Questa contrada comprendeva tutta l’antica borgata che sorse attorno alla chiesa di San Giusto al Botro, la prima dedicata al patrono volterrano, e la zona del Piano della Guerruccia, dalle mura etrusche fino all’altezza dell’attuale via S. Tommaso. Come tutti ben sanno questo borgo è scomparso insieme alla chiesa nella voragine delle Balze che nel corso dei secoli ha inghiottito tutta la zona senza che potesse mai essere fermata.
> Sommario, La nascita e lo sviluppo delle Contrade
Quello che è stato coinvolto nella frana oggi si può soltanto immaginare non avendo cartine o descrizioni precise che ci aiutino nella ricostruzione; da qui doveva passare la via che andava a Pisa e che più o meno doveva procedere con un percorso parallelo a quello moderno fino a coincidere con la strada moderna a partire da San Cipriano.
Le case erano probabilmente disposte lungo la strada principale, chiamata il Corso, che in questa zona era interamente fuori delle mura. Come nel caso delle due contrade di Santo Stefano e di Prato Marzio, anche le chiese di San Giusto e di San Clemente dovevano essere costruite lungo questa strada.
La contrada era principalmente extra moenia, non sono ricordate altre opere di difesa nei documenti antichi, si può dedurre che ciò fosse dovuto al fatto che era scarsamente abitata e quindi poco difendibile; la gente si doveva rifugiare a Volterra nel caso di pericolo. L’unica opera di difesa conosciuta in questa zona era una torre, ma non siamo in grado di sapere a chi appartenesse.
In questa contrada vi erano due chiese, dedicate ai santi patroni di Volterra: San Giusto e San Clemente, la prima era chiamata San Giusto al Botro; questo termine ci porta a ritenere che essa fosse disposta lungo il Botro delle Balze in una posizione più bassa rispetto a quella delle mura antiche e che, se il suo ingresso dava sul Corso, questa strada facesse una specie di curva e poi risalisse su monte Nibbio fino a uscire da Montebradoni per la Porta del Corso, porta che sappiamo esistere nel tratto di mura verso S. Cipriano e che non è più visibile. La chiesa di San Clemente si trovava più in basso rispetto a quella di S. Giusto, forse ai limiti dell’abitato e fu la prima a franare, nel 1140.
Le due chiese erano entrambe di costruzione molto antica, una epigrafe longobarda salvata dalla distruzione della prima chiesa data la fondazione della chiesa di S. Giusto intorno al 700, ma in questa zona sono state trovate altre epigrafi sepolcrali ancora più antiche. Secondo la tradizione la chiesa di San Giusto era stata affrescata da Giotto e aveva una bellissima scalinata di accesso ornata di preziosi motivi decorativi. Era pure provvista di una chiostro la cui decorazione architettonica è oggi conservata in parte al museo Guarnacci e in parte al Museo di Arte Sacra.
Non sappiamo quale sia stata esattamente la causa della frana delle Balze, ma dobbiamo pensare che alla base ci sia un grosso disboscamento avvenuto nel corso del X-XI secolo che ha minato la base del pendio in modo che l’acqua piovana, ha fatto il resto. Le prime notizie della frana si hanno agli inizi del XII secolo, prima inghiottì la chiesa di San Clemente e nel 1600 quella di San Giusto, l’ultimo avvenimento di rilievo è stato quando ha coinvolto il monastero di San Marco, crollato nel 1778. Ci furono anche tentativi di fermare la frana, ma sono sempre risultati inutili e è stato rinunciato ad ogni tentativo quando venne inghiottita, dopo il terremoto del 1848, anche la sezione del Corso che conduceva a Montebradoni.
Oggi questa contrada non esiste più, la chiesa è stata spostata più in alto, su monte Alboino in Prato Marzio e quest’ultima zona ha acquistato anche il nome di Borgo San Giusto. Gli unici rimasugli dell’antica contrada di San Giusto si notano in alcune abitazioni sparse nelle campagne e nelle case del Piano della Guerruccia.
