Il suo territorio era interamente compreso all’interno delle mura duecentesche. I suoi limiti sono ben definiti, si tratta infatti dell’isolato che è compreso fra le mura medievali del Mandorlo e di S. Francesco, via Buomparenti, via Roma, via Franceschini e via San Lino.
> Sommario, La nascita e lo sviluppo delle Contrade
La contrada era dominata dalla possente mole della chiesa di San Francesco costruita su un monte che è entrato a far parte della contrada solo dopo la costruzione delle mura, infatti questa zona a ridosso della porta San Francesco, insieme a quella dall’altra parte di via San Lino (che però fa parte della contrada dei Fornelli), era compresa in un primo tempo nella contrada di Santo Stefano. Talvolta è ricordata anche come contrada di Borgo Santa Maria e Santo Stefano proprio a testimonianza del fatto che furono unite due contrade.
In seguito alla diminuzione di popolazione registrata a Volterra dopo la metà del ‘300, la contrada di Fornelli fu annessa da Borgo Santa Maria; dal 1428 la contrada venne chiamata di Borgo e Fornelli.
Questa contrada comprendeva l’antico Borgo Santa Maria, corrispondente grossomodo all’odierna via Ricciarelli, che nel corso del XIII secolo fu unito alle nuove case costruite nella zona del Mandorlo e lungo via San Lino. Contemporaneamente si aggiunsero le case comprese nel grande isolato racchiuso da via Ricciarelli, via Franceschini e via Roma che era originariamente chiamato “orto dei canonici” e che, molto verosimilmente, era stato disabitato fino ad allora. Questa zona, come ricorda il nome della contrada, faceva capo alla cattedrale di S. Maria e nacque sotto l’ombra della giurisdizione episcopale volterrana.
A partire dalla metà del Duecento, fu però caratterizzata dalla presenza dei frati Francescani; il più grosso convento della città era situato proprio qui. Altre chiese sono quella di S. Cristoforo che chiude via San Lino e tutte le cappelle sparse nell’area del convento, per la maggior parte costruite a partire dal Quattrocento. Probabilmente la via del Mandorlo, che parte da piazza Minucci, non sfociava nella via Ricciarelli come oggi, ma proseguiva seguendo un diverso tracciato, che possiamo solo intuire, fino a immettersi in via San Lino più o meno all’altezza dell’odierno asilo comunale.
In questa zona vi sono alcuni fra i più bei tratti di mura medievali, soprattutto a ridosso della via del Mandorlo. Vi sono pure due porte: la più importante è porta S. Francesco; già chiamata porta Pisana o porta Santo Stefano, questa porta aveva anche una torre sopra di essa che venne demolita da Francesco Ferrucci durante l’assedio del 1530. All’interno dell’arco presenta una decorazione pittorica all’interno della volta che è stata recentemente restaurata e, proprio sopra il colmo dell’arco, vi è ancora una croce bianca in campo nero, antico simbolo della città di Volterra; accanto alla porta è stata ricavata, incidendo le pietre, una traccia che riproduce l’antica unità di misura volterrana: la Canna. L’altra porta è quella di San Lino, oggi visibile solo in parte perché fu riempita probabilmente dopo una frana di questo tratto di muro. Essa consentiva il varco nelle mura ad una strada che la congiungeva con Porta San Felice attraversando via San Lino e che metteva in contatto fra di loro le due zone di campagna immediatamente a ridosso della città.
Questa zona è sempre stata densamente abitata e in essa vi erano pure le abitazioni di numerose famiglie nobili; ancora oggi esiste il vicolo dei Da Pontremoli, che vi possedevano alcune case, inoltre il vicolo del Mandorlo era chiamato vicolo de’ Pitti. Vi sono pure alcune delle case torri più belle di Volterra: le torri dei Buomparenti, proprio in cima alla via Ricciarelli e che
fanno da ingresso scenografico alla Piazza dei Priori.
