Una volta esaminati i rapporti di San Marco dal punto di vista più strettamente religioso nella sua dipendenza giurisdizionale dal monastero di San Giusto e nell’appartenenza alla Congregazione di Camaldoli, conviene ora volgersi a tutti quei legami che univano la prioria all’ambito più strettamente urbano. Già il Calendario di s. Ugo e l’inserimento nel cerimoniale di accoglienza riservato al nuovo vescovo al suo primo arrivo a Volterra attestano il ruolo fondamentale che San Marco rivestiva nell’organizzazione territoriale della Chiesa cittadina³⁶.

> Sommario, Gli sviluppi della Chiesa di San Marco nella comunità monastica


IL RAPPORTO CON LA CITTÀ: SAN MARCO, L’AREA DI PRATOMARZIO E IL COMUNE VOLTERRANO

L’importanza a livello pastorale della prioria sull’area circostante emerge non solo dal fatto che già in un documento del 1213 San Marco venne definita esplicitamente come la chiesa di Pratomarzio³⁷, sancendo la forza del legame con tutto quel settore della città, ma anche dalle disposizioni testamentarie degli abitanti della contrada. In particolare si rivelano estremamente utili a tal fine alcuni testamenti rogati a Volterra nel 1348: si tratta di una decina circa di documenti che si caratterizzano per il rilievo che la prioria riveste all’interno delle disposizioni³⁸.

La prima caratteristica che accomuna tra di loro tutti i testatori è rappresentata dalla loro appartenenza a quel settore della città, esplicitata dalla formula contrate Pratomarçii, cui si aggiunge la comune volontà di essere sepolti in San Marco, mostrando quindi come quest’ultima rappresentasse a quell’epoca un importante punto di riferimento per le sepolture. Estremamente indicativo di queste tendenze può considerarsi il testamento di Baldino del fu Barduccio da Pratomarzio, rogato il 17 giugno del 1348. Dopo aver disposto la propria sepoltura nella chiesa («in primis iudicavit corpus suum sepelliri apud ecclesiam Sancti Marci iuxta Vulterras»), vengono stabilite tutta una serie di offerte che i suoi fidecommissari devono corrispondere ai poveri di diverse contrade della città, tra cui, oltre a San Giusto e Montebradoni (ai cui poveri sarebbe andata una quarra e mezzo di cereale in pane cotto), vengono inseriti anche i bisognosi di Pratomarzio, ai quali sarebbe andato l’avanzo («residuum vero dicti grani iudicavit pauperibus dicte contrate Pratomarçi»). La forte impronta locale emerge anche dalla lettura della disposizione successiva, con la quale Baldino stabilisce che la sua casa all’interno della contrada sia trasformata in un ospedale per la cura e l’assistenza dei bisognosi, cui lascia una parte dei propri averi come dotazione³⁹.

Il lascito di offerte in denaro a beneficio di San Marco si riscontra in altri testamenti di questo periodo, come quelli di Nuto del fu Nerio da Pratomarzio con 40 soldi, o di Giusto del fu Ristoro con 5 lire e il lascito di una tovaglia per l’altare della chiesa. In altri casi, il rapporto con la prioria da parte dei fedeli sembra molto più stretto, come sembrerebbe suggerire la designazione di San Marco a erede nei testamenti di Pietro di Ciacchino (che oltre alla chiesa aveva nominato suo erede il nipote Matteo) e di Pacino del fu Spigliato. Spesso questo legame si esprime tramite la designazione del priore o degli operai a fidecommissari: è il caso ad esempio dell’operaio Andrea di Vannuccio, che vi figura nei testamenti di Nuto del fu Nerio, di Giusto di Giovanni e di Giovanni di Cantino (insieme al collega Buzello di Duccio), mentre il priore Antonio si trova con tale qualifica nei testamenti di Lippo del fu Nerio di Bonaventura e Pacino del fu Spigliato.

