La storia ci insegna che la prima diligenza apparve in Inghilterra sul finire del sedicesimo secolo e ci insegna pure che quel nuovo sistema di trasporto fu considerato una innovazione negli usi e nei costumi. Tuttavia gli altri Stati europei dovettero attendere fino al principio del secolo diciottesimo, prima di conoscere dettagliatamente i metodi di costruzione.

Ho quindi ragione di ritenere che la prima diligenza sia arrivata a Volterra verso la fine del secolo diciottesimo ed è supponibile che a quel tempi anche Volterra abbia avuto la sua regolare vettura pubblica, perchè ai primi del 1800 la corrispondenza partiva per Firenze due volte la settimana e precisamente martedi e giovedi.

> Sommario, Una lunga disamina sui cavalli

Si può dire con certezza che le lettere da inoltrare all’estero, cioè fuori Toscana, dovevano francarsi. Le lettere contenenti valori pecuniari dovevano essere rimesse per consegna, presentandole all’Ufficio affrancatura mezz’ora prima di quella stabilita per la relativa partenza.

Veramente questo discorso potrebbe sembrare anacronistico ma ai tempi di cui parliamo aveva la sua ragione, perché le lettere ordinarie non venivano affrancate. Era incaricato il postino di riscuotere dal destinatario una certa somma che stava in rapporto tra la distanza ed il peso della missiva. Però questo sistema dava luogo a frequenti contestazioni.

Per ovviare a queste contestazioni lo scozzese Roland Hill, nel 1839, inventò il francobollo, che entrò in uso il mercoledì 6 maggio dell’anno 1840. Tuttavia la Toscana attese fino al primo aprile dell’anno 1851, prima di emettere i suoi francobolli. E così, dal primo aprile di quell’anno, anche Volterra incominciò a mandare, con la sua diligenza, le sue lettere con francobolli. Capolinea era certamente Empoli perché il lunedì cinque aprile dell’anno 1841 Sua Altezza Reale e Imperiale il Granduca (niente di meno), con sovrano motuproprio, aveva accordato ad una società anonima la facoltà di costruire la prima linea ferroviaria della Toscana: la Firenze-Pisa-Livorno.

L’otto marzo dell’anno 1860 (e precisamente sette giorni prima che il referendum rendesse la Toscana all’Italia) fu autorizzata la costruzione della linea ferroviaria litoranea con un braccio di deviazione da Cecina per le Moie di Saline di Volterra. Erano gli ultimi giorni della dittatura di Bettino Racasoli e costui volle anche promettere il congiungimento della linea o con Poggibonsi o con Pontedera. Poi vennero i Consigli comunali; fu così che quelli della valle dell’Era consigliavano per la valle dell’Era, quelli della valle dell’Elsa consigliavano per la valle dell’Elsa e in questo spirito democratico l’accordo non fu più possibile.

Però fu proprio dalla costruzione della linea ferroviaria Firenze-Livorno e della linea Cecina-Saline che scaturì l’esigenza di normali servizi giornalieri per la Toscana e con l’estero; sia per i passeggeri sia per la corrispondenza.

E se dovessi raccontare la storia della diligenza volterrana, così come me la raccontava mia madra, dovrei inquadrare questa mia erma Volterra sotto un manto di neve, qua e là spettinata, e in questo quadro dovrei immaginare la diligenza come un nume tutelare che veglia la vita o che alla vita sorride. Trainata da due pariglie di cavalli, resi quasi balzani da pezzi di stoffa avvolti agli zoccoli, dovrei rivedere la diligenza scendere lentamente per Roncolla o lentamente salire ai “Poggi morti”. Dovrei rivedere quella gente che andava e veniva, sistemata anche a cassetta – come dicevano i volterrani –  o sul coupè – come diceva la “gente bene”.

Devo dire però che i legni per i due servizi comunali erano almeno otto ed esplicavano il servizio per Colle Val d’Elsa e per la stazione ferroviaria di Volterra; la quale, a quei tempi, faceva scalo a Saline.

