Grazie a uno studio di Maria Luisa Ceccarelli che ha portato a disporre di una cronotassi precisa dei podestà di Volterra e dei capitani del Popolo nel Duecento, è ora possibile muovere alcune considerazioni sulla circolazione di personale politico nella Volterra di quel periodo¹. L’argomento non appare affatto privo di interesse poiché Volterra fu al centro delle mire di diversi grandi comuni toscani che a turno cercarono di far entrare Volterra nella propria sfera di influenza.

Pur essendo un centro minore della Toscana e pur essendo il suo territorio privo di particolari attrattive dal punto di vista economico (salvo forse per gli ampi pascoli che offriva), il comune di Volterra fu conteso da Pisa, Siena e Firenze e, più indirettamente, perfino da Lucca, il cui sogno restò per tutto il XIII secolo quello di espandersi a sud dell’Arno, in Valdera e nel Volterrano, ripristinando così gli antichi confini della diocesi lucchese, un sogno che rimase sempre irrealizzato. Un filo rosso collega in qualche modo l’alternarsi di podestà e capitani del Popolo di varia estrazione toscana alle vicissitudini politiche sperimentate da Volterra nel Duecento.


I PODESTÀ A VOLTERRA

Va detto innanzitutto che la maggioranza dei podestà chiamati ad amministrare Volterra proveniva da altre città toscane. Un’analisi che ho condotto in precedenza per la prima metà del XIII secolo, più precisamente per il periodo compreso tra il 1193 (quando si ha notizia del primo podestà della città) e il 1253, ha permesso di concludere che una buona metà, il 51%, dei podestà in carica in quei decenni proveniva dalle città di Pisa, Lucca e Firenze, mentre il restante 49% era originario di altri centri². In qualche caso, altri centri toscani: un podestà proveniva dalla vicina Massa Marittima, un altro da Pistoia, un altro ancora da Prato.

Vi erano inoltre dei podestà la cui estrazione geografica è difficilmente collegabile tout court con un comune toscano, poiché provenivano da piccoli centri del contado o appartenevano a stirpi comitali potenti e dotate di proprietà assai vaste e disperse. Sembra questo il caso per l’appunto di Rinaldo dei conti Alberti, podestà di Volterra nel 1207, la cui famiglia deteneva il grosso dei suoi possedimenti nel territorio tra Prato e Firenze. Così anche per due podestà – padre e figlio – originari di Montespertoli, piccolo centro non lontano da Empoli e Castelfiorentino.

Enrico fu podestà tra il 1193 e il 1194, suo figlio Ranieri tra il 1203 e il 1204. Un caso analogo a quello di Rinaldo degli Alberti, appare quello di Corsino dei conti Gangalandi, podestà di Volterra nel 1233. La famiglia Gangalandi, legata alla stirpe comitale dei Cadolingi, aveva un patrimonio fondiario assai ampio il cui centro nevralgico era appunto la località di Gangalandi, vicino a Lastra a Signa³. Si può tuttavia parlare tanto per i conti Alberti quanto per i Gangalandi di una generica estrazione di ambito fiorentino.


LA CARICA PODESTARILE NELLE POLITICHE DEL DUECENTO

Nel 1246 la carica fu occupata da un certo Guido di Marchese da Valiano⁴. L’identificazione del toponimo si presta ad una certa ambiguità, dal momento che esistono più località in Toscana con tale nome. Ma è assai probabile che si trattasse di un villaggio del Senese, una frazione di Montepulciano, dove sorgeva un castello appartenente alla casata dei marchesi del Monte Santa Maria, uno dei quali – omonimo del podestà di Volterra – fu vicario di Carlo I d’Angiò a Firenze nel 1275⁵. È possibile che si trattasse di fatto della stessa persona, ma non si hanno ulteriori elementi in proposito.

L’alternarsi di consoli e podestà – tipica di tutti i comuni italiani alla fine del XII e all’inizio del XIII secolo – si prolungò a Volterra fino al 1223. Con la podesterìa di Sigerio, appartenente a una famiglia di visdomini di Massa Marittima, i da Galiana, imparentati con gli Aldobrandeschi, comincia la serie continua dei podestà forestieri, interrotta soltanto da un’unica, isolata, comparsa nel 1237 di un collegio di consules et rectores⁶.

All’inizio del Duecento la carica podestarile risulta talvolta occupata da podestà cittadini. Ad esempio, sul finire del 1210 e nel 1211, fu podestà un esponente della famiglia Pannocchieschi, Bernardino del fu Ranieri, nipote del vescovo Ildebrando, salito sullo scranno vescovile già nel 1185. Successore di Ildebrando alla testa dell’episcopato volterrano sarà il nipote Pagano (1212-1239). La podesteria di Bernardino avvenne dunque in una fase in cui la famiglia Pannocchieschi aveva completamente egemonizzato la carica episcopale.