Il veloce esame di questa serie testamentaria del 1348 permette così di rilevare lo stretto radicamento di San Marco nell’area circostante e il legame che tanto la prioria quanto l’Opera seppero stringere con i suoi abitanti. Ma i rapporti con Volterra e la sua realtà urbana trascendevano la sola area di Pratomarzio. Secondo una tendenza consueta in questi secoli del Medioevo non era inusuale che i monaci fossero coinvolti nell’amministrazione cittadina con ruoli nella cancelleria o negli uffici elettorali. Il priore di San Marco non sfuggì a questa logica e lo troviamo attestato nel 1387 come commissarius Camere del Comune di Volterra, ossia con un incarico di carattere strettamente economico in quella che era allora la tesoreria cittadina⁴⁰. La partecipazione del priore ai meccanismi del governo non si limitò a quel singolo episodio e in certe occasioni rivestì incarichi di rappresentanza anche di una certa rilevanza, come quando il 29 agosto 1402 l’allora priore Giusto fu designato dalle autorità cittadine come ambasciatore a cavallo e un famiglio al seguito per recarsi a Pisa a causa del furto di alcuni capi di bestiame⁴¹.

Il rapporto con le autorità, così come si configura sfogliando la documentazione, sembra caratterizzarsi anche per la partecipazione del priore, insieme ai rettori dei principali enti religiosi cittadini, alle celebrazioni dei Santi Cosma e Damiano presso il Palazzo dei Priori (27 settembre). Il coinvolgimento diretto in una festività religiosa ma dal forte sapore municipale emerge infatti dalla disposizione di apposite elemosine per il 10 ottobre 1402⁴², il 30 ottobre 1404⁴³ e il 24 ottobre dell’anno seguente⁴⁴. La vicinanza con le stanze del potere si manifestava anche attraverso aspetti di carattere più materiale: non è inusuale infatti trovare il priore all’interno dei proposti di pagamento stanziati dai priori di Volterra, nell’inedita veste di fornitore di quaderni di pergamena per la Cancelleria e la Camera del Comune⁴⁵. A ciò, e a ulteriore testimonianza dell’importanza che la prioria rivestiva agli occhi delle autorità cittadine, corrispondeva una speciale attenzione professionale di speziale (indicata nelle fonti con il termine di aromatarius), d’accordo con altri personaggi quali Michele di Silvestro Fei e Battista di Ormanno Treschi⁴⁸.

Con il primo di questi, Michele, era in strettissimi rapporti che travalicavano il semplice ambito professionale (un documento del 21 maggio 1426 li qualificava come «tamquam socii in arte aromataria», e sembra che i due tenessero una bottega in comune nella contrada di Piazza)⁴⁹, se nel suo testamento del dicembre 1413 il Fei lo aveva nominato tutore dei suoi figli e suo esecutore testamentario⁵⁰. Inoltre, il Guaschi era stato tra i testimoni, pochi giorni prima, dell’atto con cui le monache del convento di Santa Chiara il 21 novembre 1413 stabilivano di concedere a Michele una loro possessione con casa alle Pendici insieme a un secondo terreno per un canone annuo di 27 lire: l’aspetto più importante di quella procedura, che tradiva le reali motivazioni e insieme l’intreccio di attività tra loro complementari esercitate da queste figure, fu la condizione che il Fei provvedesse a sistemare la casa e a trasformarla in una conceria⁵¹. Che infatti esistesse un legame stretto tra la sorveglianza sulla fabbrica di San Marco e su quella della chiesa di San Giusto (anch’essa dipendenza della badia), sulle alienazioni e sullo stato del patrimonio ecclesiastico⁴⁶. Questa cura particolare si traduceva anche nella ricomposizione delle controversie che potevano coinvolgere la prioria e i cittadini volterrani. Un episodio in particolare, svoltosi proprio all’interno della Camera del Comune, illustra perfettamente questo caso: il 9 aprile del 1426 infatti l’allora priore Francesco di Bartolomeo stipulò pace e giustizia («perfettam et perpetuam pacem et iustitiam et remissionem») con tale Michele di Bindaccio, abitante nella contrada di San Giusto, reo di aver dato fuoco ad alcuni ulivi posti in una delle proprietà di San Marco nella località di Coiano⁴⁷. L’aspetto più significativo di questa composizione, oltre alla menzione degli ulivi nelle proprietà della chiesa secondo quanto rilevato dall’esame dell’estimo camaldolese della fine del Duecento, è il coinvolgimento in qualità di testimone di un personaggio di assoluto spicco nel panorama politico ed economico della Volterra del tempo: Bartolomeo di ser Potente Guaschi, che allora ricopriva l’ufficio di camerario del Comune. Abitante nella contrada di Sant’Angelo, Bartolomeo nutriva numerosi interessi economici nel traffico di vetriolo e nella professione di speziale e l’attività di concia è infatti attestata nelle fonti volterrane quando sempre nel novembre 1413, una decina di giorni prima del contratto con le monache di Santa Chiara, troviamo Michele procedere all’acquisto di 30.000 libbre di foglie di mirto, un prodotto che oltre a usi farmaceutici svolgeva un ruolo importante nella lavorazione del cuoio e delle pelli: a quell’atto, stipulato nella sua bottega, partecipava come testimone anche l’altro speziale che abbiamo sopra ricordato, Battista di Ormanno⁵². La versatilità imprenditoriale di una figura come Michele di Silvestro Fei trovava del resto riscontro nella varietà di prodotti che era possibile acquistare presso una bottega di speziale, un sintomo di come all’attività farmaceutica se ne affiancasse un’altra più marcatamente commerciale, e dove oltre a medicamenti ed erbe era possibile trovare anche frutta secca, vernici e inchiostri, carta, cera, profumi, colla o sapone⁵³. I propositi di pagamenti che i priori di Volterra spedivano al camerario si rivelano a tal fine illuminanti e permettono di toccare con mano le merci che il Fei e lo stesso Bartolomeo di ser Potente vendevano agli uffici del Comune di Volterra: inchiostro, cera, lampade, fiaccole, calce, ceri, quaderni e registri su cui scrivere⁵⁴. Risulta curioso come proprio tra questi pagamenti disposti dalle autorità cittadine ai nomi dei due speziali si intrecci anche quello del priore di San Marco che, come si è ricordato prima, riforniva anche lui alcuni uffici di materiale di cancelleria.

