L’ingerenza imperiale del Maramaldo

Francesco Ferrucci entrò a Volterra chiamato dal Commissario Bartolo Tedaldi per assumere il controllo della città. Volterra, sotto il controllo delle forze imperiali, resistette con scarsi successi, con perdite significative e scontri violenti. Dopo la resa, Ferrucci impose severe misure di occupazione, requisendo risorse e raccogliendo tributi. I Volterrani dovettero accettare nuove amministrazioni sotto il controllo di Ferrucci e i suoi uomini e una alleanza con la Repubblica fiorentina antimedicea. La capitolazione di Volterra però aveva richiamato l’attenzione di Fabrizio Maramaldo, capitano di fazione imperiale.

> Sommario, Gli effetti della guerra di Firenze


MARAMALDO ARRIVA SOTTO LE MURA

Fabrizio Maramaldo al servizio dell’Imperatore Carlo V e del Papa Clemente VII, venuto a conoscenza della capitolazione di Volterra mentre si trovava a Siena con il suo colonnello e un contingente di 700 cavalieri e 3000 fanti, decise di intervenire.

Ferruccio, sapendo di non poter dormire notti tranquille, continuò a fortificare Volterra e a migliorare le difese della città. Ordinò la demolizione del Borgo di San Stefano e fece abbattere alberi e spianare case nelle immediate vicinanze della città, per ridurre i nascondigli che potevano essere usati dai nemici. Inoltre, inviò frequentemente cavalieri e archibugieri per ostacolare le operazioni delle forze imperiali che cercavano di avvicinarsi a Volterra, nei pressi di Colle, San Gimignano e Villamagna, conducendo scaramucce con i soldati di Fabrizio Maramaldo, che si trovava con un corpo di circa 700 cavalli e 3000 fanti. Tali interventi non furono sempre efficaci, molte volte le forze di Ferruccio tornarono con più prigionieri che vittorie, poiché il terreno accidentato di Volterra limitava l’uso dei cavalli e rendeva difficile il combattimento.

Gli sforzi di Ferruccio per mantenere la sicurezza della città includevano sia l’organizzazione di difese fisiche che la gestione delle risorse e delle truppe. La città rimaneva sotto la sua attenta supervisione, con una costante vigilanza sui movimenti nemici e una preparazione strategica per ogni eventualità; la prima di queste occasioni arrivò il 15 maggio quando Maramaldo, con il suo colonnello, lasciò Villamagna e si accampò a Spedaletto. Ferruccio, con quasi tutti i suoi cavalieri e due bande di archibugieri, si mosse verso di loro per affrontarli. Avvicinandosi, ingaggiarono una scaramuccia in cui tre cavalieri di Ferruccio furono fatti prigionieri.

Il giorno successivo, 16 maggio, circa un’ora prima dell’alba, Maramaldo attaccò i borghi di Volterra, dove erano stanziate tre bande di Ferruccio. L’attacco avvenne da tre direzioni: verso valle, dalle monache di Santa Chiara e da San Giusto. Dopo una breve resistenza, le tre bande, non ricevendo soccorso, si ritirarono nella città. Le truppe di Maramaldo, le cosiddette bande rosse, entrarono nei borghi e avanzarono fino alle mura. Gli abitanti di Volterra rinforzarono subito le mura con uomini, artiglieria, travi, sassi e tutto il necessario per la difesa. Intorno mezzogiorno, alcuni soldati uscirono dalla città per ingaggiare una scaramuccia che durò fino a seda, causando ferite da entrambe le parti.


LA PREPARAZIONE MILITARE

Ai Volterrani era stato richiesto il pagamento di 6000 scudi, ma riuscirono ad accumularne solamente 3500. Ferruccio, volendo pagare le sue fanterie, decise di prendere misure drastiche. Il 16 maggio, mandò diversi cittadini di Volterra nella Rocca Vecchia, minacciando i prigionieri di morte se non avessero pagato per sopperire alla mancanze economiche. Tra i detenuti vi erano: Taviano Incontri, Jacopo Incontri, Giovanni Gotti, Lodovico Del Bava, Niccolò del Fabbro, Antonio Marchi, Gabriello Del Bava, Benedetto Falconcini, Mariotto Lisci, S. Giuliano Gherarducci, Luigi Minucci, Spinello Guardavilli, Martino Fanucci, Bartolomeo di Agostino Falconcini, e S. Francesco d’Ermanno. Chi pagava veniva immediatamente liberato, così i prigionieri raccolsero la somma imposta aiutandosi, affrettandosi il più possibile per paura di nuove ritorsioni.

