La manifestazione “Volterra ʻ73”, proposta e curata da Enrico Crispolti, insieme allo scultore Mino Trafeli, è nota nella storiografia artistica per aver proposto una formula allora inedita di arte nello spazio urbano. Infatti, per superare le iniziative di maquillage dello spazio pubblico attraverso l’intervento artistico — che alla fine degli anni ’60 stavano incontrando particolare successo — e in un’ottica di apertura dell’arte al contesto socio-economico, il progetto curatoriale prevedeva l’applicazione di un approccio metodologico mirato alla presa di coscienza da parte degli intervenuti delle problematiche del centro storico di Volterra. Il proposito di Crispolti era quello di recuperare all’arte «l’utilità sociale di sollecitazione culturale e in senso lato politica attraverso l’intervento»¹ e ritagliare all’artista un ruolo nel processo di trasformazione della società innescato da temi di dibattito allora attuali come la “democratizzazione della cultura” e il decentramento. La partecipazione dei cittadini fu guidata in dibattiti pubblici, interviste, questionari e in una sorta di cogestione dell’iniziativa da parte degli artisti e della comunità.

Parallelamente — ma non congiuntamente, come lamentarono alcuni detrattori dell’iniziativa² — prese corpo la riflessione intorno al problema della progettazione per l’alabastro. Il comparto volterrano della lavorazione dell’alabastro, investito dall’onda lunga dell’industrializzazione in un settore tradizionalmente artigianale, subiva allora un momento di stagnazione, soprattutto dal punto di vista della ripetitività di modelli formali ormai stanchi. La battuta d’arresto di una delle attività centrali dell’economia di Volterra spinse l’Amministrazione comunale a cercare soluzioni sostenibili insieme al Consorzio per la ricerca, l’escavazione e la commercializzazione dell’alabastro, qui nella significativa veste di ente promotore della manifestazione. In soccorso vennero chiamati due gruppi di designer incaricati di elaborare nuovi prototipi per oggetti commerciali. Gli intervenuti (Gruppo Internotredici, Davide Boriani, Gabriele Devecchi, Lorenzo Forges Davanzati, Corinna Morandi³) si fecero carico dell’onere mettendo in campo risorse progettuali professionali e un metodo rigoroso applicato alle varie fasi della progettazione, con un’enfasi particolare sullo strumento partecipativo del dibattito, condotto tra i vari stakeholders della nicchia di mercato dell’alabastro.

Lo scopo di questo contributo è quello di ricostruire l’episodio di “Volterra ’73” legato alla progettazione dell’alabastro mettendone in luce elementi seminali del design socially engaged. Gli Anni ’70 italiani sono stati infatti una stagione di intensi esperimenti socio-politici, in cui la spinta al cambiamento democratico veniva convogliata dalle Amministrazioni più illuminate su progetti culturali di respiro partecipativo, tracciando una direzione molto precisa nell’ambito della politica locale⁴.

Contestualmente l’operatore estetico aspirava sempre più al ruolo di mediatore delle esigenze della collettività, facilitatore di processi di democratizzazione culturale, catalizzatore di cambiamento “dal basso”, trovando nel contesto socio-economico in trasformazione le occasioni di uscire dall’atelier, dal museo (per l’artista), dall’industria (per il designer). “Volterra ’73” si presenta quindi come un interessante caso di studio per l’indagine delle radici storiche della tensione all’impegno che connota le pratiche del design che attualmente si interrogano sulle potenzialità sociali e politiche dell’azione progettuale.


