Le abitazioni di questa contrada erano concentrate intorno alla chiesa di S. Michele Arcangelo in Foro, il nome medievale di Sant’Agnolo o Sant’Angelo era usato sia per la chiesa che per la contrada. Le prime notizie della sua esistenza sono databili al XII secolo, nella sua giurisdizione rientravano anche l’attuale via Sarti e tutta la zona al di fuori dell’attuale Porta Fiorentina.

> Sommario, La nascita e lo sviluppo delle Contrade

Comprendeva quindi una grande zona densamente abitata confinante fra la contrada di Porta a Selci, quella di Piazza e quella di Borgo S. Maria. I suoi confini erano: l’oratorio di S. Antonio; la via che correva parallela a via nuova, oggi scomparsa; la parte inferiore di via Matteotti, probabilmente fino al punto in cui partiva la strada precedente; via Sarti; confinava con la contrada di S. Maria all’altezza dell’attuale Palazzo Solaini. La contrada si spingeva anche oltre le mura medievali snodandosi lungo l’asse viario che andava da Porta Fiorentina a Porta Diana. Ilimiti erano forniti dai botri di Docciola (a Est) e di Broglio (a Ovest) e dalle mura etrusche.

L’attuale porta Fiorentina, da cui partiva la strada che portava a Firenze, era allora chiamata porta Sant’Agnolo, mentre il nome di Porta Fiorentina era attribuito a Porta Diana, che oggi è chiamata anche Portone. Al di fuori della Porta di Sant’Agnolo l’abitato era più sparso.

In questa contrada vi era una sola chiesa: quella di S. Michele, una delle più antiche della città e delle più venerate e documentata già in un codice del 987 con l’attribuito in foro probabilmente perché era costruita vicino a dove, nell’antichità, si trovava il foro romano.

Oltre a questa grande chiesa, vi si trovava anche il primo convento di S. Chiara che fu edificato dalle clarisse volterrane nel 1255. Era costruito poco oltre la porta di Sant’Agnolo e fu distrutto durante l’assedio del 1472; le suore pochi anni dopo si trasferirono nel convento benedettino di S. Giovanni in Orticasso che da allora mutò nome in quello di S. Chiara.

In epoca medievale vi si teneva, nella località detta le Zatre, un mercato stabile per la vendita delle carni; le Zatre si trovavano più o meno dove oggi c’è Palazzo Viti, vi era una fonte ed uno spiazzo adatto alle trattative commerciali. Nel 1427 il comune costruì in questo luogo una tettoia dove macellare le carni e un magazzino dove conservarle.

Anche la sistemazione delle opere di difesa era diversa: non essendo stato ancora costruito il Bastione (opera del 1545 dell’architetto Giovan Battista Belluzzi detto il Sammarino) la zona era protetta dalla imponente mole di porta S. Agnolo. Sopra la porta vi era una torre che fu distrutta durante l’assedio del 1530; nel 1350 fu costruita un’antiporta per consentirne una maggiore protezione. Dove oggi vi è la mole del Bastione vi era una torre di grosse dimensioni, di cui oggi non rimane nessuna traccia visibile in quanto fu demolita e i resti coperti dall’interro che ha riempito il bastione.

In questa contrada si sono conservate o è rimasta memoria di numerose case torri. Le più importanti e meglio conservate sono quelle della famiglia Toscano, poste in posizione strategica nei pressi della chiesa di S. Michele, ma ne sono ricordate anche altre: una torre Nicholi, di incerta collocazione, la torre Minucci in piazza Pescheria, proprio al confine con la contrada di S. Maria, e altre che sono oggi a malapena visibili.

Le strade hanno cambiato nome, nel corso dei secoli, i più antichi indicavano la presenza di zone dove si concentravano botteghe specializzate in un unico mestiere: l’attuale via Sarti era chiamata fino al Quattrocento via dei Maniscalchi fino al vicolo che conduceva alle Zatre e via delle Beccherie per il tratto fino a via Guarnacci; vicolo del Forno ci ricorda che qui vi erano probabilmente botteghe di panettieri, nel vicolo dei vecchi ammazzatoi e in vicolo Sant’Agnolo è invece attestata la presenza di ceramisti. Inoltre via di Sotto era detta fino al Cinquecento via degli Asinari, perché vi erano la maggior parte delle abitazioni di coloro che conducevano le lunghe carovane di muli e asini che ogni giorno arrivavano o partivano da Volterra. Era grazie a queste carovane che era possibile sia il trasporto in altre città dei prodotti dell’industria volterrana (sale, vetriolo, zolfo e zafferano), che l’arrivo a Volterra di prodotti esterni, in particolare di
grano dalla Maremma.

Questa contrada continuò ad essere molto popolata per gran parte della storia di Volterra; nel catasto del 1551 è ricordata col nome di S. Michele.


LO STEMMA

Il suo stemma è una luna calante. I suoi colori sono il rosso e il giallo. La bandiera di questa contrada, gialla e rossa, fu portata in battaglia dai fanti volterrani nel 1236 nella guerra contro San Gimignano.


