Se un giorno, con lo sviluppo edilizio, anche la nostra città avrà qualche nuova strada o qualche nuova piazza cui dare un nome, non si dimentichi quello di Giulio Piccini nato a Volterra nel 1849 e morto a Firenze nel 1915. L’incertezza dell’anno di nascita, chiarita poi con la consultazione dei registri conservati nell’archivio del Duomo, fu motivata dall’avere il Piccini stesso, in vita, affermato di non ricordarsene bene, perchè «quando nacqui» diceva «ero piccino».

La frase era accompagnata da un sorrisetto malizioso che valeva come presentazione della sua personalità gioconda, esuberante e scanzonata.

Non importa che la sua nascita a Volterra sia stata determinata dal caso. Egli si sentiva volterrano e ci teneva. Suo padre, Francesco, era un magistrato che per ogni promozione subiva un trasloco. A Volterra rimase per vari anni, tanto da permettere al figlio Giulio di compiervi gli studi fino alla quarta ginnasiale e di sorbire quello spirito caustico dei nipoti di Persio, senza, però, pessimismi.

Appena, e fu prestissimo, cominciò a scrivere e a dare alle stampe qualcosa, si scelse uno pseudonimo che in spagnolo vuol dire «boccale»: Jarro. Il nome vero non apparve mai nè in fondo ai suoi articoli di giornale, nè sulle copertine dei suoi volumi: Jarro, sempre Jarro.

Tombolotto, con gambe piuttosto corte, la faccia tonda e grassoccia sempre lucida e senza l’accenno di un pelo di barba o baffi, non ebbe alcuna esitazione a farsi fotografare in tenuta da cuoco, con tanto di turbante, a cilindro rovesciato, sulla testa, un ampio candido grembiale che gli fasciava la pancetta rotonda e in mano un lungo mestolo immerso in una pentola. La fotografia, con qualche variante, apparte sulla copertina delle quattro edizioni del suo «Almanacco Gastronomico».

Il quale «Almanacco» fu, si può dire, il libro delle pause di lavoro giornalistico di critico teatrale e di scrittore di altri numerosi volumi, fra i quali, preminenti, quelli di teatro.

Jarro fu un lavoratore accanito e mai sazio di studiare e annotare il mondo e i personaggi del palcoscenico e delle platee. Aveva cominciato con un’edizione critica della «Mandragola» del Macchiavelli e con testi riveduti delle commedie di Lorenzino de’ Medici (quel Lorenzaccio che gli storici dicono, anche lui, di Volterra) per giungere fino a Shakespeare e all’Alfieri. Dalle «Origini della maschera di Stenterello» passò alla biografia di Tommaso Salvini e a una «Storia aneddotica dei teatri fiorentini».

Questo, diremo, per quanto si riferisce a saggi di più largo impego da allineare con i più noti e seri studi fatti da altri autori; ma, predominando in lui il senso umoristico, troviamo opere dense di allegra materia che si annunciano con spavalda esibizione fino dal titolo: «Viaggio umoristico nei teatri», «firenze umoristica», «Il naso di Ermete Novelli»

Le sue critiche teatrali di lavoro non avevano mai il tono severo o paterno e ambivalente troppo spesso inserito in quelle di colleghi come Domenico Oliva, Renato Simoni e Silvio D’Amico; erano schiette, aculturali e discorsive. Dopo la prima della «Fedra» di D’Annunzio alla Pergola, scriveva: «Ieri l’altro fui a pranzo da Gabriele, e digerii benissimo il pasto succulento, prelibato e abbondante, ma ieri sera non digerii la sua Fedra». Poi spiegava onestamente e brillantemente i motivi che gli avevano impedito la digestione.

D’Annunzio fu grande amico di Jarro, come Jarro fu ammiratore del poeta, pur essendo di temperamento diverso. Il primo raffinato, aristocratico, sobrio nel mangiare e astemio; il secondo bonaccione, popolaresco, gran mangiatore e buon intenditore di vini, quando s’incontravano in qualche salotto o o nel camerino di un’artista era uno spasso assistere all’incrociarsi rapido delle loro boutades, sicchè avveniva che la padrona di casa o la grande attrice da protagoniste erano ridotte a comparse.

Al barone Franchetti – il musicista autore della «Germania», che si ostinava a inventare pietanze e che un giorno lo invità a visitarlo per sentire un nuovo piatto, Jarro rispose: «Preferisco venire a casa tua per sentire un vecchio pezzo della tua musica».

I suoi «Almanacchi gastronomici», quasi in contrasto con gli «Almanacchi letterari» che gli amici lanciavano sul mercato librario, erano pieni di aneddoti, di aforismi e di battute umoristiche: «Gallina vecchia fa buon brodo; sì è vero, ma occorle farla cuocere in poca acqua con una carota, una cipolla e molto prezzemolo». E più avanti: «E’ più facile trovare tenera una donna che una bistecca alla fiorentina». «L’occhio di triglia della padrona non mi interessa; mi interessa più la triglia».

Un giorno, è sempre un aneddoto interpolato fra una pietanza e l’altra dei suoi «Almanacchi», viene invitato a pranzo da un amico, ma la tavola non gli parve abbastanza raffinata, e quando l’amico azzardò la solita frase di un «pranzetto alla buona, fra amici», Jarro rispose: «Ho capito, stasera che la nostra amicizia è una cosa commovente». A cena in una famosa trattoria del centro, a Firenze, con Renato Fucini, a un tratto accusò un malore allo stomaco e l’autore delle «Veglie di Neri» ordinà un bicchierino di Porto, vino miracoloso, secondo lui. Jarro bevve un bicchierino, assaporò, compiacendosi con l’amico, quella «ricetta miracolosa contro il mal di stomaco» e concluse: «Sai, Neri; mi sento più male che quello che credi. Fa’ portarne qui una bottiglia».

