Come e quando sia stata regolamentata l’illuminazione delle strade della città di Volterra al tempo dei Medici, dei Lorena, dei Borboni e ancora dei Lorena, non si sa: forse, scartabellando deliberazioni e scartoffie con più cura, può darsi di venirne a capo!
Oggi come ieri si conosce soltanto la regolamentazione dell’illuminazione delle strade di Volterra, grazie al quaderno di oneri approvato dalla “Comune” il 15 maggio 1863; sindaco, il cavalier Niccolò Maffei. In precedenza provvedevano gli eredi del signor Giovanni Maltinti e, prima ancora, il suddetto Giovanni Maltinti, aiutato quasi certamente dai suoi familiari.
Si viene intanto a sapere che in quel 1863 l’accollo dell’illuminazione era stato affidato in via sperimentale al signor Giusto Gabellieri, limitatamente a un anno, con eventuale disdetta da presentare due mesi prima della scadenza. In proposito si disse che i lampioni, tutti a una fiaccola, tutti con bracci di ferro, dovevano rimanere i già esistenti, più due nuovi da piazzare in via Chinzica e in via Poggetto, per un totale di trentasei, compresi quello di casa Norchi in via Campanile (oggi via Roma), quello di palazzo Viti in via Sarti e quello di palazzo Beltrami, sul canto di via Nuova (oggi via Gramsci). Questi ultimi tre venivano mantenuti a conto della Comune.
L’elenco:
In via del Campanile, casa Norchi: lampione nuovo di latta, a due riverberi e a due bracci.
In via Sarti, palazzo Viti (Accademia dei Riuniti): lampione di latta a due riverberi grandi di getto e a due bracci.
In via Nuova, palazzo Beltrami: lampione di rame con lucerna a cilindro, a due riverberi di latta e a due bracci.
In piazza Maggiore, palazzo dei Priori: lampione di latta a due riverberi grandi di getto e a un braccio.
In via Ricciarelli, casa Ricciarelli: lampione di latta a due riverberi mezzani di getto e a due bracci.
In via della porta S. Francesco, casa Falconcini: lampione di rame a due riverberi mezzani di getto e a due bracci.
In via della porta S. Francesco, convento di S. Lino: lampione di latta a due riverberi mezzani di getto e a tre bracci.
In via della porta S. Francesco, casa Veroli: lampione di latta a due riverberi grandi di getto e a tre bracci.
In via S. Felice, casa Pochini: lampione di latta a due riverberi di latta e a tre bracci.
In via del Crocifisso (oggi via Franceschini), casa Giustarini: lampione di rame a due riverberi grandi di getto e a due bracci.
In via S. Filippo, casa Volterri: lampione di latta con un riverbero piccolo di getto e due di latta e a due bracci.
In via delle Mura (oggi via Persio Fiacco), spedale: lampione di rame a due riverberi di latta e a due bracci.
In piazza S. Giovanni, Vergine Maria: lampione di rame a due riverberi mezzani di getto e a due bracci.
In via S. Giovanni (oggi via Turazza), casa Buonuomini: lampione di latta a due riverberi mezzani di getto e a tre bracci.
In vicolo del Monte (oggi del Cai), stabilimento del Monte Pio: lampione di latta a lucignolo, con due riverberi di latta e a tre bracci.
In piazza Maggiore, palazzo Pretorio: lampione di rame con tre riverberi di Panckfong e a tre bracci.
In via delle Prigioni, palazzo Pretorio: lampione di rame a due riverberi grandi di getto e a tre bracci.
In via dell’Ortaccio, casa Ruggeri: lampione di rame a due riverberi di latta e a tre bracci.
In via dell’Ortaccio, Pescheria: lampione di latta a due riverberi di latta e a due bracci.
In piazza dei Ponti, palazzo Guidi: lampione di rame a due riverberi grandi di getto e a tre bracci.
In via Guidi (oggi via Matteotti), palazzo Guidi: lampione a confino1 a due bracci.
In via Guidi, casa Falugi: lampione di rame a due riverberi di getto e a tre bracci.
In via Nuova (oggi via Gramsci), casa Sanfinocchi: lampione di rame a due riverberi grandi di getto e a tre bracci.
In via porta a Selci (oggi via don Minzoni), casa Leonori: lampione di latta a due riverberi grandi di getto e a tre bracci.
In via porta a Selci, casa De Luigi: lampione di rame a due riverberi mezzani di getto e a tre bracci.
In via porta a Selci, casa Ciceroni: lampione di rame a due riverberi grandi di getto e a due bracci.
In via di Sotto, casa Pagnini: lampione di rame a due riverberi di latta e a due bracci.
In via di Sotto, casa Ginori: lampione di latta a due riverberi di getto e a tre bracci.
In piazzetta di S. Michele, palazzo Guarnacci: lampione di rame a due riverberi grandi di getto e uno di latta e a tre bracci.
In via della porta Fiorentina, casa Luchini: lampione di latta a due riverberi mezzani di latta e a tre bracci.
In via Sarti, casa Ruggeri: lampione di rame a due riverberi grandi di getto e a tre bracci.
In via Sarti, palazzo Solaini: lampione di rame a due riverberi mezzani di getto e a tre bracci.
In via della porta all’Arco, casa Lazzerotti: lampione di rame a due riverberi mezzani di getto e a tre bracci.
In via del Mandorlo, casa Viti: lampione di rame a due riverberi di latta e a due bracci.
In via del Poggetto, casa: lampione di latta a due riverberi di latta e a un braccio.