E che i sevizi di diligenza comunale fossero due lo si rileva dall’articolo diciannove del capitolato, là dove dice: Il Comune concede la sala d’aspetto in affitto alle due imprese di diligenza: quella cioè della stazione di Volterra e quella di Colle Val d’Elsa. E in quella sala d’aspetto era fatto obbligo di tenere la bilancia, l’orologio, la tabella degli orari e il capitolato stesso.

Il capitolato parla chiaro! – diceva spesso il vigile “Luminato” al postiglione – La partenza per la stazione deve aver luogo settanta minuti prima della partenza del treno.

E l’insistenza di “Luminato” era comprensibile perché i legni dovevano arrivare alla stazione almeno venti minuti prima della partenza del treno e poi dovevano farsi trovare pronti ad ogni treno in arrivo, per portare i viaggiatori a Volterra entro sei quarti d’ora, salvo imprevisti. Solo nel caso in cui non vi fossero stati viaggiatori poteva essere usato il bàghere, limitatamente alla corrispondenza.

Ma il capitolato diceva pure: I cavalli devono essere alti almeno un metro e quarantotto centimetri; i cavalli non devono essere più vecchi di dieci anni; i cavalli devono essere almeno tre, per il percorso Saline-Volterra, ed è certamente per questa ultima ragione che il biglietto Saline-Volterra costava una lira e cinquanta centesimi e quello Volterra-Saline una lira solamente.

Però anche il capitolato per Colle Val d’Elsa aveva le sue regole: La diligenza doveva partire per Colle alle ore sette e doveva ripartire da Colle alle ore tredici, per arrivare a Volterra alle ore sedici e trenta, sempre salvo imprevisti. Il prezzo del biglietto era di tre lire ma il 14 dicembre 1914, su proposta del Consigliere Incontri, il Consiglio deliberava di portare il biglietto a lire tre e cinquanta centesimi. I volterrani brontolarono per diversi giorni; poi l’Italia entrò in guerra ed allora i volterrani preso a brontolare per tutt’altre ragioni.


Com’era invecchiata la diligenza, quando la conobbi io! Aveva fatto il primo schiaccio il 15 settembre 1912, nello stesso giorno in cui Volterra esultava per l’arrivo del trenino a crimagliera. Tutta Volterra (o quasi) era presente a quell’indimenticabile avvenimento, funestato tuttavia da un tragico fatto: nell’entusiasmo generale il trentanovenne Francesco Monfardini, impiegato ferroviario, fu colpito da malessere e decedeva alle ore 13.15 all’albergo “La Stella”, in via Persio Flacco.

Il giorno dopo la diligenza prese a fare il nuovo servizio, ridotto però a meno di un chilometro. I cavalli sembravano svogliati: andavano a passo lento; andavano a destra, andavano a sinistra, insomma non sembravano più quelli dei giorni precedenti. Solo quando arrivavano sulla spianata dei Ponti si scuotevano allo schioccare della frusta del postiglione “Pasticca” (o di “Cinterio”) e staccavano a trotto. E di quel trotto ho sempre avuto il dubbio se lo staccassero per fare l’entrata trionfare o per fare contento il postiglione.

Me ne ricordo anch’io di “Pasticca”; si chiamava Aurelio Gori ed abitava in via di Sotto, al numero 25, proprio dove abitavo io. Quando mi trovava (con la diligenza) mi montava sempre a cassetta, al volo. Ricordo sua moglie che si sgomentava quando doveva comprargli le scarpe, perché non riusciva mai a trovargli il numero 44. Però ricordo anche quei sette o otto volterrani che stavano a fare capannello nella farmacia Quadri e che uscivano (a tutte le stagioni) per andare a vedere l’arrivo della diligenza. Chissà: forse c’era sempre qualcuno che arrivava dalla grande città e che aveva certamente qualche cosa da raccontare.

Poi arrivarono le automobili; poi venne la guerra e la diligenza scomparve per sempre così come ha fatto il trenino a cremagliera.

L’ultimo postiglione fu Quintilio Mannucci padre di quel “Poppe” che faceva il servizio per quella su menzionata stazione di Saline e viceversa.

© Pro Volterra, PIERO FIUMI
La diligenza di Volterra, in “Volterra”, p. 17