IL CASO “VOLTERRA ʻ73”

L’Amministrazione comunale di Volterra in data 27/2/1973 delibera che si faccia una manifestazione riguardante la progettazione per l’alabastro⁵. Sembrerebbe che la Giunta abbia principalmente a cuore questo aspetto dell’iniziativa; manca infatti nel testo un riferimento alla parte degli interventi artistici salvo che nell’oggetto del documento. Evidentemente l’impegno del Consorzio per la ricerca, l’escavazione e la commercializzazione dell’alabastro come ente patrocinatore bastava ad esercitare una forte pressione sugli organi amministrativi trasformando la crisi di un comparto economico essenziale per il sostentamento di Volterra in un problema politico. L’Amministrazione — tradizionalmente democratica ed antifascista — si mostrò sensibile ai molteplici problemi della città: il rischio di museificazione del centro storico, l’isolamento e l’emarginazione dai circuiti culturali, la discussione sempre più sentita sulle forme repressive del locale Ospedale Psichiatrico (mentre si andava verso la Legge Basaglia), la fama di estrema durezza del Carcere volterrano.

Nel generale clima di dibattito politico e culturale sul decentramento amministrativo che l’Italia stava attraversando, la via democratica alla risoluzione dei problemi non poteva che apparire la partecipazione dei cittadini e il suo luogo naturale lo spazio urbano quotidiano. Interprete lucidissimo dell’esigenza di un rapporto “organizzato” con gli istituti della partecipazione politica per dare un output significativo alle forme aggregative spontanee, Enrico Crispolti, “operatore fra operatori”, divenne il regista dell’esperimento volterrano, coordinando incontri con gli artisti, dibattiti, inchieste fra i cittadini.

Dalla scrupolosa documentazione dei dibattiti riportata in catalogo emerge con una certa evidenza lo sforzo di dare uguale peso alla pluralità delle voci, per trasformare un’occasione culturale in un vero esperimento di partecipazione democratica votato alla massima trasparenza delle decisioni. Al punto che il catalogo si presenta sostanzialmente come un report dettagliato della manifestazione: dalla delibera fino al bilancio economico, dalle riflessioni autocritiche degli “operatori” ai risultati statistici del questionario rivolto ai cittadini, dalle contestazioni alle dichiarazioni dei partiti politici di maggioranza e opposizione.

Tre giorni prima della delibera ufficiale, alabastrai e designer si incontrarono nella sala del Consiglio Comunale di Volterra per discutere i termini dell’iniziativa che li vedeva coinvolti. Erano presenti Davide Boriani, Gabriele Devecchi, Lorenzo Forges Davanzati, Carlo Bimbi, Gianni Ferrara e Nilo Gioacchini; il dibattito era moderato da Mino Trafeli che dava voce via via ai designer, a un consigliere comunale del P.C.I., al Presidente della Cooperativa Artieri Alabastro, a un produttore alabastraio, a uno studente dell’Istituto d’Arte, al Vicesindaco e al Sindaco. La figura di Trafeli fu di fondamentale importanza nel mediare gli interessi degli artigiani e dei produttori e nell’aprire il dialogo con i designer, percepiti altrimenti come “colonizzatori”.

Dal dibattito emersero i molteplici motivi della crisi del comparto dell’alabastro: vendite stagnanti, una tradizione artigiana con il desiderio proibito di produzione in serie, livello qualitativo dei modelli in caduta libera, al limite del kitsch; assenza di strategie commerciali, carenza di manodopera giovane ed aggiornata. Il quadro clinico del malato alabastro era aggravato dalla trasformazione, in seno all’Istituto d’Arte, dell’insegnamento da professionale ad artistico, con la conseguente perdita delle competenze tecniche manuali per la lavorazione del materiale e la fuga dei diplomati dai confini di una tradizione artigiana divenuta «meccanica e ripetitiva, catena di montaggio di modelli sempre più sbrigativi e grossolani»⁶.