Il suo stemma è una stella a cinque punte di color giallo e arancio. I suoi colori sono il bianco e l’azzurro. E’ da notare che è l’unica contrada di cui conosciamo con esattezza la bandiera, dato che vi sono due raffigurazioni di essa, una nella chiesa di San Francesco e una in Duomo, con accanto lo stemma della contrada; essa è ad onde alternate di color bianco e azzurro. Da notare che nella simbologia medievale i colori bianco e azzurro sono sempre associati al culto della Madonna.
Durante la guerra contro San Gimignano, in cui viene nominata come contrada di Borgo e S. Alessandro, i soldati della contrada portarono bandiere verdi e gialle.
Dal 1992 la Contrada di Santa Maria incluse al suo interno altri confini, un tempo appartenenti ad altre contrade come quelle di Piazza e Fornelli.
E’ sempre stata la contrada più importante della città, qui si trovavano la sede del potere civile e di quello religioso. Il suo nucleo centrale era la piazza principale della città, quella che oggi si chiama Piazza dei Priori e che in antico è stata chiamata in vari modi, da Piazza dell’Olmo a Piazza Maggiore. I suoi limiti sono di facile individuazione.
Facevano parte della contrada tutte le abitazioni che si trovavano fra via dell’ Ortaccio e via delle Prigioni a partire dal numero 34, dove si trovava una strada che costituiva una continuazione di via Nuova; l’isolato racchiuso fra questa strada scomparsa, via Matteotti, via dei Marchesi e via delle Prigioni faceva parte della contrada di Piazza. Facevano parte di essa anche le abitazioni di via Guidi sull’altro lato della strada e i numeri dispari di via Sarti. Il confine Ovest era costituito da via Buomparenti e da via Roma. Inoltre facevano parte di essa anche piazza S. Giovanni, via Turazza e via dei Marchesi. In certi periodi anche via di Porta all’Arco fece parte della contrada di Piazza, ma per la maggior parte del medioevo essa costituì una contrada autonoma.
Questa contrada è stata sede del centro di potere fin dall’inizio del medioevo. Qui, nei pressi della cattedrale di Santa Maria Assunta, avevano la loro abitazione i Vescovi; questo palazzo venne abbandonato intorno al 1280 quando il vescovo Ranieri II degli Ubertini decise di costruirne uno nuovo nella contrada di Castello, che fu a sua volta abbandonato dopo la conquista fiorentina nel ‘500, successivamente i vescovi volterrani andarono a risiedere nel moderno palazzo vescovile che si affaccia su via Roma e Piazza dei Priori.
Il Duomo è stato costruito prima del X secolo, dato che due diplomi imperiali, rilasciati nell’ 821 e nell’ 845 rispettivamente da Lodovico I e da Lotario I, lo citano come chiesa madre della diocesi già da allora. Ciò che vediamo oggi è però frutto di una risistemazione di XIII secolo ad opera di maestri pisani. Del suo complesso facevano parte anche il battistero, che la tradizione vuole fosse stato costruito su un preesistente edificio di età romana, tre cimiteri disposti fra il Duomo e il Battistero e una cappella dedicata a S. Sebastiano. Il campanile antico era originariamente unito alla chiesa, ma crollò nel 1493.
Nel 1207, venne deciso da parte del Libero Comune di costruire un edificio dove i consiglieri e i Difensori del Popolo si potessero riunire per discutere le decisioni di primaria importanza: il Palazzo dei Priori. Il Palazzo dei Priori era separato dal Duomo solo da un chiasso che venne poi chiuso.Venne completato solo nel 1258 e occupò parte della piazza cittadina conosciuta allora come piazza dell’Olmo.
La topografia della piazza non era come si presenta oggi; quella moderna è dovuta ad un grande intervento di restauri avvenuto dopo il terremoto del 1846. Fu ricostruito il palazzo oggi occupato dalla cassa di Risparmio di Volterra, il palazzo della Cooperativa Artieri Alabastro, la caserma dei Carabinieri e il palazzo della Posta. Altri interventi furono compiuti negli anni trenta con la modifica della scalinata di accesso al Palazzo del Podestà e altre “migliorie” scenografiche. Tutte queste opere di restauro hanno cancellato l’aspetto originario della piazza, che si presentava circondata da torri proprietà delle famiglie cittadine, alcune delle quali furono unite a formare il Palazzo del Podestà nel 1320.