È un quadro plausibile, che sembra mantenere una sua validità interpretativa in parte anche per la seconda metà del Duecento, sebbene si assista allora a una maggiore varietà nell’estrazione sociale dei podestà di professione che andavano in giro per le varie città dell’Italia centro-settentrionale. A proposito di podestà di origine senese, si è detto che a Volterra essi sono praticamente assenti per tutta la prima metà del secolo, il primo essendo Guinigio Azzocchi nel 1251, appartenente alla famiglia senese dei Guinigi¹⁷. Lo stesso si può dire a proposito dei podestà di provenienza pistoiese, il primo dei quali compare solo nel 1249: si trattava del miles Agolante di Ranuccio¹⁸. Vale la pena rammentare le osservazioni di Odile Redon a proposito del flusso di podestà senesi verso altre città nella prima metà del Duecento:

«Non si crea un grande movimento di ufficiali senesi verso le altre città comunali. Sono chiamate in altre città toscane, Arezzo, San Gimignano, Volterra, solo alcune personalità appartenenti a grandi famiglie feudali (Berardenghi, Paltonieri); e qualche città dell’Italia centrale (Perugia, Todi) sceglie un podestà senese. La dura guerra contro Firenze degli anni 1229-1235 interrompe decisamente il flusso verso l’esterno»¹⁹.


L’ASCESA DEL POPOLO E DEL CONSIGLIO RISTRETTO

Quanto osserva Redon conferma ciò che si può constatare a proposito dei podestà di estrazione fiorentina e pisana, vale a dire la prevalenza di personaggi provenienti dalle grandi casate ‘feudali’ o, per meglio dire, dell’aristocrazia rurale. Alla metà del Duecento cambia innanzitutto il quadro politico e istituzionale di riferimento. Poco tempo dopo la morte di Federico II il comune di Volterra si trova al centro di cambiamenti politici di notevole portata e le pressioni delle grandi città confinanti si fanno sempre più forti.

Prima che gli effetti della scomparsa di Federico II, avvenuta il 13 dicembre 1250, si traducessero a Volterra in cambiamenti di ordine politico-istituzionale, trascorsero tuttavia all’incirca due anni. Solo la sconfitta militare subita da Pisa e dai suoi alleati ghibellini a Pontedera nell’estate del 1252 per mano dei Fiorentini portò a rivolgimenti politici interni che aprirono la strada all’ascesa del ‘Popolo’ e dei suoi organi rappresentativi²⁰. Di conseguenza, nel 1253 il Comune di Volterra risulta retto non solo da un podestà forestiero, ma anche da un nuovo consiglio ristretto (composto inizialmente da ventiquattro membri) detto degli ‘Anziani del Popolo’ e da un Capitano del Popolo, che vennero ad affiancare l’azione di governo del podestà. Il cosiddetto ‘consiglio speciale’, inoltre, che precedentemente costituiva il consiglio ristretto del Comune, fu sostituito da un consiglio di credenza²¹. Gli Anziani del Popolo erano scelti su base circoscrizionale, in numero di otto per ciascun terziere, e mantenevano la carica per sei mesi, dovendo quindi aspettare almeno un anno prima di poter essere rieletti. Successivamente, il consiglio fu ulteriormente ristretto, dimezzando il numero degli Anziani, che passò quindi da ventiquattro a dodici.

Proprio al 1253 risale anche il primo statuto del Popolo inserito nel più ampio e generale statuto del Comune²². Poco tempo dopo l’affermazione del ‘Popolo’, Volterra passò nelle mani dei Fiorentini che la conquistarono manu militari nell’agosto 1254. Ne seguì una serie di provvedimenti mirati a sottoporre Volterra e il suo territorio a uno stretto controllo da parte di Firenze²³. Oltre all’emendamento degli statuti e al controllo delle principali magistrature comunali, le autorità fiorentine avviarono il progetto di costruire una fortezza sul sito dell’antica acropoli nella parte più alta della città, quella adiacente alla Porta a Selci²⁴. Si tratta di uno dei primi esempi di ‘fortezza’ o ‘castello contro la città’, fortificazioni erette allo scopo di tenere sotto costante minaccia militare i centri assoggettati.

La presa del potere dei Fiorentini a Volterra nel 1254 significò naturalmente l’apertura di una fase in cui i podestà giunsero dall’area fiorentina. Tuttavia, l’egemonia della Firenze guelfa non tardò a incontrare una pesante battuta d’arresto in conseguenza della sconfitta subita dai guelfi toscani nella battaglia di Montaperti (4 settembre 1260). Ad appena sei anni di distanza dalla perdita di Volterra a favore di Firenze, Pisa ebbe l’occasione di tornare in gioco e ricondurre il territorio volterrano sotto la propria egemonia.