Un’istantanea efficacissima della situazione in cui versava l’alabastro venne paradossalmente da un artista, Alik Cavaliere, che in piena contestazione del sistema dell’arte, scelse di intervenire a “Volterra ’73” con una provocatoria bancarella da mercato, piena di oggettini in alabastro di varie fogge, materiale di recupero trasformato in “ready made” d’artista venduto secondo un ironico listino prezzi. [Fig. 1]

Tutte le parti coinvolte convennero sulla necessità di rivalorizzare l’alabastro e la sua tradizione saldando il passato al presente per dare un futuro al materiale, al suo mercato e, conseguentemente, a una fetta preponderante della sussistenza di Volterra e del suo tessuto sociale.

Il ruolo di Mino Trafeli in “Volterra ’73” merita di essere riconsiderato come chiave di volta dell’intera iniziativa. Lo scultore, irriducibile volterrano impegnatissimo nella politica locale, all’epoca dei fatti insegnava all’Istituto d’Arte e da quella prospettiva aveva una visione lucida di quanto profondamente i problemi dell’alabastro incidessero nella perdita d’identità della comunità, dei suoi valori condivisi e, come diretta conseguenza, dell’impegno politico dei cittadini, essenziale a tenere viva la tradizione democratica di Volterra, a lui molto cara.

La proposta di inserire la situazione dell’alabastro nell’agenda politica dell’Amministrazione venne da Trafeli, a seguito di un confronto informale con Crispolti e con il sociologo tedesco Peter Kammerer «il quale disse “se io dovessi fare una mostra terrei conto dell’economia, della produzione…”»⁷. Trafeli coinvolse quindi uno dei suoi ex allievi dell’Istituto d’Arte, Carlo Bimbi — designer a Firenze con il gruppo Internotredici — volterrano e quindi particolarmente sensibile alle problematiche sul piatto. C’era poi il gruppo dei milanesi che nei mesi antecedenti aveva già cominciato a dialogare con gli artigiani.

«Era un anno che Boriani, De Vecchi, Davanzati e la Corinna [Morandi] lavoravano con gli artigiani, venivano gratuitamente a Volterra, e poi si aggregarono a noi […] Loro non è che avevano progetti…parlavano con gli artigiani, bottega per bottega…»⁸

Il punto di partenza e l’approccio al problema dei due gruppi di lavoro — i fiorentini e i milanesi — è ben esemplificato da ciò che riporta il catalogo del ’73. Internotredici sintetizza la questione con una breve, ironica dichiarazione d’amore all’alabastro sofferente. I milanesi predispongono invece una griglia regolare che riporta constatazioni o interrogativi sulla situazione corrente e sulle potenzialità dell’intervento dell’“operatore estetico”, liberamente associabili da parte del lettore per trarne le relative conclusioni. In entrambi i casi prevale un atteggiamento dubitativo, dialettico, lontano da soluzioni assolute e definitive.

La sintesi proposta nel catalogo era stata preceduta da un’analisi condotta con rigore della storia dell’alabastro volterrano, della sua lavorazione, delle sue qualità e delle sue declinazioni formali nelle epoche passate. I risultati di tale analisi presero forma espositiva nella mostra allestita nella Torre Minucci dal 18 agosto al 15 settembre 1973 — con la regia dei milanesi che esaltava le qualità di trasparenza del materiale nascondendo una fonte luminosa nelle basi in mattone forato pensate per gli oggetti — che prevedeva in una sezione delle proiezioni storiche e la presentazione del materiale grezzo, e in un’altra una rassegna di oggetti tradizionali in alabastro accanto ai prototipi realizzati nei mesi addietro.

La proposta che fece seguito ai fitti dibattiti fu quella di progettare delle forme pulite, semplici, moderne e abbandonare l’uso della colorazione eccessiva dell’alabastro, che lo mortificava rendendolo simile alla plastica, in un’ottica di onestà verso il materiale e le sue qualità.

I due gruppi di lavoro, uniti da questo intento comune, giunsero tuttavia a soluzioni diverse. I fiorentini di Internotredici elaborarono dei semilavorati ottenibili con procedimenti industriali, sui quali l’artigiano potesse intervenire creativamente per modellare il prodotto finito.