Il palazzo del Podestà comprende anche la torre detta “del Porcellino” che divenne ben presto il simbolo della contrada; accanto a questo palazzo, in via delle Prigioni, c’erano le prigioni cittadine. Il nome di Ortaccio dato alla parte retrostante questi palazzi era dovuto alla presenza di giardini o orti.
In questa piazza, e in quella adiacente di S. Giovanni, si è sempre svolto un mercato in occasione della festa dell’Assunta (15 agosto). Le prime notizie sono riportate dai due diplomi rilasciati dall’imperatore Lodovico I nell’ 821 e da Lotario I nell’ 845 che attestano il privilegio dei vescovi volterrani di tenere il mercato di Mezzagosto.
In questa contrada possiamo notare ancora oggi i resti di molte case torri, che sono solo una minima parte di quelle esistenti nel medioevo. Due gruppi di esse sono posti ai confini della contrada, le case torri Marchesi e quelle Buomparenti costituiscono due “incrociate” che controllavano i più importanti punti strategici della città. In piazza dei Priori vi erano almeno dieci torri di cui si conoscono i nomi di alcun proprietari degli inizi del Duecento: Rogerini, Villani Parisi, Alcheroli, Campoli, Sorici tedeschi, Arrigus, Topi. Altre torri erano in via Guidi e vi era anche la torre Mazzoni all’inizio del vicolo che porta tutt’oggi il nome di questa famiglia.
In questa contrada si trova anche il più antico edificio medievale di Volterra: palazzo Baldinotti all’inizio di via Turazza, al confine con la contrada di Porta all’Arco.
Lo stemma della contrada è la torre del Porcellino, simbolo del potere civile del comune di Volterra. I suoi colori sono il rosso e il giallo. Niente di più probabile che in origine lo stemma di questa contrada non fosse la torre del Porcellino: questa torre fa parte del palazzo del Podestà e la sua raffigurazione sottintende quindi l’esistenza di questa carica come simbolo del potere comunale; poiché sappiamo che la carica di podestà non entrò in vigore fino al 1193, con tutta probabilità anche questo stemma non era in uso fino ad allora. Se esisteva una contrada già in precedenza lo stemma poteva essere costituito dalla raffigurazione di una pianta di olmo.
Le prime bandiere che i volterrani portarono in guerra come simbolo della contrada di Piazza, nel 1236 contro San Gimignano, erano quelle del comune, segno questo che la contrada era ritenuta tutt’uno con il potere politico che governava la città.
La contrada di Fornelli si sviluppò interamente all’interno della cerchia delle mura duecentesche, che costituiscono uno dei suoi confini; era divisa dalla contrada di Borgo Santa Maria dall’asse viario via Franceschini – via San Lino. Gli altri suoi confini erano Piazza San Giovanni, di cui occupava il lato Ovest; a Sud Est confinava con la contrada di Porta all’Arco all’altezza di via dei Labirinti. Una parte del territorio di questa contrada, la zona dalle fonti di S. Felice fino a via Borgo Nuovo, in origine faceva parte della contrada di Santo Stefano.
Questa contrada, a seguito della riduzione demografica quattrocentesca fu inglobata nella più potente contrada di Borgo Santa Maria che da allora venne chiamata Contrada di Borgo e Fornelli.
Il cuore e il centro principale di questa contrada era l’ospedale di Santa Maria Maggiore gestito dai Cavalieri Ospitalieri del Tau di Altopascio che cominciarono a edificare in questa zona alla fine del tredicesimo secolo. Gli ospitalieri di Altopascio ebbero la loro sede nella torre che dava su Piazza dei Fornelli e che è ricordata dalla tradizione popolare come “torre degli auguri”, dal nome degli indovini etruschi e romani. E’ testimonianza della presenza di questi cavalieri a Volterra una iscrizione datata 1299 posta proprio su un muro della loro torre.
