Il canto del ferro e del fuoco del Ferrucci

La sera del 26 aprile 1530, Francesco Ferrucci fece il suo ingresso nella cittadella di Volterra con tredici bande: circa 1100 soldati e 300 cavalieri al suo seguito. Il Commissario Bartolo Tedaldi lo aveva convocato per assumere definitivamente il controllo della città di Volterra. Ferrucci, detto anche Ferruccio, era un sostenitore della Repubblica di Firenze e si movimentava per opporsi ai Medici e alle forze imperiali e papali che supportavano il ritorno dei Medici a Firenze. Arrivò da Empoli dove già stava combattendo per la causa repubblicana, contro l’occupazione imperiale.

> Sommario, Gli effetti della guerra di Firenze


I Volterrani sotto la guida dei Commissari Taddeo Gualducci e Roberto Acciaioli di parte imperiale, avendo saputo del suo arrivo qualche giorno prima, avevano prontamente eretto un bastione presso Santa Barbara. Sebbene il sito non fosse il più ottimale come quello di Santa Antonio, fu scelto per motivi di praticità; qui i cittadini posero un mezzo cannone e organizzarono la difesa del bastione. Vigilarono attentamente le strade e le abitazioni circostanti le fortezze nemiche, con un contingente di circa 200 soldati volterrani. Non potevano fare affidamento su nessun altro; il giorno precedente avevano inviato un messaggio di soccorso a Pisa e Siena, dove erano concentrate numerose bande imperiali, ma il soccorso richiesto non arrivò mai.

Poco prima di mezzanotte, le truppe della cittadella, unite in quattro bande, fecero il loro ingresso in città. Due di queste si diressero verso Firenzuola, dove avviarono intense scaramucce con il popolo. Nel frattempo, altre truppe nemiche si infilarono nel bastione presso Santa Antonio, calandosi dai tetti. Davanti alla Chiesa di Sant’Agostino scoppiò un violento scontro tra i soldati volterrani, guidati dal Capitano Gio Batta, e le forze nemiche. Dopo circa mezz’ora di combattimenti feroci, i difensori furono costretti a ritirarsi verso Via Nuova.

Le truppe nemiche riuscirono in seguito a conquistare anche il bastione a Santa Barbara, catturando il mezzo cannone, dopodiché fecero breccia in Via Nuova. Nello scontro, entrambe le fazioni subirono perdite significative, con numerosi morti e feriti causati dai colpi di arma da fuoco e dagli archibugi. Nel contempo, la cittadella continuava a bombardare pesantemente la città con l’artiglieria, trasformando l’intera area in una scena di devastazione.

Entrati nel quartiere di S. Agostino, le truppe nemiche catturarono una quindicina di soldati spagnoli che vi presidiavano, e li imprigionarono nella parte più alta della Rocca Nuova. I Volterrani, in risposta, eressero un altro bastione provvisorio in quel settore, installando un cannone e una colubrina. Queste armi non sparavano palle, bensì sassi, che causavano danni più devastanti e letali. Nel frattempo una parte delle truppe della cittadella irruppe nelle case lungo la via, saccheggiandole e imprigionando quanti soldati o cittadini di Volterra trovarono; i prigionieri furono 82 e furono tutti condotti nella Rocca Nuova. Tra di essi figurava anche Buonicontro, che sarà condannato a morte quindici giorni dopo; lo videro impiccato alle finestre dei Signori, insieme a un pistoiese. L’azione fu motivata dal fatto che Buonicontro, quando si trovava a Empoli sotto il comando di Ferruccio, non aveva utilizzato i fondi dati da Ferruccio per reclutare soldati, né era riuscito a restituirli.

In Via Nuova misero a fuoco più di trenta case, inclusi gli edifici più belli, fino alle fondamenta. Una disperazione che continuò fino alle tre del mattino, con scaramucce che durarono per gran parte della notte. Nel frattempo, quasi tutti i residenti di Volterra avevano lasciato la città per fuggire dal massacro, lasciando solo una piccola guarnigione di difensori che, a causa delle numerose perdite e dei molti fatti prigionieri, si trovava in una situazione estremamente precaria.

Durante la notte, ci furono anche scontri intensi ai bastioni del Castello, dove circa 200 persone persero la vita, inclusi 20 soldati del Ferruccio e il Capitano Balordo dal Borgo. Dalla parte dei Volterrani, morirono il Capitano Fabbrizio Borghesi, M. Gio Antonio Fei e Gio Cecini. Di nota furono M. Carlo d’Alberto del Bava e i suoi fratelli che, difendendo la propria casa con archibugi, opposero una strenua resistenza prima di essere catturati e rinchiusi nella Rocca Nuova.


L’ALBA DOPO L’INFERNO

La mattina del 27, i prigionieri erano in estrema sofferenza. Con le vettovaglie scarse e le forze esauste dopo molte perdite, la situazione sembrava critica, allorchè il comandante Ferruccio comprese la gravità della situazione e decise di proporre un accordo alla città.