L’INTERMEZZO PISANO E ALCUNI PODESTÀ GHIBELLINI

Negli anni che seguirono Montaperti, podestà e capitani del Popolo di Volterra furono in larga maggioranza pisani, con l’eccezione di un podestà fiorentino nel secondo semestre del 1261, che tuttavia apparteneva a un nobile casato di netto orientamento ghibellino: si trattava di Piero Pierini degli Uberti²⁵. Per il resto, podestà e capitani del Popolo vennero in quegli anni per lo più da Pisa, esponenti di tre famiglie: Lanfranchi da San Casciano, Zacci e dell’Agnello. Non mancarono però anche due podestà senesi di fede ghibellina, membri della famiglia Salvani: Ghinibaldo del fu Ildebrandino di Salvano e Bartolomeo Ciabatta, in carica rispettivamente nel 1264 e nel 1265. Inoltre, nel 1263 fu capitano del Popolo un giudice pistoiese: Jacopo del fu Ildebrando.

Questo periodo di egemonia ghibellina su Volterra, di marca soprattutto pisana, fu di breve durata e corrispose ai sei anni di debolezza guelfa seguiti al disastro di Montaperti, con Lucca unica città in Toscana in cui un regime popolare di orientamento guelfo riuscì a mantenersi e a reggere alle pressioni esterne ed interne fino al 1264. Il periodo di prevalenza dei ghibellini toscani giunse a conclusione prima con la sconfitta e la morte di Manfredi nella battaglia di Benevento del 1266, poi con la discesa di Carlo d’Angiò in Italia e la sconfitta di Corradino a Tagliacozzo nel 1268. A Volterra questi avvenimenti ebbero un chiaro riflesso nell’avvicendamento dei podestà forestieri al vertice del Comune. L’ultimo podestà di indirizzo ghibellino fu il pisano Gherardo Zacci, che durò in carica fino all’aprile del 1267.

A partire dal maggio dello stesso anno si riaprì la fase dei podestà guelfi, per lo più fiorentini o filofiorentini, sebbene non mancassero per tutta la seconda metà del secolo anche senesi, lucchesi e pistoiesi. I primi anni del ritorno al potere dei guelfi furono tuttavia contrassegnati da una virtuale egemonizzazione della carica da parte dei conti Pannocchieschi, che avevano in passato occupato con continuità notevole il seggio vescovile e che godevano del pieno appoggio della Chiesa romana e del suo nuovo campione politico in Italia, Carlo d’Angiò26.

Con un’inedita formula, i podestà Pannocchieschi del 1267 e del 1268, s’intitolarono podestà «per grazia di Dio, della Santa Romana Chiesa e del serenissimo signore re Carlo» o più semplicemente «per grazia di Dio e del re», così come fece il loro successore fiorentino nel 1269, Bonaccorso di Bellincione degli Adimari, il quale tuttavia dovette rinunciare per un ordine degli ambasciatori di Carlo. Il re evidentemente ci aveva ripensato e per qualche ragione che ci sfugge non voleva più l’Adimari come podestà di Volterra27. Questa famiglia fiorentina aveva con Volterra un rapporto molto stretto. Non solo un figlio di Bonaccorso, Forese, fu podestà di Volterra l’anno successivo alla podesteria del padre, ma più in generale esponenti degli Adimari servirono come podestà nella prima metà del Duecento e più tardi alternativamente come podestà o capitani del Popolo.

Nel primo semestre del 1284 lo stesso Forese fu capitano del Popolo di Volterra, al tempo del podestà lucchese Corradino figlio di dominus Custore de Porta, mentre nella prima metà del 1293 ricoprì l’ufficio podestarile Ruggero Rosso. Inoltre, nel primo periodo di egemonia fiorentina a Volterra – dopo la conquista del 1254 – furono podestà lo stesso Bonaccorso di Bellincione (fine 1256-prima metà del 1257) e successivamente Foligno del fu Ildebrandino, in una fase assai delicata, ovvero nel secondo semestre del 1260.

Trascorso il biennio 1269-70, corrispondente alle podesterie dei due Adimari, padre e figlio, riprese la serie dei Pannocchieschi che occuparono la carica con Bernardino da Perolla, Bernardo da Castiglione e Ranieri Cetra da Travale fino al 1274, quando nuovamente troviamo in ufficio un podestà fiorentino, appartenente alla famiglia dei Rossi: Stoldo del fu Berlinghieri di Jacopo. Stoldo fu assistito come vicario da Jacopo Parghia degli Antelminelli, esponente di un’illustre e potente famiglia aristocratica lucchese che contava tra le sue fila numerosi giudici, giurisperiti e notai e che sarà protagonista nelle lotte politiche tra Guelfi Bianchi e Neri a Lucca agli inizi del Trecento28. Stoldo del fu Berlinghieri non fu peraltro l’unico dei Rossi di Firenze a esercitare le funzioni di podestà a Volterra. A distanza di quasi un quarto di secolo troviamo un altro membro della famiglia come podestà volterrano. Si tratta di Jacopo, in carica nel secondo semestre del 1298.

