e impietosa «Monte di pietà».

C’era sempre, come a Volterra, qualche piano di scale da salire. Scure scale deprimenti, spesso pervase da un acuto odore di urina di gatto. Servivano a preparare moralmente, così, entrando nello stanzone del pegno, uno non vi trovava che la naturale prosecuzione di quello squallore.

C’è una paratia di legno dove si aprivano i vari sportelli, separati da transenne in modo che, se la fila doveva formarsi, fosse obbligatoriamente ordinata. Erano transenne lucide: il legno brillante e levigato del lento strofinìo delle maniche che vi s’appoggiavano. Invece, nella parte inferiore, il legno della paratìa appariva graffiato e scolorito, un test del nervosismo di chi ingannava l’attesa scalpicciandovi contro.

C’era sempre una panca del tipo di quelle che ormai si trovano soltanto (verniciate di bianco) nei corridoi delle mutue. Né mancava una tavola robusta, per la comodità di chi doveva aprirne valigie, fare e disfare fagotti.

Gli impiegati non erano mai giovani, o, almeno non lo sembravano. I volti erano sempre gli stessi, come patinati dal legno, lo spago, le povere cose che li circondavano. Del resto, per la gente in attesa, i visi erano appendici trascurabili delle mani: alle mani veloci che aprivano, scioglievano, soppesavano, impacchettavano, porgevano, andava tutta l’attenzione. Quelle dello stimatore erano le più fissate ed eloquenti: una sfumatura nel modo in cui trattenevano un gioiello e lo lasciavano cadere sul banco anticipava la sentenza all’offerente. Lo stimatore aveva mani da parca.

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Davanti agli sportelli passavano soprattutto donne di mezza età, con mazzette di polizze o pacchetti malfasciati che cavavano uno dopo l’altro dalle borse. Non impegnavano in proprio. Si guadagnavano qualcosa sbrigando le faccende di chi, sentendo una colpa vagamente oscena la stretta del bisogno, si vergognava di provvedervi personalmente.

Pessando da una casa all’altra per i «mezzi servizi» le incaricate di quelle missioni segrete si addentravano nelle oscure profondità della vita famigliare più di tanti suoi membri di diritto. Erano donne discrete. L’accordo del silenzio poteva essere rotto soltanto da uno screzio: allora, tutto il vicinato veniva a sapere che gli X (e si davano tante arie!) erano costretti a impegnarsi gli ori se c’era una spesa imprevista o come la signora Y imbrogliasse il marito turando, con l’aiuto del Monte, le falle nel bilancio dalla sua amministrazione dissennata.

Al Monte, gli uomini erano (e sono ancora) guardati con un distacco, una non considerazione che confina col disprezzo. La legislazione e le usanze li riconoscevano capi e padroni della famiglia: vederli ridotti al Monte lasciava supporre incapacità gravi, li accusava di tare pesanti. Quando gli uomini fissavano lo stimatore con l’inconscia speranza disperata di riuscire a ipnotizzarlo su una stima buona, la loro ansia non riscuoteva lo sguardo dovuto alle madri che avanzavano verso lo sportello col bimbo in braccio e la catenina con la medaglietta pronta in mano.

Dietro a loro c’erano storie di fumetta populista, come Scarpetta e De Filippo s’intravedevano dietro le mediatrici. Ogni tanto capitavano giovanotti. In certe piccole città universitarie era una normalità della goliardia; di solito si presentavano in due o tre, scherzando. Ma non per questo gli sguardi delle madri di famiglia erano meno severi, come se il pegno di quell’orologio, di quella macchina fotografica testimoniasse per le loro (povere) dissipatezze.

Ora, invece, è tutto diverso.

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Gli uffici sono rinnovati, il pavimento riflette le nichelature degli sportelli. Giovani o falsi giovani, gli addetti; qualcuno tagliato secondo il modello bancario dell’efficiente cordialità, altri in quello della noncuranza burocratica. Sulla porta, un tipo di solito baffuto tiene la mano pronta verso la fondina della pesante rivoltella. Dove il Monte è importante, la porta à trasparente ma pesantissima, articolata in modo che rimanga ostacolata una corsa in linea retta.

C’è sempre molta gente: tradotto in termini di viabilità quel traffico si può dire fluido quando il calendario segna l’approssimarsi di quelle scadenze che acutizzano il bisogno di denaro. Però non si vedono più entrare, probabilmente non esistono più, le curatrici d’impegni con i loro segreti di micragna e dignità. Ognuno pensa agli affari suoi e l’ambiente lustro, bancario, non solo non sembra scalfire la dignità, ma quasi conferirne (il cliente è il nostro migliore amico!).

Gli uomini sono almeno alla pari. Tutti con l’aspetto affaccendato e teso di chi deve rincorrere cambiali.

In primavera, le signore vanno al Monte portando ripiegate sul braccio una o più pellicce: impegnarle essendo stato scoperto molto più conveniente del consegnarle al pelliccìaio per la custodia, certe agenzie si vedono costrette a riservare ampio spazio per accogliere quei simboli del consumismo.

Spesso le agenzie hanno una entrata laterale, ma non crediate sia stata fatta per uso di timidi che vogliono salvare la faccia. No, serve per l’impegno di oggetti tanto frequenti quanto ingombranti: frigoriferi, televisori, lampadari. Sono transazioni aperte, libere dalle nebbie stagnanti sul vecchio Monte. Difatti, di solito non ci sono più scale da salire: il Monte si è fatto pianura, ci si entra facile, se ne esce con indifferenza, anche in questo i tempi sono cambiati. In meglio, in peggio? Le ripide scale grigie o la porta girevole?

© Pro Volterra, LIANA MILLU
Il monte di pietà, in “Volterra”, n. 1/2, a. 1979