Il suo stemma era l’immagine del santo Patrono che reggeva la bandiera del Popolo Volterrano, una croce rossa in campo bianco, i suoi colori erano il bianco e l’oro. L’immagine di San Giusto con l’insegna del popolo e i pani si trova anche sulle monete medievali coniate dal vescovo Ranieri degli Ubertini e dai suoi successori. Lo stemma con l’immagine del santo è ricordato anche fra le bandiere che portò con sé il popolo volterrano durante la guerra contro San Gimignano del 1236.
Dal 1992 la Contrada San Giusto inglobò nei propri confini il territorio della antica Contrada Prato Marzio, quella di Montebradoni e di Val Guinizinga.
Questa contrada partiva dall’attuale via Rossetti e continuava fino a Porta Menseri; era situata immediatamente ad Ovest della contrada di Borgo Santo Stefano e confinava a Est con quella di Borgo San Giusto. Era interamente attraversata da una importante strada chiamata Corso. Questa strada, che doveva ripercorrere il percorso del Cardo Maximus della città antica, partiva dalla Piazza dei Priori e attraversava tutta la città, passando poi da Porta San Francesco, le contrade del terziere infeiriore da Montebradoni si collegava con la strada per Pisa. Il nome di Prato Marzio, deriva dal fatto che probabilmente in antico qui si dovevano svolgere le esercitazioni militari, questo allora doveva essere un grande prato adatto allo scopo.
La leggenda di San Giusto ci racconta che il santo fece fuggire le fiere che infestavano la selva di Prato Marzio questo ci può far ipotizzare che fosse un terreno lasciato perlopiù incolto. Ancora fino al secolo scorso le abitazioni erano molto scarse, concentrandosi lungo la strada principale e solo durante negli anni trenta furono costruite le prime case popolari. Dopo che le Balze inghiottirono la prima chiesa di San Giusto e venne deciso di costruirne una seconda sul monte Alboino, questa zona cambiò nome, che passò da Prato Marzio a San Giusto e ancora oggi è ricordata con il nome di Borgo San Giusto. Un altro nome con cui è ricordata nei documenti medievali è quello di contrada di San Marco, dal nome della chiesa più importante presente nel suo territorio.
A difendere la contrada vi erano soltanto le mura etrusche, di cui sono ricordati numerosi restauri compiuti dalla contrada, e da alcune torri di difesa di cui l’ultima rimasta è la Torricella, presso Docciarello. Nella cinta muraria etrusca che la proteggeva si aprivano tre porte: quella di Docciarello o di Grimaldinga; quella di san Marco presso il monastero omonimo, etrusca; e quella di Menseri, degli inizi del Trecento.
Si ipotizza che su Monte Alboino, dove oggi sorge la moderna chiesa di San Giusto, vi fosse un castello, grazie anche ad alcuni documenti altomedievali. Non sappiamo quando esso fu abbattuto, molto probabilmente poco prima della nascita del Comune, alla fine del XII secolo; a testimonianza della importanza strategica di questo luogo vi è il fatto che un editto dei primi del trecento proibisce di costruire torri su questo montestemmavolterra.jpg.
Sono ricordate anche tre torri private, ma non sappiamo a quali famiglie appartenessero. E nel suo territorio vi doveva pure essere, almeno fino ai primi del Trecento, una torre costruita dal Comune volterrano come punto avanzato per la difesa cittadina, forse era sul Piano della Guerruccia da dove si poteva controllare tutta la Val d’Era.
Nella contrada si trovavano pure delle fonti molto ricche, tutte però fuori delle mura: quella di Docciarello, quella di Mandringa, che la leggenda vuole creata dai santi Giusto e Clemente, e quella di Prato Marzio, oggi della Frana. In corrispondenza delle fonti si trovavano le porte costruite vicino per garantire un facile accesso per l’approvvigionamento idrico.