A partire dal 1275, in ogni caso, cominciano ad arrivare a Volterra podestà da varie città della Toscana e anche da centri al di fuori della regione. In particolare ricorrono alcuni bolognesi, esponenti delle famiglie dei Basacomare, Forlani, Prendiparte e Bazalieri, mentre in un solo caso compaiono un modenese, Bernardino Garzoni del fu Gherardo da Carpi, e un perugino, Bonifazio del fu Simone de Jacanis29. Si tratta tuttavia degli unici casi di podestà esterni alla regione.

Per il resto, podestà e capitani del Popolo di Volterra provenivano dalle maggiori città toscane ormai orientate al guelfismo: oltre a Firenze, soprattutto Siena, Lucca e Pistoia. Non mancarono tuttavia casi di aretini e in due occasioni di pisani, la cui presenza non cambia però il contesto generale. Come ha osservato Maria Luisa Ceccarelli, la presenza di due podestà pisani non costituisce una vera eccezione al quadro di chiara egemonia guelfa, perché i due – Pannocchia del fu Sigerio da Sassetta degli Orlandi-Pellai e Villano di Jacopo Villani dei Duodi – erano fuorusciti e banditi da Pisa come ribelli30.

Complessivamente nella seconda metà del Duecento, più precisamente tra 1253 e 1300, a fronte di ventisei podestà fiorentini, vi furono sette podestà senesi, sei lucchesi, sei pisani e altrettanti pistoiesi, due aretini, uno da Montaione, quattro da Bologna, due da Modena, uno da Perugia. Per quanto riguarda i capitani del Popolo, al contrario, la maggioranza spetta nettamente ai senesi, addirittura tredici, mentre cinque furono i lucchesi, cinque i pistoiesi, appena quattro i fiorentini e solo tre i pisani. Vi furono inoltre due pratesi: un podestà, Giovanni Buonparenti nel 1284, e un capitano del Popolo, Ranieri del fu Pipino dei Rinaldeschi, che rivestì la carica nel 1289 per due semestri consecutivi.

In generale, confrontando i nomi dei podestà della prima metà del Duecento con quelli che troviamo nella seconda metà del secolo, si nota una continuità delle stesse famiglie, siano esse fiorentine, lucchesi, senesi o pisane. A volte si tratta dello stesso personaggio che rivestì più volte la carica a distanza di anni, altre volte di membri dello stesso casato. Nel caso dei podestà fiorentini, ad esempio, la famiglia Abati fu particolarmente presente a Volterra fin dall’inizio del secolo, essendo Rinaldo Abati podestà già nel 1212.

Successivamente furono chiamati a ricoprire le stesse funzioni Ranieri di Rustico Abati nel 1234, suo figlio ser Bocca di ser Ranieri Rustici nel 1238 e Rainaldo di Migliore nel 1244. Altri grandi casati fiorentini che compaiono frequentemente tra i nomi dei podestà e capitani del popolo volterrani del XIII secolo sono gli Uberti, i Donati, gli Scolari, gli Adimari^31. Nella seconda metà del Duecento si affacciano tuttavia sulla scena volterrana anche membri di altre famiglie, ad esempio i Buondelmonti, i Rossi, i Cavalcanti, i Bardi.

Una sola volta, almeno fino al 1300, compare il nome dei della Tosa, dei Pigli, dei Giandonati, dei Gherardini, dei Frescobaldi, dei Nerli, dei Sizi, dei Manieri, dei Tornaquinci, degli Arrigucci. Anche nel caso dei Senesi è frequente incontrare gli stessi cognomi.

I Salvani rivestono la carica di podestà a Volterra per due anni consecutivi, nel 1264 e nel 1265, prima con Ghinibaldo del fu Ildebrandino, poi con Bartolomeo Ciabatta³². I Malavolti risultano impegnati più tardi rispetto ai Salvani e nella funzione di capitani del Popolo, rispettivamente nel 1282 con Orlando e nel 1291 con Filippo del fu Dino, ma alla fine del secolo anche in quella di podestà, con Guccio del fu Guido nel 1299³³. I Rossi compaiono, al contrario, una sola volta, con il podestà Ugo nel 1286.