A questo ospedale, nel corso del Trecento, vennero accorpati tutti gli ospedali cittadini minori; il suo ingresso era in piazza San Giovanni, ma non arrivava ad occupare l’area odierna, l’ospedale doveva essere più piccolo di quello di adesso e vi dovevano trovare posto altre costruzioni di proprietà dei Cavalieri e pertinenti all’ospedale. Il nome dato ad una via accanto all’ospedale, via Ortotondo, ci fa supporre la presenza di un giardino di erbe curative coltivato forse dagli stessi cavalieri per la fabbricazione di medicamenti per i malati dell’ospedale.
Non è molto chiaro perché il nome di tutta la zona sia Fornelli, ma esso deve essere in connessione con l’attività che si svolgeva in questo luogo, alcuni storici hanno suggerito che indicasse un’attività connessa con l’ospedale quali i forni per bruciare i giacigli infetti o per dar da mangiare ai poveri, come. Ritengo più probabile che esso sia invece in connessione con le attività artigianali della zona.
I cavalieri dovettero favorire l’installazione di botteghe artigiane nella contrada che era sotto il loro controllo in modo da poter ricevere tributi che venivano spesi per il mantenimento dell’ospedale; siccome sappiamo della presenza in questa zona di botteghe di ceramisti, niente di più probabile che tutte queste botteghe avessero in comune il mezzo di lavorazione: cioè il Fuoco.
Dovevano essere qui concentrate botteghe di fabbri, maniscalchi, conciai e di tutti coloro che usavano forni o calderoni per il loro lavoro. Potrebbe essere una prova di ciò il fatto che vicolo Chinzica, uno dei vicoli di questa contrada, era chiamato anche chiasso dei Ciabattini, in ricordo delle botteghe che vi esercitavano questo mestiere e che in genere erano collegate a botteghe di conciai che bollivano il cuoio in grossi calderoni; vicino a vicolo Chinzica si trova piazza degli Avelli, il cui nome può derivare dal cattivo odore che sprigionavano le pelli durante la concia.
Un’altra ipotesi avanzata è che questo nome derivi dal fatto che qui erano installati i calderoni che facevano bollire le acque salse per ricavare il sale (moie), da sempre ricchezza dell’economia volterrana, ma anche questa ipotesi è difficile da sostenere visto l’enorme dispendio di energie dovuto al trasporto dell’acqua salata da Vada prima, da Pomarance e Saline poi. Era infatti più economico e logico che le moie fossero vicino al luogo di produzione e non a Volterra, dove sarebbe dovuta arrivare anche la legna in grande quantità.
Anche se non abbiamo notizie di proprietari di case torri in questa zona, a parte i Cavalieri di Altopascio, vi dovettero trovar posto anche altre famiglie nobili. Oltre alla torre dei cavalieri in piazza Fornelli i resti di un’altra torre sono riconoscibili sul retro del Palazzo Falconcini in via San Lino, ma non ne conosciamo il proprietario.
In questa contrada si trova il bel complesso architettonico della porta e fonti di San Felice, chiamate così probabilmente dal nome di una chiesa costruita nelle vicinanze che non si è conservata, questa è anche una delle zone della città che conservano testimonianze dell’antichità. La presenza di una ricca fonte sorgiva, ha fatto si che fosse racchiusa nelle mura fin dall’antichità, infatti nei pressi della porta inferiore, vicino alle fonti medievali, vi sono i resti delle mura etrusche, appena fuori delle mura vi sono anche strutture romane fra cui le terme.
La porta inferiore è la prima porta costruita nelle mura medievali, è documentata già nel XIII secolo; la seconda porta, quella sopra la strada, è stata invece aperta probabilmente nel 1571 in seguito di alcuni lavori che hanno interessato questo tratto di mura. La porta inferiore venne murata in un periodo imprecisato fra il 1472 e il 1571 ed è stata riaperta solo di recente, con la risistemazione architettonica della zona.
Le fonti di San Felice, divenute molto famose in passato per le proprietà curative dell’acqua che usciva da esse, furono monumentalizzate nel 1319 da Chelino Ducci Tancredi e sono di quasi un secolo posteriori a quelle di Docciola costruite nel 1245.
Il suo stemma è un calderone di rame con sopra un tau, il simbolo dei cavalieri di Altopascio. I suoi colori sono il rosso e il blu.