Altrettanto stretti erano i legami di carattere professionale tra Bartolomeo di ser Potente e Battista Treschi, insieme al quale nel 1428 aveva compiuto un grosso investimento con l’acquisto per 500 fiorini di una porzione consistente del palazzo con torre e relative botteghe e magazzini «all’Incrociata dei Baldinotti»⁵⁵.

Battista inoltre figura spesso in qualità di testimone insieme al Guaschi ad atti o compravendite riguardanti Michele di Silvestro Fei e aventi luogo nella sua bottega⁵⁶. A questi stretti rapporti professionali, che legavano tra di loro le figure dei tre aromatarii, corrispondeva anche un forte coinvolgimento nella vita politica volterrana che si traduceva nella loro partecipazione diretta a uffici e magistrature di rilievo del Comune.

Per limitarsi agli incarichi più importanti, Bartolomeo era stato priore tra l’agosto e il settembre 1401⁵⁷, camerario dell’Abbondanza per un anno dal 1º marzo 1406⁵⁸ e camerario generale del Comune tra il gennaio e l’agosto 1426⁵⁹, mentre l’anno successivo aveva ricoperto uno dei posti tra gli officiales grani et biadi del Comune⁶⁰: una preponderanza di uffici quindi di carattere economico e finanziario, che dimostrano le sue capacità imprenditoriali e la sua dimestichezza col denaro⁶¹. Allo stesso modo, anche Michele di Silvestro Fei aveva ricoperto incarichi estremamente importanti per il governo di Volterra: nel 1400 era stato nominato dai priori insieme a Nicola di Michele Maffei in una apposita commissione per la verifica delle spese comunali⁶², quindi coadiutore dei priori tra il dicembre 1400 e il marzo 1401⁶³; nel novembre di quello stesso anno era stato estratto per il successivo collegio priorale, ma aveva rifiutato⁶⁴, e il mese successivo finiva per diventare il responsabile della dogana pecunie⁶⁵. Nel 1406 venne nuovamente estratto tra i membri del collegio priorale in carica per il bimestre aprile-maggio e stavolta accettò senza indugio la nomina⁶⁶.