«La nostra proposta tende al recupero e allo sviluppo delle capacità creative artigianali, all’interno delle strutture industriali, come conseguenza di una giusta utilizzazione degli strumenti, dei procedimenti e dei materiali, ponendo l’artigiano in condizione di ritrovare autonomia e interesse nel lavoro»⁹.

Oltre alla perduta capacità creativa dell’artigiano, Internotredici affrontava in questo modo il problema di una filiera produttiva farraginosa, assegnando a un sistema consortile la lavorazione industriale dei semilavorati, costosa e impegnativa, e all’artigiano il compito di concentrarsi sull’aggiornamento progettuale dei prodotti in alabastro e su operazioni di finitura.

Il gruppo di Boriani, Devecchi, Forges Davanzati, Morandi scelse da una parte di progettare nuovi modelli concentrandosi sulle possibilità di lavorazione del materiale come la tornitura, e sull’introduzione di inediti oggetti d’uso — ad esempio una radio — per aprire mercati diversi da quello del soprammobile di lusso. Boriani sperimentò l’utilizzo del materiale grezzo, solitamente un uovo irregolare dalla superficie scabrosa, dimostrandone il valore estetico e propose degli oggetti che l’acquirente potesse personalizzare, ad esempio trasformando al tornio il proprio profilo in un vaso o in una lampada. Devecchi e Morandi lavorarono sull’alternanza di diverse tipologie di alabastro per sfruttare l’espressività delle tinte naturali in oggetti che — vale la pena notare — richiamano le collezioni in argento “Arganto” e “Gradini” (disegnate da Devecchi tra il ’70 e il ’73). [Fig. 2]

Non è senza importanza il fatto che il gruppo dei milanesi fu l’unico a partecipare a “Volterra ’73” anche con un intervento scultoreo, o più propriamente di arredo urbano, che consisteva nell’apposizione di calchi in gesso di parti anatomiche disseminate tra gli edifici del centro storico. Letto da molti come uno sberleffo, il progetto aveva in realtà una carica di scanzonata provocazione della monumentalità della scultura e dei materiali nobili tradizionali, e dunque in senso lato del sistema dell’arte. L’apparizione improvvisa di un braccio, di un naso o di una testa tra le vie della città doveva innescare un corto circuito nell’attenzione dei volterrani muovendoli a una fruizione più attiva dell’ambiente urbano, a una presa di coscienza dello spazio pubblico, quindi a un rinnovato senso civico e impegno politico. [Fig. 3]

Boriani, Devecchi, Forges Davanzati, Morandi non furono i soli a concepire il proprio contributo in tal senso, ma furono gli unici che si mossero nel doppio registro di arte e design, rendendo trasversale alle discipline l’impegno politico e sociale dell’operatore estetico. Scrive Devecchi in un inedito documento d’archivio:

«L’operatore può riscattare il suo ruolo solo rompendo gli schemi disciplinari in cui la settorializzazione borghese l’ha confinato raggiungendo una dimensione politica»¹⁰.


PROPOSTE INTERPRETATIVE VERSO IL DESIGN FOR SOCIAL CHANGE

L’episodio di “Volterra ’73” si potrebbe inquadrare nell’area del design che considera la cultura progettuale uno strumento di critica al sistema, di impegno politico e di social agency. È possibile cogliere nelle modalità operative, nel coinvolgimento della cittadinanza, nell’indagine socioeconomica del contesto, nello stimolo alla partecipazione, elementi seminali del design impegnato nel cambiamento sociale. All’interno di questa cornice si potrebbe osservare una particolare somiglianza di finalità e soprattutto di metodo con i processi di co-design: la partecipazione diventa metodo di progettazione di un cambiamento condiviso da tutti gli attori.