Le chiese, tutte sotto la giurisdizione della Collegiata di Santo Stefano, erano quella di San Martino in Corso, distrutta durante la costruzione delle case popolari negli anni trenta; quella di San Marco, che dall’alto del suo campanile costituiva anche un eccellente punto di osservazione militare8.
Il suo stemma è uno scudo rosso con una croce bianca che lo divide in quattro parti e nel cui quadrato in alto a destra vi è un elmo di tipo tedesco. I suoi colori sono il rosso e il nero. Nel 1236 gli abitanti di Prato Marzio portarono alla guerra di San Gimignano le bandiere della contrada e queste erano raffigurate come delle croci bianche in campo rosso. Questo emblema è quello che poi in seguito passò come stemma della contrada, con l’aggiunta dello scudo cornuto, aggiunto probabilmente nel corso del Quattrocento.
Può darsi però che ci sia una differente interpretazione di questi dati, che fra l’altro sono molto confusi; forse siamo in presenza di un caso in cui si è conservato il disegno originale della bandiera, che doveva essere una croce bianca in campo rosso. Mentre invece l’elmo cornuto, detto anche barbaresco o barbarico era solo lo stemma e quindi sono due cose separate e non fanno parte entrambe dello stemma. Gli eruditi del Seicento che ci hanno tramandato queste informazioni spesso non sono chiari e in molti casi hanno “aggiustato” alcune affermazioni; per causa loro lo stemma di Prato Marzio costituisce un problema difficile da risolvere.
Facevano parte di questa contrada il borgo di Montebradoni, la valle di Val Guinizinga e alcuni villaggi della zona: S. Cipriano, Fagiano, Fiorli, ecc. Il centro focale di questa zona era la Badia di San Giusto, posta sul Monte Nibbio; la contrada era completamente sotto il suo controllo e probabilmente Montebradoni nacque come borgata alle dipendenze della Badia. Vista la piccolezza del borgo fu necessario aumentare il suo numero di abitanti facendo di essa una contrada composta quasi esclusivamente di abitazioni extraurbane.
Molti dei villaggi che composero la contrada facevano in origine parte di altre contrade, che furono create dagli abitanti nel 1208; questi villaggi si trovavano quasi tutti nella Val Guinizinga, a Nord Ovest della città.
La Badia venne fondata nel 1030 e probabilmente anche il borgo di Montebradoni iniziò a crescere in quel periodo. Aveva scarse mura e poco adatte alla difesa, visto anche lo scarso numero di abitanti che poteva vantare; i contadini si dovevano rivolgere all’abbazia per avere protezione anche in caso di guerra, o direttamente alle forti mura della città.
La contrada era attraversata dalla via che conduceva a Pisa. Questa strada, che nell’altra direzione conduceva direttamente in Piazza dei Priori, venne inghiottita dalle Balze nel secolo scorso, pochi anni dopo il terremoto del 1846. Fu sostituita dalla odierna via Pisana, che segue un diverso tracciato e coincide coll’antica strada per Pisa soltanto a partire da San Cipriano. Ancora oggi esiste una strada, ridotta ormai a un viottolo di campagna, che da Montebradoni conduce a San Cipriano con un percorso parallelo a quello dalla via Pisana e che probabilmente rappresenta ciò che rimane dell’antico Corso.
Il suo stemma è un Nibbio nero coronato, con sul petto un Giano bifronte, protettore della Volterra etrusca. I suoi colori sono il rosso ed il verde inquartati. Lo stemma originale dovette essere costituito solamente dal Nibbio che ricorda il nome del monte su cui è costruitala Badia. Successivamente venne aggiunto il Giano, questa aggiunta, per le sue caratteristiche filologiche, deve essere databile alla seconda metà del Seicento, contemporaneamente alle prime notizie che abbiamo sugli etruschi a Volterra.