A metà strada circa tra Saline e Pomarance si trova il casolare di San Lorenzo, meta un tempo di allegre e chiassose scampagnate che finivano con abbondanti merende a base di salame e prosciutto, con altrettanto grandi bevute e con l’immancabile ballonzolo all’aria aperta.
Le comitive, specialmente la domenica perché allora il sabato si lavorava purtroppo tutto il giorno, partivano dal paese al suono di chitarre e mandolini e procedevano ridendo e cantando tra i sassi e la polvere della strada.
> Sommario, dal ricovero di mendicità alla chiusura del manicomio
Il primo casolare che si incontrava sulla sinistra era il podere detto di San Giovanni, colonia dell’Ospedale Psichiatrico di Volterra che vi aveva allogato un certo numero di ammalati addetti ai lavori agricoli. Si trattava certamente di uno dei primi esperimenti di cura all’aria aperta delle malattie mentali. Questo esperimento deve avere avuto senz’altro un esito positivo sia per gli ammalati che per la popolazione locale in quanto mai si verificò il minimo incidente tra le due categorie di persone, anzi, tra di esse si instaurò addirittura una vera e propria corrente di simpatia.
Io ricordo molti degli ospiti del San Giovanni perché durante le mie gite campestri, li incontravo talvolta a zappare o a segare la messe sotto la guida paziente del bravo Egidio (uno degli infermieri) che li comprendeva e li aiutava senza mai rimproverarli.
Tra gli ospiti del San Giovanni c’era un certo Bracco.
Bracco era alto, grasso e massiccio e portava con grande dignità un bel paio di baffi a virgola ormai più bianchi che grigi. La sua principale specialità erano le pipe di gesso che fabbricava pazientemente con una abilità incredibile, servendosi di un mozzicone di coltello che aveva scovato chissà dove. A noi giovani di quei tempi distribuiva volentieri una o due di queste pipe in cambio di un po’ di tabacco perchè, diceva: voi avete tanto tabacco e nessuna pipa, io invece, ho tante pipe ma sono senza tabacco.
Si vede che Bracco era un libero scambista e che aveva idee assai chiare in fatto di economia. C’è da meravigliarsi che non gli sia stato assegnato un alto ufficio al ministero per il commercio con l’estero.
La seconda abilità di Bracco era prettamente musicale e serviva anch’essa a procurare «al musicista» un po’ di quel tabacco di cui aveva eterno bisogno. Egli aveva composto una serie di stornelli che, pur corretti nella rima, nel metro e negli accenti; non erano certamenti adatti alle caste orecchie di giovani educande.
Di questi stornelli, conservo un vivo ricordo, ma per niente al mondo mi sentirei di cantarne uno solo, nemmeno in un gruppo di amici spregiudicati.
L’unico «strumento» musicale usato da Bracco come accompagnamento era costituito dalla sua mano sinistra posta a stretto contatto con l’ascella destra completamente nuda. Manovrando poi dall’alto verso il basso il braccio destro, faceva uscire dall’incavo dell’ascella l’aria qui contenuta la quale, cercando disperatamente un varco tra le abbondanti cicce del suonatore, produceva un rumore fragoroso e bestiale come quello che emette il porco affamato in procinto di avventarsi sul trogolo.
Quando la comitiva dei gitanti si avvicinava al San Giovanni, Bracco si poneva in attesa sul ciglio della strada ed intanto accordava l0 «strumento» le cui rauche e possenti note già si avvertivano a distanza considerevole.
Dalla comitiva partivano allora grida gioiose: C’è Bracco, c’è Bracco!
Giunti i gitanti al suo cospetto, incominciavano le contrattazioni: tante cicche o tante sigarette per tanti stornelli.
Raggiunto l’accordo, aveva subito inizio l’esibizione col canto del primo stornello: “Fior di fagiolo”.
Le ragazze del gruppo conoscevano lo stornello e fingevano di tapparsi tutte e due le orecchie facendo l’atto di fuggire.
Ma Bracco non se ne dava per inteso e continuava imperterrito fino alla fine.
Di lì a poco attaccava col secondo dei suoi capolavori: “Fior di patata” e intanto guardava in alto ispirato da qualche visione celestiale mentre dalla possente ascella usciva il ritmico grugnito animalesco.
Terminata l’esecuzione, incassate le cicche, Bracco ritornava al suo asilo contento come una Pasqua e se l’incasso era stato particolarmente buono, non mancava di aggiungere «gratis» un ultimo stornello particolarmente sguaiato: “Fico brogiotto”.
Peccato che un uomo simile non sia vissuto al tempo d’oggi: avrebbe certamente accumulato una enorme fortuna come cantautore e sarebbe stato circondato e applaudito da un folto stuolo di giovinette urlanti le quali non si sarebbero nemmeno preoccupate di fingere di tapparsi le caste orecchie.