© Rassegna Volterrana, ANDREA BARSACCHI
“La prioria di San Marco. Per uno sguardo alle vicende di Volterra tra Tre e Quattrocento”, in Rassegna Volterrana, Anno XCVIII, 2021, pp. 3-24.
36 DUCCI, La giurisdizione, cit., p. 156.
37 FURIESI, GUELFI, LESSI, BAGLINI, La città e il territorio, cit., p. 511, ‘Borgo San Giusto’.
38 In ASDV, Curia, Notarile nera, 4, ad testatorem. Si tratta dei testamenti di Baldino di Barduccio da Pratomarzio, Nuto del fu Nerio da Pratomarzio, Gualtiero del fu Ghino da Pratomarzio, Lucia del fu Giovanni da Pratomarzio, Jacopo del fu Nerio da Pratomarzio, Lippo del fu Nerio di Bonaventura da Pratomarzio, Pietro di Ciacchino da Pratomarzio, Pacino del fu Spigliato, Giusto di Giovanni da Pratomarzio, Giusto di Ristoro da Pratomarzio e infine Giovanni di Cantino da Pratomarzio. Per un quadro complessivo si veda la relativa tabella in PAGANELLI, Jacopo da Certaldo, cit., pp. 51-52.
39 ASDV, Curia, Notarile nera, 4, ad testatorem: «Et quod de sua domus posita in contrata Pratomarçi sue habitationis fiat quoddam hospitalem pro pauperibus Xristi tenendum in quo hospitale deveniant omnia sua bona relicta dictis pauperibus […]».
40 CABY, De l’érémitisme rural, cit., p. 501. Sulla partecipazione dei monaci agli uffici comunali si veda soprattutto C. CABY, Hermits for communes: the Camaldolese in the service of the communes of central and northern Italy in the thirteenth to fifteenth centuries, in Churchmen and Urban Government in Late Medieval Italy c. 1200-c. 1450. Cases and Contexts, Cambridge, University Press, 2013, pp. 268-284.
41 ASCV, A 29 nera, terzo fascicolo, c. 34v. Che l’ambasciata fosse dovuta al furto di alcuni animali (‘pro bestiis raptis’) si ricava dal proposito di pagamento a beneficio del priore di San Marco inoltrato al camerario del Comune il 26 settembre 1402 (ivi, c. 43v).
42 Ivi, c. 46v. In tale occasione parteciparono anche il custode della Sacrestia della cattedrale di Volterra, il guardiano del convento francescano cittadino e il priore di Sant’Agostino. L’offerta stanziata per San Marco, in ragione di 5 soldi per sacerdote e 3 per semplici chierici, fu di 15 soldi dato che insieme al priore parteciparono altri due monaci con il sacerdozio.
43 ASCV, A 31 nera, primo fascicolo, c. 25r: stavolta il priore partecipò con altri 4 sacerdoti, ottenendo un’offerta di 25 soldi.
44 Ivi, sesto fascicolo, c. 18v. In questo caso l’offerta salì a 28 soldi perché al priore e ai quattro sacerdoti si aggiunse un chierico.
45 Ivi, c. 78v (del 28 maggio 1406: «pro duobus quaternis carte menbrane pro cancellaria et pro camera»), c. 113r (datato 29 settembre 1406: «pro uno quaterno carte membrane pro reformationibus comunis et pro uno quaterno pro camerario») e c. 149r (del 30 gennaio 1407: «pro duobus quaternis carte membrane pro cancellaria comunis»).
46 CABY, De l’érémitisme rural, cit., p. 494: questa attenzione speciale per il monastero (intitolato a uno dei santi patroni di Volterra) e per le sue dipendenze si tradusse negli statuti cittadini del XIII secolo nell’elezione ogni anno da parte del podestà e del suo consiglio di due appositi visitatori incaricati di sondare il tesoro e i beni mobili di proprietà del cenobio.