Verso la fine del secolo cominciano invece a frequentare Volterra nella veste di podestà o in quella di capitani del Popolo membri della potente casata dei Tolomei, forse attratti in queste zone anche dagli interessi sulle miniere argentifere di Montieri³⁴. Un Tolomei compare per la prima volta nel 1288. Si tratta di Arrigolo di Pietro, podestà nel primo semestre. Segue l’anno successivo Mino Pieri, anch’egli podestà. A distanza di quindici anni i Tolomei rimettono piede nell’amministrazione di Volterra con Arrigolo del fu Pietro, capitano del Popolo nel primo semestre del 1293, e con Angelo del fu Pietro nel secondo semestre³⁵.

L’anno dopo era capitano del Popolo e giudice degli appelli Mino Pieri, già podestà nel 1289. Infine, un’altra famiglia senese che appare coinvolta nelle vicende amministrative volterrane è quella degli Accarigi. Il primo a ricoprire la carica di capitano del Popolo è Andrea, nel secondo semestre del 1290. Due anni dopo è il turno di Sozzo di Bandinello, mentre nel 1296 tocca ad Alessandro del fu Bandinello. Nel 1298 è la volta di Sozzo Rigacci, seguito immediatamente da Francesco del fu Sozzo, il figlio, chiamato a sostituire il padre scomparso durante il semestre in cui era in carica³⁶. A terminare la serie degli Accarigi nel tardo Duecento, compare infine Vacchetta nel 1299, ma nella veste di podestà³⁷.


I PODESTÀ DI FAMIGLIE FIORENTINE

A proposito delle famiglie fiorentine i cui nomi compaiono più frequentemente tra i podestà di Volterra nella seconda metà del Duecento, si può osservare che per la gran parte esse appartenevano a stirpi signorili o all’aristocrazia consolare cittadina (Nerli, Giandonati, Gherardini, della Tosa, Cavalcanti, Buondelmonti, Rossi, Pigli, Sizi, Arrigucci, Tornaquinci) o comunque ad ambienti altolocati dell’aristocrazia mercantile e magnatizia (Bardi, Frescobaldi, Manieri)38. È interessante notare che alcune di queste famiglie avevano antiche consuetudini con la famiglia Pannocchieschi e con l’episcopio volterrano. Nel 1218 il vescovo di Volterra Pagano Pannocchieschi era indebitato per grosse somme con Ildebrandino Cavalcanti e con Cece Gherardini39.

Da rilevare inoltre il fatto che i della Tosa o Tosinghi non solo facevano parte del gruppo dei vassalli dell’episcopato fiorentino, ma erano uno dei due lignaggi detentori dei diritti di vicedominato (insieme ai Visdomini)40. Tra le famiglie di rango consolare che fornirono podestà a Volterra nella seconda metà del Duecento, quella di più recente ascesa sembra essere stata la casata dei Pigli, ben inserita però nell’ambiente della societas mercatorum fiorentina fin dal tardo XII secolo41. Le altre famiglie che abbiamo ricordato – gli Abati, i Donati, i Gherardini, i Tosinghi, i Cavalcanti – contavano tutte dei consules militum fin dai primi anni del Duecento, se non già da prima, poiché i consoli della militia fiorentina sono noti soltanto a partire da quella data42.


I PODESTÀ DI FAMIGLIE LUCCHESI

Per quanto riguarda i podestà e gli ufficiali di provenienza lucchese, le famiglie che risultano avere un rapporto privilegiato con Volterra sono i Morla, i Rapa, i Sandei, i di Poggio, mentre tra i podestà della prima metà del Duecento figura anche un esponente dell’antico lignaggio dei da Porcari: Orlandino di Paganello (1239). Ma nella seconda metà del secolo compaiono anche esponenti di altre famiglie, come i Bernarducci (nel 1283), i da Porta (nel 1284 e nel 1289), i Salamoncelli (nel 1293) e i Carincioni (nel 1299). Anche nel caso dei podestà lucchesi, le famiglie che compaiono sono prevalentemente di origine consolare e, in un caso, quello dei da Porcari, appartenenti a una domus della grande nobiltà rurale. Se consideriamo, ad esempio, la famiglia Sandei, uno dei suoi esponenti – Soffreduccio del fu Uberto – figura tra i Consoli Maggiori nel trattato commerciale stipulato con Modena il 22 febbraio 118243.

Iacopo Sandei e Iacopo Rapa compaiono insieme come consules militum nel giuramento di pace tra Lucca e Pisa del 1228, in compagnia di Orlando Rustichelli di Poggio e di un certo Bonotello44. In una pergamena del 1232 si fa riferimento a un dazio doganale imposto precedentemente al tempo del consolato di dominus Pero Sassi, Iacopo Sandei e soci45. Nel 1250 Iacopo Rapa riappare nelle vesti di vicario della Val di Nievole, della Valle Ariana e della Valle di Lima in un atto rogato a Pescia46. Iacopo Rapa è probabilmente quel Iacopo del fu Talliabue Rapa che compare più volte in atti di compravendita in quegli anni e che nel 1230 acquistava un asbergo per 8 lire di denari lucchesi da un pellettiere47.