Con Acciaioli in fuga, Guiducci rimase l’unico commissario con cui poter trattare. Dopo un consulto con il Capitano Giovanni Battista Borghesi, Guiducci si concesse nella trattativa. La città, ridotta ormai a una manciata di persone disperate per la mancanza di soccorsi, accettò l’offerta di Ferruccio. L’accordo prevedeva la resa della città in cambio della promessa di proteggere persone e proprietà, sia civili che militari. Con questo patto firmato, Ferruccio fece il suo ingresso a Volterra, schierando l’artiglieria nella cittadella e catturando il Commissario Guiducci. Con la sua cattura, il Capitano Battista e i pochi soldati rimasti decisero di ritirarsi a San Gimignano. Senza un comando chiaro, il Capitano della Città Niccolò de’ Nobili tornò al suo palazzo, mentre il Commissario Bartolo Tedaldi si stabilì nel palazzo dei Signori.

Ma gli accordi sono fatti per essere infranti, se non si crede troppo nell’onore. A differenza di quanto fu stabilito, i soldati iniziarono a saccheggiare la città senza alcun freno, occupando ogni spazio disponibile e depredando tutto ciò che potevano trovare. Ferruccio, per organizzare l’occupazione in modo più efficiente, distribuì strategicamente gli alloggi dei soldati: i cavalleggeri furono posizionati vicino alla piazza principale, mentre le fanterie furono schierate lungo le mura della città. Ogni casa, anche le più modeste, ospitò almeno dieci soldati. Bartolo Tedaldi ordinò la requisizione di grano, farina, vino e legna senza alcun pagamento, ammassando grandi quantità di provviste nella cittadella. Ogni settimana veniva portata legna nella piazza.

Ferruccio poi impose al popolo di raccogliere 6.000 ducati per pagare i soldati. Sei uomini furono incaricati di raccogliere questa somma dai cittadini, ma fu un compito arduo, soprattutto perché molti dei nobili e dei ricchi si erano allontanati dalla città.


LA CAPITOLAZIONE DI VOLTERRA

Subito dopo aver conquistato Volterra, Ferruccio rimase nella cittadella per organizzare il nuovo governo e pianificare le sue prossime mosse. Il 27 aprile, lasciò la città per approvigionamento e si diresse verso Colle di Val d’Elsa, San Gimignano e Villamagna con una piccola ma ben equipaggiata forza militare, composta da un mezzo cannone e un sacco di munizioni. Lì, si sistemò e rimase per diversi giorni per saccheggiare i magazzini e le risorse delle campagne, rifornendosi di vettovaglie da Colle, San Gimignano, Ripomarance e altre località vicine. Il suo esercito, composto da oltre 700 cavalli e numerosi altri uomini addetti al trasporto di bagagli e rifornimenti, depredò con forza le risorse agricole e le scorte alimentari.

Il 30 aprile, Ferruccio emanò un bando che ordinava a tutti i Volterrani fuggiti di tornare in città entro tre giorni, pena la confisca dei beni e l’accusa di ribellione. Alcuni tornarono, ma se ne pentirono presto, perchè furono imprigionati nella loro stessa città, incapaci di uscire a causa delle guardie che presidiavano le porte. Ad esempio, quando Jacopo di Zaccaria Falconcini tentò di fuggire da Porta a Selci, fu catturato e impiccato; a Minutio Minucci che, fingendo di andare a passeggio con il Conte della Gherardesca a San Geromino, approfittò della situazione per fuggire, imprigionarono suo fratello, M. Gio Battista, confiscando tutte le loro proprietà.

Ogni cittadino all’interno di Volterra doveva indossare una croce bianca, pena la cattura e la detenzione, ma dovevano andare in giro senza mantelli e abiti di sopra, pena il saccheggio. Era obbligatorio tenere luci accese alle finestre e vietato suonare ore e campane.


L’AMMISSIONE DI TRADIMENTO

Il 7 maggio, Tedaldi convocò una grande assemblea presso il Palazzo del Capitano. In questa riunione, che vide la partecipazione di vari cittadini e funzionari, Tedaldi si scagliò contro i Volterrani, accusandoli di ribellione contro la Repubblica di Firenze. Egli esigette che i cittadini ammettessero ufficialmente il loro atto di ribellione e accettassero le conseguenze di questa ammissione. Tra coloro che furono costretti a confessare, vi erano Solimi Cornelio Inghirami e Filippo Landini, i quali furono minacciati di impiccagione se non avessero accettato la loro colpa. Sotto pressione, i due uomini, insieme agli altri, firmarono un documento ufficiale per mezzo di un notaio pubblico, che attestava la loro ribellione e il conseguente annullamento dei privilegi e delle esenzioni che Volterra aveva goduto sotto la Signoria di Firenze.

Successivamente, nominò dodici cittadini che avrebbero dovuto rappresentare Volterra nella nuova amministrazione. Questi furono: Ser Giovacchino Incontri, Ser Giovanni Gotti, Giovanni Marchi, Giuliano Del Bava, Niccolò Gherardi, Benedetto Falconrini, Zaccheria Contugi, Michele di Ser Francesco, Bardo Fei, Spiniello Guardavilla, Mariotto Lisci e Filippo Landini. Questo nuovo consiglio politico aveva il compito di organizzare e amministrare la città sotto il nuovo regime.

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Volterracity, MARCO LORETELLI
Testo riadattato in lingua attuale di
INCONTRI, CAMILLO. Infortuni Occorsi alla Città di Volterra nell’Anno 1529 e 1530. Ed. Arnaldo Forni, 1979.
FONTI
INCONTRI, CAMILLO. Infortuni Occorsi alla Città di Volterra nell’Anno 1529 e 1530. Ed. Arnaldo Forni, 1979.