47 BGV, ms. 8498, c. 131r: «Dopnus Franciscus filius olim Bartalomey Iusti ordinis Chamaldulensis et prior Sancti Marci de Vulterris fecit et redidit per se et suos successores Michaelli Bindinacci contrate Sancti Iusti de Vulterris […] perfettam et perpetuam pacem et iustitiam remisionem de quadam quistione et arsura facta per dictum Michaellem de quattuor oliviis in quadam possessione monasterii Sancti Marci sita in loco dicto Coiano […]». Sulla località di Coiano si veda IRCANI, Il quotidiano, cit., pp. 149, nota 47 e 196: sulla possibile identificazione con Corbano si può ipotizzare che il terreno in cui erano stati bruciati gli alberi nel 1426 possa identificarsi con uno di quelli dichiarati nel catasto del 1429, quando tra le rendite per l’oratorio di San Tomeo dipendente dalla prioria fu elencata anche quella da una terra situata proprio a Corbano (mentre non vi si trova menzione alcuna di Coiano): ivi, p. 137.
48 Su Bartolomeo di ser Potente Guaschi si veda l’analisi della relativa portata al catasto del 1429 ivi, pp. 98-99. Per una panoramica sulla professione dello speziale, con particolare attenzione alla realtà fiorentina nei catasti del 1427 e del 1480, rimando ad A. ASTORRI, Appunti sull’esercizio dello Speziale a Firenze nel Quattrocento, «Archivio Storico Italiano», CXLVII (1989), 1 (539), pp. 31-62; sugli speziali di Volterra e il commercio di vetriolo nel 1429 si veda invece IRCANI, Il quotidiano, cit., pp. 46-48. Sul vetriolo e gli altri prodotti dei soffioni boraciferi, spesso oggetto di commercio da parte di questa categoria, è d’obbligo il rimando a E. FIUMI, L’utilizzazione dei lagoni boraciferi della Toscana nell’industria medievale, Firenze, Cya, 1943.
49 ACV, F nera, 5, c. 112v: si tratta della vendita da parte di Bartolomeo e Michele di quattro terreni posti a Guardistallo ad Antonio del fu Jacopo, per un prezzo complessivo di 6 lire.
50 BGV, ms. 8502, cc. 37-39 (datato 3 dicembre 1413). Le case di entrambi, vale la pena notarlo, erano molto vicine tra di loro e si trovavano nella contrada di Sant’Angelo (IRCANI, Il quotidiano, cit., p. 99).
51 BGV, ms. 8502, cc. 29-31 (l’atto era stato stipulato il 21 novembre 1413), in particolare sull’impianto della conceria a spese del Fei: «Item facere in dicta domo omne edifitium quod facere voluit pro arte choncie choiaminis et seu alterius cuiusdam edifitii pro ut sibi placuerit […] omnibus suis suntibus et expensis». Nel catasto del 1429 gli eredi di Michele dichiararono il possesso di una conceria in località Vallebuona insieme a un deposito di cuoiame in una casa della contrada di Castello occupata dai soldati (IRCANI, Il quotidiano, cit., p. 48). Su questa attività e sui conciatori attestati a Volterra si veda ivi, pp. 48-49.
52 BGV, ms. 8502, c. 26 (atto del 13 novembre 1413: non è da escludersi che quell’acquisto fosse stato congegnato anche in vista dell’avvio di una propria attività di conceria).
53 ASTORRI, Appunti, cit., p. 33. Sulla versatilità dimostrata dall’attività del Fei occorre notare il fatto che fu anche immatricolato nell’Arte della lana, oltre ad aggiudicarsi nel 1403 l’affitto delle lumaie di Sasso: in FIUMI, L’utilizzazione dei lagoni boraciferi, cit., pp. 154 e 156.
54 Si vedano ad esempio ACV, A 29 nera, c. 43v (del 26 settembre 1402); ACV, A 31 nera, primo fascicolo, c. 14r (del 29 settembre 1404); ivi, sesto fascicolo, c. 20r (datato 28 ottobre 1405); ivi, cc. 112v-113r (del 29 settembre 1406); ivi, cc. 124v-125r (datato 4 novembre 1406); ivi, cc. 131v-132v (del 30 novembre di quello stesso anno); ivi, cc. 141v-142r (datato 31 dicembre 1406); ivi, cc. 149r-150r (del 30 gennaio 1407).