Ferruccio continuò a fortificare Volterra, costruendo bastioni e fossati intorno alla porta di San Francesco, dal Monastero di San Dalmazio fino al convento di San Francesco. Per realizzare queste opere, fu ordinato tramite bando che tutti i cittadini portassero tavole a San Francesco. Tutti i Volterrani, di qualsiasi estrazione sociale, erano costretti a lavorare; pena la morte. Anche sacerdoti, dottori e altri cittadini illustri; nessuno escluso. I Corbellini, falegnami, muratori e contadini invece furono obbligati a lavorare per sistemare le mura e le altre opere di difesa senza alcun compenso. Tali modifiche comportarono la distruzione di molte case e parte del monastero stesso. Dopodichè iniziarono altri lavori alla porta di Sant’Agnolo, causando ulteriori distruzioni.

Le porte di Sant’Agnolo e San Francesco furono chiuse con bastioni di terra e sassi. La porta di San Felice era già stata murata prima dell’arrivo di Ferruccio, mentre la porta dell’Arco fu chiusa con bastioni, lasciando aperta solo la porta di Selci, che veniva aperta raramente per permettere ai soldati di raccogliere fascine e foraggio per i cavalli.


LE PRIME SCARAMUCCIE

Il 18 maggio, i soldati di Maramaldo organizzarono un’imboscata con archibugieri nelle case vicine alla porta di Sant’Agnolo. Nel primissimo pomeriggio, alcuni di loro si avvicinarono alle mura e cominciarono a lanciare sassi e a sparare archibugiate verso il bastione della porta. Circa 30 archibugieri uscirono dalla città e iniziò una scaramuccia che si trasformò in un grande assalto durato un’ora, in cui morirono 14 soldati fuori dalle mura e, tra gli assediati, il Diavolaccio e il Capitano Francesco Corso, entrambi valorosi difensori.

Il 20 maggio, Ferruccio iniziò a pagare i soldati con il denaro raccolto dai Volterrani e, vedendo i nemici avvicinarsi, distribuì le fanterie sulle mura e i cavalieri a guardia della piazza. Sentendo che Maramaldo stava minando sotto il Cavaliere, Ferruccio fece spostare un mezzo cannone alla porta di San Francesco e un sacro all’angolo di S. Dalmazio, dove costruirono un cavaliere. Maramaldo piazzò un mezzo cannone e un sacro a San Stefano, portati da Siena, e il 24 maggio iniziò a sparare, ma senza causare danni significativi. Installò molte gabbie presso la porta di San Francesco e mantenne tre bande nelle trincee.

Ferruccio, assediato e impossibilitato a utilizzare i mulini esterni, fece costruire molti mulini a mano che, lavorando giorno e notte, riuscivano a macinare oltre 40 sacchi di grano. Questa misura permise ai difensori di continuare a resistere, mantenendo una fornitura costante di farina per il pane necessario al sostentamento dei soldati e dei cittadini di Volterra.


LE TENSIONI DELLE IMMINENTI BATTAGLIE

Il 28 maggio, Ferruccio, avendo già pagato le fanterie, ordinò di dare denaro anche ai cavalieri. Per raggiungere questo scopo, emise dei bandi che obbligavano i Volterrani a mantenere i soldati per tutto il mese di maggio, pena la morte.

Il 30 maggio, il Commissario Tedaldi e il Capitano de’ Nobili convocarono un’assemblea nel Palazzo del Capitano, chiedendo un contributo di un lumino per ogni casa volterrana. Per l’occasione Tedaldi spiegò che Ferruccio aveva bisogno anche di ulteriori fondi per pagare i cavalieri, i soldati malati, le lance spezzate e le ricompense degli archibugieri. Il popolo autorizzò dodici cittadini a raccogliere i fondi necessari, che dovevano essere trovati entro il 1° giugno. L’esercito necessitava di 6000 scudi, e per raccogliere questa somma si decise di vendere anche tutti i pegni del Monte di Pietà, fondere tutti gli oggetti d’argento e d’oro presenti, e, non essendo sufficiente, imporre una tassa su alcuni cittadini.