In via Chinzica, casa Banani: lampione a due riverberi grandi di getto e a un braccio.
Come si nota, i trentasei lampioni erano stati apposti sui canti e sulle facciate delle case della sola città; ciò porta a pensare che i quattro borghi volterrani non erano serviti, in quei tempi bui, dove e quando i fantasmi della “Mano nera” avevano buon gioco.
«Splenda o no la luna», i lumai2 dovevano incominciare ad accendere i lumi alle ore 243, in modo che alle ore 24:30 tutti i lumi fossero accesi. Lo spegnimento doveva avvenire alla cosiddetta mezza-notte, fatti salvi i lampioni del palazzo dei Priori e del Monte Pio, i quali dovevano restare accesi fino allo spuntare del sole.
In caso di spettacolo, da protrarsi fino alle ore 12 della notte4, i lampioni dovevano spegnersi mezz’ora dopo, su ordine del Sindaco. L’accensione dei trentaquattro “lampioni a mezza-notte” non doveva avvenire nelle due sere precedenti il plenilunio, ancor meno nella sera stessa del plenilunio e neppure nella sera successiva, stante il cielo sereno; altrimenti l’appaltatore doveva rendersi reperibile fin dalle ore 23 italiane per ascoltare il parere dell’ingegnere comunale signor Guerrieri, e per decidere sul da farsi.
Talvolta, specie nei mesi estivi, senza pregiudizio per l’illuminazione, poteva l’appaltatore, d’accordo con l’amministrazione comunale, ritardare per quel tanto l’accensione: nel qual caso veniva tenuto conto del minor consumo dell’olio. Naturalmente l’appaltatore aveva anche altri obblighi, come per dire: smoccolare i lumi sbruciacchiati; tenere cenci puliti per far risplendere i cristalli ed i reverberi; tenere un locale in città per il deposito delle scale e degli attrezzi; presentare i nomi dei lumai negli avvicendamenti; espletare il servizio con due uomini almeno; tenere sempre le lucerne colme d’olio; tenere il nastro di miccia, o calza che dir si voglia, sufficiente almeno per due sere; adoperare olio di oliva chiaro-lampante; usare nastri di miccia larghi dieci denari di braccio5 (pari a millimetri ventiquattro) e farli restare fuori dalla bocchetta denari due e mezzo (pari a millimetri cinque), all’oggetto di render la luce viva e chiara; ripulire ogni giorno i recipienti dell’olio; pulire le lucerne a luna piena, con ranno vergine, per purgarli della muscosità; lustrare i reverberi, ovverosia le parabole, col rosso d’Inghilterra polverizzato: in prima, finissimamente; in seconda, sospeso nell’acqua, come per dire decantato per renderlo tanto impalpabile da non sgraffiare i reverberi; e per ultimo, tenere i cristalli lucidi e tersi ogni giorno, con olio di vetriolo allungato.
Ce n’era ben donde!
Per contro erano previste anche penalità. Lire una e cinquanta centesimi di multa ogni lucerna o lampione non pulito; ogni lampione che versa olio; ogni lampione spento: nel qual caso una guardia, o un carabiniere, si doveva presentare al magazzino per costringere il lumaio di guardia a seguirlo per rimediare il fallo lì per lì. In caso di rifiuto la pena veniva elevata a lire tre e (nel caso) nella ritenuta del valore dell’olio per il tempo di quel lume spento.
Al lumaio veniva pure affibbiata la multa di una lira e cinquanta centesimi se non riportava la scala al suo posto, appena trascorso il tempo per accendere e spegnere i lampioni; di altrettanta multa veniva colpito per una scala abbandonata o non bollata6.
Erano pure previste eventuali rotture di cristalli o di reverberi da parte di ignoti, per causa di sasso, di palla o di checchessia e l’amministrazione l’aveva volute dettagliare così le rotture: fatto salvo il caso di forza maggiore, l’appaltatore doveva rispondere del danno dato; come dire che l’appaltatore cercasse da sé il colpevole e così sia. Detto ciò la rottura doveva essere verificata entro le ore 24 e, accertato il rotto, doveva rimetterlo a nuovo sul subito. Se del caso, poteva l’amministrazione comunale rimuovere o spostare il lampione malmesso o male posizionato, per evitare almeno in parte il ripetersi dell’inconveniente. A miglior causa ed affinché tutto procedesse speditamente, certe penalità venivano detratte dal mensile e date in ricompensa al denunziante.
Per quanto sopra esposto, per l’espletamento del servizio, l’appaltatore riceveva L. 850 lire, ricavate da questo conteggio:
Per ogni lampione a una miccia, con uno o più reverberi, L. 53,15 all’anno
Per il lampione a due micce L. 88,60
Per il lampione a una miccia, dall’Ave Maria (cioè dal tramonto) al levar del sole L. 100,00
Per il lampione a lucignolo per tutto il corso sera-notte per illuminare la strada del Monte Pio L. 56,00
Sul finire facevano seguito queste disposizioni di uso ricorrente: garanzia in solido; spese a carico dell’appaltatore; riconsegna dell’appalto alla Comune; divieto di cedere in sub-appalto; riserva del Sindaco di fare eventuali variazioni, e di contestare contravvenzioni, e di assegnare l’appalto a persona valida e di rescindere il contratto in tronco se, come e qualmente.
Pochi anni più tardi incominciò a Volterra l’illuminazione a petrolio. Il primo esperimento fu fatto il 10 gennaio 1866, in via Sarti, per incarico assunto dal cav. uff. Amerigo Viti, per L. 60,45, fino al trenta dicembre dello stesso anno.