55 ACV, F nera 5, c. 163r: l’Incrociata dei Baldinotti corrisponde all’attuale via dei Marchesi (IRCANI, Il quotidiano, cit., p. 73). Nel catasto del 1429, Bartolomeo infatti si dichiarò socio del Treschi in quella bottega, in IRCANI, Il quotidiano, cit., p. 98. Battista, al contrario del Guaschi e del Fei che risiedevano in Sant’Angelo, abitava nella contrada di Piazza, non lontano dalla bottega di spezieria (IRCANI, Il quotidiano, cit., pp. 73-74).
56 Si vedano BGV, ms. 8502, secondo fascicolo, c. 66 (del 18 settembre 1414: vendita a Michele Fei di vari appezzamenti di terra nella località di Buriano fatta dai procuratori della fraternità di Santa Maria di Volterra); ivi, terzo fascicolo, c. 83 (datato 16 gennaio 1415); ivi, c. 108 (dell’11 luglio 1415: Ormanno, padre di Battista, insieme a Pietro del fu Stefano del fu Gano approva gli atti compiuti dal figlio a loro nome e lo nomina insieme a Bartolomeo di ser Potente loro procuratore «ad prosequendum quadam reclamina posita contra Cecchum et Pierum olim Iusti de Chorrano et ad producendum testes»).
57 ACV, A 29 nera, secondo fascicolo, c. 17.
58 ACV, A 31 nera, sesto fascicolo, c. 46r. Quello stesso anno, il 31 luglio, era stato estratto tra i rappresentanti del notaio dei bandi (ivi, c. 99r) e inoltre figurava tra i membri del Consiglio Nuovo eletti dai priori il 15 ottobre (ivi, c. 119v-120r).
59 Si veda, oltre al già citato BGV, ms. 8498, c. 131r, relativo alla prioria di San Marco, ACV, F nera, 6, quarto fascicolo, 1426 gennaio 7 e 1426 gennaio 14-1426 agosto 31.
60 BGV, ms. 8498, c. 148r.
61 Oltre agli incarichi per il governo cittadino sopra ricordati, Bartolomeo era stato anche camerario della Fraternità di Santa Maria di Volterra nel 1401 con mandato di due anni (ACV, A 29 nera, primo fascicolo, c. 114v) e procuratore dei Disciplinati di San Michele nel 1428 (BGV, ms. 8504, terzo fascicolo, 1428 maggio 9).
62 ACV, A 29 nera, primo fascicolo, c. 4v: «ad taxandum modificandum et ordinandum expensas quas fieri contigerit et alia que facere debent in predictas». Michele sarebbe stato nominato per una commissione analoga ancora il 1 dicembre 1406, stavolta insieme a Michele di ser Cecco (ACV, A 31 nera, sesto fascicolo, c. 133v).
63 ACV, A 29 nera, primo fascicolo, c. 66v.
64 Ivi, secondo fascicolo, c. 42r.
65 Ivi, c. 55r (del 31 dicembre 1401). Esempi della sua attività di doganiere in ACV, A 30 nera, cc. 59v-60r, 89r, 94.
66 ACV, A 31 nera, sesto fascicolo, c. 52 (datato 21 marzo 1406: all’estrazione del nuovo collegio priorale, poiché l’estratto Jacopo di Nicola si trovava fuori città al momento dell’estrazione, viene sorteggiato al suo posto Michele) e c. 61v (del successivo 1 aprile: solenne giuramento di fedeltà dei priori all’inizio del loro mandato). Sempre nel 1406 fu estratto una prima volta il 21 maggio per il collegio dei coadiutori ma, in quanto priore in carica, aveva rifiutato l’incarico (ivi, c. 75); fu sorteggiato una seconda volta il 20 settembre per la medesima posizione, in sostituzione di Antonio di Giovanni Landini (ivi, cc. 112r e 114v). Oltre alle diverse cariche nel governo cittadino sopra ricordate, Michele del fu Silvestro Fei era stato designato insieme ad altri due concittadini «ad sindicandum omnes et singulos operarios Opere Sancte Marie de Vulterris, camerarios, priores et officiales fraternitatis Beate Marie, hactenus non sindicatos» (ACV, A 29 nera, secondo fascicolo, c. 23v); negli anni successivi era stato nominato tra i rettori dell’ospedale di Santa Maria insieme a Michele di Francesco: BGV, ms. 8506, bastardello C, c. 15 (del 25 luglio 1421) e c. 25 (del 9 gennaio seguente), oltre a BGV, ms. 8498, c. 97v (datato 30 giugno 1423).