Dal 1992, la Contrada di Sant’Agnolo ha inglobato una porzione della Contrada di Castello, suddivisa tra la Contrada di Porta a Selci, la Contrada di Porta all’Arco e Sant’Alessandro.

CASTELLO

Questa contrada è oggi quasi completamente disabitata. Infatti essa comprendeva tutta la zona attualmente occupata dal parco Fiumi, insieme alle case che stanno alle sue pendici, cioè parte delle abitazioni che danno su via di Castello, le case di via dei Marchesi e di vicolo Guidi e la parte posteriore delle case di via Matteotti e di via Gramsci.

Non sappiamo con esattezza quali fossero i confini originali, oggi rimane intatto soltanto uno di essi, quello delle mura medievali, gli altri sono scomparsi a causa delle vicende che hanno modificato l’assetto urbanistico della zona.

Confinava ad Est con la contrada di Piano di Castello e il limite era segnato da una strada che partendo dalla Porta dei Vescovi attraversava la sommità della collina e si congiungeva con Piazza XX settembre tramite il vicolo che ancora oggi collega il Parco con questa piazza; in al-
cune piante del Seicento si vede un sentiero che attraversava gli orti ottenuti dopo la distruzione della zona e che forse ricalcava il tracciato di questa strada più antica.

Il limite Nord, che la divideva dalle contrade di Sant’Agnolo e di Porta a Selci, era costituito da una strada oggi non più esistente, di cui resta solo un tratto in corrispondenza di vicolo Leonori Cecina, essa aveva un andamento parallelo a quello di via Don Minzoni e di via Gramsci, l’antica via Nuova.

Ad Ovest confinava con la contrada di Piazza tramite un vicolo oggi non più esistente, di cui il vicolo Senza Nome è l’ultimo tratto sopravvissuto e che andava verso Via de’ Selci seguendo un tracciato parallelo a via Matteotti; questo tracciato è oggi riconoscibile soltanto in parte.

Non sappiamo perché questa zona fosse chiamata Castello, dato che sia il castello dei vescovi, che il Cassero erano distanti da essa, probabilmente non vi doveva essere un vero e proprio castello, quanto piuttosto una incastellatura, formata da una torre con un piccolo circuito murario attorno.

Nella contrada di Castello vi erano numerose abitazioni, anche di famiglie magnatizie, vi fu costruita almeno una casa torre, i cui resti erano ancora visibili nel secolo scorso, e altri edifici più poveri; fra questi dobbiamo elencare il postribolo del comune che era stato relegato quas-
sù perché era lontano sia dalle strade principali che dalle chiese, luoghi interdetti alle prostitute.

Dal piano più elevato dove erano costruite le case e i palazzi, una strada realizzata anche con rampe di legno e pietra scendeva giù fino all’attuale piazza Martiri della Libertà; queste rampe hanno dato il nome di Ponti all’intera zona al di fuori delle mura. Nei primi anni del ‘400 il comune decise di costruire alcune case per le prostitute che “lavoravano” al postribolo della contrada nella zona dei Ponti, dove probabilmente vi era anche un’altra porta, chiamata Balduccia, che divideva la zona di Castello dalla Piazza e che forse si trovava nel tratto di mura che esisteva dove oggi vi è il parcheggio sotterraneo.

Questa contrada ebbe un notevole sviluppo economico quando, nel 1280, Ranieri II degli Ubertini trasferì il palazzo vescovile nella vicina contrada di Piano, fino ad allora il palazzo del vescovo si trovava nei pressi del Duomo. La causa è, probabilmente dovuta alla costruzione del Palazzo dei Priori con la conseguente diminuzione dell’influenza vescovile sulla politica cittadina. Una grande quantità di abitazioni deve essere stata costruita in questo periodo dai fedeli del vescovo che volevano abitare vicini a lui per darsi maggiore importanza.

La contrada di Castello continuò ad esistere, pur con un ridotto numero di abitanti, fino al 1428, anno in cui il Catasto ci informa che venne inglobata con quella di Piazza. Il colpo di grazia alla contrada fu dato però dai fiorentini. Quando i Medici, signori di Firenze, dopo aver conquistato Volterra nel 1472, decisero di costruire una grande fortezza che controllasse la città. Per raggiungere il loro scopo non esitarono a distruggere le case della contrada di Piano di Castello su cui costruirono il Mastio e, per garantire un maggior campo di tiro alle loro artiglierie, distrussero anche le case della contrada di Castello spianando completamente la zona. Da allora la zona è stata dedicata esclusivamente agli orti; la contrada conserva oggi solo poche case poste al confine di essa.

Le coltivazioni non dovevano mancare nemmeno prima dato che in un documento del 1320 è documentata addirittura una piantagione di zafferano e in un documento di IX secolo si parla dell’esistenza di una vigna del vescovo.

Il suo stemma è un leone rosso rampante a destra. I suoi colori sono il marrone ed il verde.

© Alessandro Furiesi, ALESSANDRO FURIESI
Alabastrai Buontemponi, in “Volterra”
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