La famiglia di Poggio, legata da vincoli vassallatici con il collegio dei canonici della cattedrale e al gruppo dei signori da Bozzano, era una delle casate più potenti e più attive sul piano politico istituzionale tra la seconda metà del XII e il XIII secolo48. Nel 1213 Rustichello di Poggio faceva parte del collegio consolare49. Nel 1236 Guidotto di Tegrimo di Poggio era console dei mercanti e fu scelto insieme al giudice Armanno Parghia come ambasciatore del Comune per stipulare un trattato con Genova50. Diversi membri della famiglia figurano tra i consoli treguani nei primi decenni del Duecento. Nel 1221 compare Ranuccio Rosso, nel 1228 Tegrimo, nel 1233 Orlanduccio del fu Guido Porci51. Nel 1234 Orlandino di Guido faceva parte della Curia dei Treguani52.

Orlandino e Arrigo di Tegrimo di Poggio, soci nella compagnia Ricciardi, nel tardo Duecento risultano essere signori del castello di Sorico in Valdinievole53. Nel 1286 fu eletto vescovo di Ancona Bernardo Di Poggio, cappellano di Onorio IV e cugino di Orlandino e Arrigo54. Anche a proposito dei Morla possiamo parlare di un profilo aristocratico e di un impegno istituzionale ad alto livello. Nel 1278 dominus Ranieri Morla era vicario di Fucecchio e del Valdarno e nel 1318 la casa dei ‘figli Morla’ era sede della Curia dei Treguani55.

Lo stesso profilo aristocratico e magnatizio emerge a proposito delle altre famiglie lucchesi che fornirono podestà a Volterra sul finire del Duecento, sebbene alcune di esse, come i Carincioni e i Salamoncelli, sembrino avere caratteristiche più marcate di aristocrazia urbana e mercantile che non di lignaggi di rango consolare di antica tradizione.