Di Volterra si ricordò quando D’Annunzio vi si recò per una più accurata stesura del «Forse che sì forse che no». Fece sapere al poeta che anch’egli era concittadino di Isabella Inghirami, rammaricandosi di non essere stato a suo fianco nella visita. Ci teneva ad essere nato a Volterra.

Morì come muoiono molti giornalisti: dopo una notte di lavoro, presso il bancone tipografico. L’Europa era già in guerra; Firenze festeggiava il carnevale. Jarro, la notte del 14 febbraio 1915, tornando a casa fu colto da un malore.

© Pro Volterra, UMBERTO FOSCANELLI
Un volterrano dimenticato, Jarro, in “Volterra”

Jarro riposa nel cimitero di Soffiano a Firenze.

Numerosi storici si sono impegnati a raccogliere informazioni su di lui, contribuendo a far emergere la vastità della sua produzione letteraria. Le sue opere includono biografie di figure politiche, romanzi popolari e critiche culinarie. Inoltre, esistono testi e saggi critici su Jarro che offrono un’interessante opportunità di approfondimento per chi desidera esplorare la sua eredità culturale. Seguito ad elencare alcune fonti1.

Il ciclo del Commissario Lucertolo

L’assassinio nel Vicolo della luna (Treves, 1883)

Il processo Bartelloni (Treves, 1883)

I ladri di cadaveri (Treves, 1884)

La figlia dell’aria (Treves, 1884)

Scritti letterario-gastronomici

Almanacco gastronomico. Ricette, meditazioni, facezie e storielle culinarie, ecc. Anno I (1912)

Almanacco gastronomico. Ricette, meditazioni, facezie e storielle culinarie, ecc. Anno II (1913)

Almanacco gastronomico. Ricette, meditazioni, facezie e storielle culinarie, ecc. Anno III (1914)

Almanacco gastronomico. Ricette, meditazioni, facezie e storielle culinarie, ecc. Anno IV (1915)

Romanzi, novelle e racconti

Pace e luce (1874)

Romanzo al lume di luna (1876)

Firenze sotterranea. Appunti, ricordi, descrizioni, bozzetti (1881)

Apparenze (1885)

La polizia del diavolo (1886)

L’istrione (1887)

La duchessa di Nala (1888)

La vita capricciosa (1888)

La principessa (1894)

Amore d’artista (1901)

Mime e ballerine (amore d’artista) (1910)

Le novelle del cinematografo (1910)

La moglie del magistrato (1915)

Saggi, scritti umoristici e teatrali

Ricordi biografici (1881)

Firenze sotterranea (1881), che denunciava le precarie condizioni della zona del Mercato Vecchio, contribuendo alla demolizione di quest’area tra il 1885 e il 1895.

Prefazione, Almanacco della vendetta (1886)

Fantasie e capricci (1887)

Attori, cantanti, acrobati. Memorie umoristiche (1887)

L’Otello di Shakespeare. Studio critico (1888)

Vita di Ubaldino Peruzzi (1891)

Memorie di un impresario fiorentino (1892)

Sul palcoscenico e in platea. Ricordo critici e umoristici (1893)

Le allegre giornate e i nuovi ghirbizzi di miss Prunella. Libro umoristico (1894)

La questione semitica nel “Mercante di Venezia”. La interpretazione del carattere di “Shylock”. Osservazioni critiche di Jarro (1895)

Vittorio Alfieri a Firenze. Racconto storico di Jarro, su documenti inediti (1896)

Sul palcoscenico e in platea. Ricordo critici e umoristici, seconda edizione riveduta e ampliata (1897)

Attori, cantanti, concertisti, acrobati. Ritratti, macchiette, aneddoti, memorie umoristiche. Seconda edizione aumentata e interamente rifusa (1897)

L’origine della maschera di Stenterello (1898)

Firenze umoristica. Macchiette e fantasie (1898)

Pagine allegre (1899)

Il naso di Ermete Novelli (1900)

Gioacchino Rossini e la sua famiglia (1902)

Viaggio umoristico nei teatri (1903)

Intervista con un ladro. Commedia-monologo (1906)

Vita aneddotica di Tommaso Salvini (1908)

Memorie di una prima attrice. Laura Bon (1909)

Emma Ivon. Studio critico

Storia aneddotica dei teatri fiorentini (1912)

Le avventure di un viaggiatore fiorentino (1912)

Alessandro Scarlatti. Studio aneddotico su documenti originali (1914)

Traduzioni

Emilio Castelar, Storia di un cuore (1889)

Testi e saggi critici su Jarro

Niccolò Nobili, La carità in Firenze. Risposta alla Firenze sotterranea di Jarro (1885)

Jarro per il futurismo (1910)

Renato Simoni, Gli assenti (1920)

Yambo, Jarro (Giulio Piccini), Almanacco dei Visani (1939)

Guglielmo Lo Curzio, Ottocento minore. Incontri e pretesti (1950)

Giovanni Gelati, Jarro un umanista in cucina (1974)

Jarro, una mente arguta, in JARRO, Firenze Sotterranea. Appunti. Ricordi. Descrizioni. Bozzetti (1998)

Marco Villoresi, La letteratura poliziesca e del mistero ambientata a Firenze. Contributo per un itinerario di ricerca (2001)

© Volterracity, MARCO LORETELLI
Integrazione a completamento dell’articolo originario.
1 Giulio Piccini. Wikipedia. Disponibile su: https://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Piccini.