Rispetto all’intervento di arredo urbano di Boriani, Devecchi, Forges Davanzati, Morandi si propone qui — con il proposito di verificare l’ipotesi con la futura ricerca — un confronto con il design activism, approccio progettuale che promuove il cambiamento sociale tramite interventi che sfidano la percezione disattenta del quotidiano per offrirne un senso alternativo. L’azione del designer si concretizza in un “dissenso estetico” nello spazio urbano, in particolare per stimolarne una fruizione più cosciente, nella convinzione che estetica e politica siano strettamente connesse¹¹.

© Politecnico di Milano, ALICE DEVECCHI
Alle radici del design for social change. Il caso “Volterra ʼ73”
NOTE
1 E. Crispolti, “Introduzione”, in Volterra ’73. Sculture, Ambientazioni, Visualizzazioni, Progettazione per l’alabastro, Problemi del centro storico, catalogo della mostra (Volterra, 15 luglio – 15 settembre 1973), a cura di E. Crispolti, Firenze, Centro Di, 1974.
2 Il dibattito conclusivo tra gli operatori, presente in catalogo, riporta alcune posizioni aspramente critiche sul mancato superamento del dualismo scultura (arte) vs design nell’organizzazione della manifestazione.
3 Internotredici era composto da Carlo Bimbi, Gianni Ferrara e Nilo Gioacchini, tutti designer di prodotto con base a Firenze. Davide Boriani e Gabriele Devecchi, entrambi artisti, designer e docenti, avevano in comune la formazione a Brera nel corso di Achille Funi, avevano fondato nel 1959 il Gruppo T (con Giovanni Anceschi, Gianni Colombo e poi Grazia Varisco) e condividevano una volontà di apertura dell’“operatore artistico” all’impegno politico e sociale. Lorenzo Forges Davanzati, architetto, cercava la frequentazione con gli artisti (tra cui Boriani e Devecchi) per ampliare i confini disciplinari dell’architettura. Corinna Morandi era all’epoca studentessa di architettura e affiancava Devecchi in molti progetti.
4 Ne è un esempio la trasformazione del Premio Piazzetta di Sesto San Giovanni (1973) — promossa e sostenuta dall’Amministrazione — ad opera di Boriani e Devecchi insieme ai critici Cesare Chirici, Aurelio Natali e Maurizio Vitta, da rassegna artistica annuale a campo di prova per la progettazione di interventi condivisi con gli abitanti del quartiere, finalizzati alla riappropriazione di spazi pubblici alienanti e neganti la socialità.
5 «Il Sig. Presidente informa il Consiglio dell’intenzione della Giunta di realizzare, dal 18 agosto al 15 settembre, una manifestazione riguardante la progettazione per l’alabastro e la realizzazione di una mostra storica dell’alabastro, comprendente anche la realizzazione dei progetti elaborati dai ‘designers’ incaricati alla ricerca progettuale, nonché l’intervento degli scultori e i dibattiti di eminenti personalità sui problemi del centro storico», in Volterra ’73. Sculture, Ambientazioni, Visualizzazioni, Progettazione per l’alabastro, Problemi del centro storico, cit.
6 Boriani nel dibattito alabastrai-designer in Volterra ’73. Sculture, Ambientazioni, Visualizzazioni, Progettazione per l’alabastro, Problemi del centro storico, cit.
7 “Dialogo audiovisivo con Mino Trafeli su Volterra ’73 e oltre” in Volterra 73.15. Memoria e Prospezione, catalogo della mostra (Volterra, 27 giugno – 31 ottobre 2015), a cura di E. Crispolti e A. Mazzanti, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2015, p. 10.
8 Ivi, p. 11.
9 Comunicato stampa n. 8 in Volterra ’73. Sculture, Ambientazioni, Visualizzazioni, Progettazione per l’alabastro, Problemi del centro storico, cit.
10 Dattiloscritto inedito dall’Archivio Gabriele Devecchi.
11 Si veda a proposito l’interpretazione di Thomas Markussen delle teorie di Jacques Rancière.
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