IGNAZIO DEL PUNTA
Circolazione di personale politico nella Volterra del Duecento. L’Estrazione dei Podestà e dei Capitani del Popolo, pp. 153-164
NOTE
1 M.L. CECCARELLI LEMUT, Saggio di cronotassi dei consoli, rettori e podestà del comune di Volterra fino al 1253, in «Quaderno del Laboratorio Universitario Volterrano», VII (2002-2003), pp. 83-89; EAD., I podestà e i capitani del Popolo a Volterra dal 1253 al 1300, ibidem, X (2005-2006), pp. 23-39.
2 I. DEL PUNTA, Circolazione di podestà e intrecci politici nella Volterra del Duecento, parte I (1197-1253), ibidem, XIII (2008-2009), pp. 293-299.
3 Sui Gangalandi cfr. R. PESCAGLINI MONTI, Il castello di Pozzo di S. Maria a Monte e i suoi ‘domini’ tra XI e XIV secolo, in Pozzo di S. Maria a Monte: un castello del Valdarno lucchese nei secoli centrali del Medioevo, Atti del Convegno (Villa di Pozzo, 21 settembre 1997), a cura di P. Morelli, Santa Maria a Monte 1998, pp. 17-74, in part. pp. 25-26; ora in EAD., Toscana medievale. Pievi, signori, castelli, monasteri (secoli X-XIV), Pisa 2012, pp. 325-376. Sui Cadolingi: EAD., I conti Cadolingi, ibidem, pp. 1-13.
4 CECCARELLI LEMUT, Saggio di cronotassi, cit., nota 1, p. 85. Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Comunità di Volterra, 18 gennaio 1245 e 2 novembre 1246.
5 A. ZORZI, I rettori di Firenze. Reclutamento, flussi, scambi (1193-1313), in I podestà dell’Italia comunale. Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII- metà XIV sec.), a cura di J.C. Maire-Vigueur, I, Roma 2000, pp. 453-594, in part. p. 548.
6 CECCARELLI LEMUT, Saggio di cronotassi, cit., nota 1, p. 84. Sui da Galiana, signori del castello di Castiglion Bernardi in consorzio con i Pannocchieschi: M. PAPERINI, Massa di Maremma. Dalla signoria del vescovo all’affermazione del comune cittadino (secoli XI-XIII), tesi di dottorato in Storia Medievale, XXV ciclo, Università di Firenze, pp. 118-145.
7 Rassegna Volterrana, VII (1933), pp. 64-81; G. VOLPE, Vescovi e Comune di Volterra, in ID., Toscana Medievale, Firenze 1964, pp. 143-311.
8 Gli Abati erano una casata di rango consolare, appartenente a quelle famiglie di milites che potevano vantare antiche origini aristocratiche. Cfr. S. DIACCIATI, Popolani e magnati. Società e politica nella Firenze del Duecento, Spoleto 2011, pp. 52-54, 98, 158-159. Su queste casate magnatizie nel tardo Duecento cfr. anche: P. PARENTI, Dagli Ordinamenti di giustizia alle lotte tra Bianchi e Neri, in Ghibellini, Guelfi e Popolo grasso. I detentori del potere politico a Firenze nella seconda metà del Dugento, a cura di S. Raveggi-M. Tarassi-D. Medici-P. Parenti, Firenze 1978, pp. 241-326; C. LANSING, The Florentine Magnates. Lineage and Faction in a Medieval Commune, Princeton 1991.
9 Cfr. CECCARELLI LEMUT, Saggio di cronotassi, cit., nota 1, pp. 85, 87 nota 43.
10 Ibidem, pp. 85, 87-88 note 44-46. Non si hanno notizie relativamente all’anno 1222, ma è possibile che vi fosse allora un ritorno al collegio consolare. Nel codice degli statuti comunali del 1228 si fa riferimento a due rectores in un periodo antecedente. Cfr. EAD., I podestà, cit., nota 1, p. 24; Archivio Municipale di Volterra (d’ora in poi A.M.Vo.), G 4, c. 30v.
11 M.L. CECCARELLI LEMUT – M. RONZANI, Il reclutamento dei podestà a Pisa dall’inizio del XIII secolo alla metà del XIV, in I podestà dell’Italia comunale, cit., nota 5, I, pp. 645-657, in part. p. 646.
12 ZORZI, I rettori di Firenze, cit., nota 5, pp. 490-491, 405, nota 245.
13 O. REDON, Qualche considerazione sulle magistrature forestiere a Siena nel Duecento e nella prima metà del Trecento, in I podestà dell’Italia comunale, cit., nota 5, I, pp. 659-674, in part. p. 659.
14 Ibidem, pp. 660 ss.
15 Sulla circolazione dei podestà e capitani del popolo fiorentini in altri comuni.
16 Su Alberto della Gherardesca, conte di Segalari, che fu podestà di Volterra per due volte con un notevole intervallo di tempo (nel 1227 e nel 1252): M.L. CECCARELLI LEMUT, Nobiltà territoriale e Comune: i conti della Gherardesca e la città di Pisa (secoli XI-XIII), in Progetti e dinamiche nella società comunale italiana, a cura di R. Bordone, G. Sergi, Napoli 1995, pp. 23-10, in part. pp. 65-69, 73-74.
17 CECCARELLI LEMUT, Saggio di cronotassi, cit., nota 1, p. 85.
18 Ibidem.
19 REDON, Qualche considerazione, cit., nota 12, pp. 660-661. Cfr. S. RAVEGGI, I rettori fiorentini, in I podestà dell’Italia comunale cit., I, pp. 593-643.
20 CECCARELLI LEMUT, I podestà cit., nota 1, pp. 23-39, in part. p. 23.
21 A.M.Vo., G 9, c. 74r. Non sappiamo con quali specifiche funzioni, probabilmente con un potere essenzialmente consultivo per quanto riguardava le decisioni più importanti e forse, almeno in parte, legislativo.
22 Cfr. I. DEL PUNTA, Uno statuto di Popolo: Volterra 1253, in «Quaderni del Laboratorio Universitario Volterrano», XI (2006-2007), pp. 179-192.
23 CECCARELLI LEMUT, I podestà cit., p. 23.
24 Ibidem e P. SANTINI, Documenti dell’antica costituzione del Comune di Firenze. Appendice, Firenze 1952, nn. 24-25, 36-37, 39-40, 44-47, 51-54.
25 Gli Uberti furono tra quei casati di solida fede ghibellina che tentarono di rovesciare il comune di Popolo a Firenze fin dai suoi primi esordii e che riassunsero le redini del governo subito dopo Montaperti. Di questo gruppo facevano parte anche gli Scolari e gli Amidei. Cfr. DIACCIATI, Popolani e magnati cit., pp. 194-5 sgg.
26 Sui vescovi volterrani nei secoli precedenti e sui Pannocchieschi si veda: VOLPE, Vescovi e comune di Volterra, cit., nota 7, pp. 143-311; M.L. CECCARELLI LEMUT, Cronotassi dei vescovi di Volterra dalle origini all’inizio del XIII secolo, in Pisa e la Toscana occidentale nel medioevo. A Cinzio Violante nei suoi 70 anni, a cura di G. Rossetti, I, Pisa 1991, pp. 23-57; EAD., I rapporti tra vescovo e città a Volterra fino alla metà dell’XI secolo, in Vescovo e città nell’alto medioevo: quadri generali e realtà toscane, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Pistoia, 16-17 maggio 1998), Pistoia 2001, pp. 133-178; EAD., Ruggero, vescovo di Volterra e arcivescovo di Pisa all’inizio del XII secolo, in Studi di storia offerti a Michele Luzzati, a cura di S.S.P. Scalfati, A. Veronese, Pisa 2009, pp. 53-72.
27 Cfr. DIACCIATI, Popolani e magnati, cit., p. 277. Il nome di Bonaccorso di Bellincione ricorre nei consigli ristretti dove si decidevano questioni di politica estera e interventi militari. Cfr. ibidem, p. 356.
28 Su questa famiglia ho parlato a un convegno organizzato a Coreglia Antelminelli dall’Istituto Storico Lucchese nel 2003, i cui atti non sono mai stati pubblicati. Mi ripropongo di pubblicare prossimamente il testo del mio intervento in forma di articolo.
29 Rispettivamente nel 1280 e nel secondo semestre del 1295. Si noti però che un altro modenese è attestato per l’anno 1253: Ranieri Pancia dei Boccabadati.
30 CECCARELLI LEMUT, I podestà, cit., nota 1, p. 24. I due pisani furono in carica come podestà nel 1283 e nel 1287.
31 Gli Scolari o Scolai discendevano, come i Buondelmonti, da un Raineri di Raineri dei domini del castello di Montebuoni, legati da un rapporto clientelare (di tipo vassallatico-beneficiario) con l’episcopio fiorentino fin dalla metà dell’XI secolo. Il ramo degli Scolai prese il nome da Scolaio di Rolando Rosso, vissuto nel XII secolo. Cfr. M.E. CORTESE, Signori, castelli, città. L’aristocrazia del territorio fiorentino tra X e XII secolo, Firenze 2007 (Biblioteca storica toscana, LIII), pp. 220-221, 339.
32 CECCARELLI LEMUT, I podestà, cit., nota 1, p. 25.
33 Ibidem, pp. 25-26.
34 Sui Tolomei cfr. R. MUCCIARELLI, I Tolomei, banchieri di Siena. La parabola di un casato nel XIII e XIV secolo, Siena 1995.
35 CECCARELLI LEMUT, I podestà, cit., nota 1, p. 25.
36 Ibidem, p. 26.
37 Ibidem.
38 Per un’analisi del rango delle famiglie consolari fiorentine rimando a E. FAINI, Il gruppo dirigente fiorentino dell’età consolare, in «Archivio Storico Italiano», CLXII (2004), pp. 199-231, in part. 223-224 e ID., Firenze nell’età romanica (1000-1211). L’espansione urbana, lo sviluppo istituzionale, il rapporto con il territorio, Firenze 2010 (Biblioteca storica toscana, LXII), passim. L’analisi prosopografica delle famiglie aristocratiche fiorentine realizzata da Faini è disponibile online: Appendici B e C, http://eprints.unifi.it/archive/00001977/01/11-Faini.pdf.
39 Rispettivamente per 353 lire e per 257 lire e 13 soldi: FAINI, Firenze nell’età romanica, cit., nota 34, p. 207.
40 Ibidem, pp. 181-183; G. DAMERON, Episcopal power and florentine society, 1000-1320, Cambridge, MA-London 1991, pp. 98-101, 109-110.
41 FAINI, Firenze nell’età romanica, cit., nota 34, pp. 273, 354.
42 Ibidem, pp. 273-274.
43 L.A. MURATORI, Antiquitates Italicae Medii Aevi, Arezzo 1775, VI, coll. 229 e ss.; L. SIMEONI-E.P. VICINI, Registrum Privilegiorum Comunis Mutine, Modena 1940, p. 69. Cfr. I. DEL PUNTA, Mercanti e banchieri lucchesi nel Duecento, Pisa 2004, p. 29 nota 55.
44 Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, F.M. Fiorentini, 21/03/1228.
45 Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Serviti, 1232.
46 Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Spedale di S. Luca, 13/06/1250.
47 Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Serviti, 18/09/1230.
48 Cfr. R. SAVIGNI, Episcopato e società cittadina a Lucca. Da Anselmo II (+1086) a Roberto (+1225), Lucca 1996, p. 569.
49 Ibidem.
50 I Libri Iurium della Repubblica di Genova, a cura di S. Dellacasa, Genova 1998, IV, p. 36 n. 670 (22 novembre 1239).
51 SAVIGNI, Episcopato e società, cit., nota 44, p. 619.
52 Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, San Ponziano, 31/01/1234.
53 Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Archivio de’ notari, 04/08/1283; 03/11/1292; 01/04/1295.
54 Les Registres d’Honorius IV, ed. M. Prou, Paris 1886-1888 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome), p. 417 n. 601.
55 Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Tarpea, 16/12/1278; Certosa, 12/02/1318.32 CECCARELLI LEMUT, I podestà, cit., nota 1, p. 25.