Per finanziare le sue operazioni, vennero confiscati persino l’oro e l’argento dalle sacrestie, anche se il sacrestano riuscì a salvare le reliquie più preziose. Gli oggetti recuperati vennero fusi per poi coniare monete d’oro e d’argento con il giglio di S. Giovanni e la scritta “Libertas”, di qualità scadente. Molte opere d’arte furono razziate, danneggiate o distrutte per recuperare i metalli preziosi. Ad esempio, la tavola d’argento sull’altare maggiore della chiesa fu fusa per ottenere circa 30 libbre d’argento.

Un episodio tramandato fino a oggi riguarda Leonardo Tedaldi, nipote del Commissario Bartolo Tedaldi. Durante il saccheggio delle reliquie, insultò la testa d’argento di S. Ottaviano, predisse la sua fine e la colpì con un martello. Poco dopo, Leonardo morì a causa di un cancro alla gamba, evento considerato un avvertimento divino per il mancato rispetto delle reliquie.

Il 18 giugno, il Commissario mandò bandi ordinando a tutti i Volterrani di consegnare oro e argento coniato sotto pena di morte, ma pochi o nessuno obbedirono. Allora Ferruccio chiese ai dodici cittadini designati di procurare altri 400 scudi, minacciando di tenerli senza cibo fino a quando non avessero raccolto la somma. Tra questi c’erano S. Giovacchino Incontri, Niccolò Gherardi, Michele di Ser Francesco, Gio Gotti, Benedetto Falconcini, Spinello Guardavilli, e Filippo Landini. Dopo tre giorni di digiuno forzato, trovarono da pagare e a liberarsi.

Avendo confiscati i beni alla città violando le proprietà private ed estorto denaro con ricatto, per disappunto i volterriani smisero di fornire cibo ai soldati e ai loro cavalli, provocando il malcontento specialmente tra i cavalleggeri, che minacciarono di andarsene. Le fanterie, appresa la situazione, si unirono ai cavalleggeri nel tumulto, chiedendo di continuare a vivere a discrezione, e cominciarono a vendere pane e vino che ricevevano gratuitamente. A causa del crescente disordine, Ferruccio fece imprigionare ulteriori cittadini, tra cui Sebastiano di Salvatici, Guidi Cornelio Inghirami, Giuliano Gherarducci, Bartolomeo Fei, Giuliano Del Bava, Zaccaria Contugi, Alessandro Fei, Michele di Baldassarri Del Bava, Gio Batta di Bartolomeo, Francesco Giovannini, Gabriello Del Bava, Mariotto Lisci, Alessandro di Bartolo sarto, e M. Cammillo Incontri. Alcuni furono trasferiti alla Rocca nuova.


IL PRIMO ASSEDIO

Il 9 giugno, parte dei soldati di Maramaldo si stabilirono a S. Andrea, mettendo buone guardie. I difensori, avendo avuto notizia di ciò, contaminarono le acque del convento con cavalli morti e letame. Le bande rosse si fortificarono lì, costruendo bastioni e ripari, e continuarono a saccheggiare le abitazioni circostanti. Il 10 giugno, si verificò una grande schermaglia nella valle di S. Andrea, con l’artiglieria della cittadella che supportava i difensori. Lo scontro durò circa due ore e causò alcune vittime, tra cui il capo colonnello dei difensori, Cammillo da Piombino, che morì tre giorni dopo a causa di una ferita da archibugiata.

Venne in aiuto anche il Marchese del Vasto con il suo colonnello e circa 3000 soldati, tra spagnoli e italiani, partiti dalla spedizione di Empoli. Quando arrivarono a Volterra si accamparono al Portone, stanchi dal viaggio, ma le bande bianche non si fecero attendere, cogliendo di sorpresa gli spagnoli disarmati e costringendoli ad abbandonare le tende. I Volterrani riuscirono a saccheggiare alcuni accampamenti, facendo prigionieri tre spagnoli e catturando una bandiera, ritirandosi poi vittoriosi.

Il 13 giugno, le bande rosse piantarono otto cannoni: tre nel campo del Turazza e altri nel giardino di S. Marzilia Leonori, vicino alla casetta di S. Giuliano Ghelarducci. All’alba, cominciarono a bombardare le mura della città da due lati, concentrandosi sulla torre della porta S. Agnolo e sul monastero di S. Lino. La muraglia, debole, crollò dopo dodici colpi, e in circa 150 colpi abbatterono circa 34 braccia di mura presso S. Lino e sette braccia della torre adiacente. Durante il bombardamento, quattro barili di polvere esplosero, causando la morte di diversi uomini e facilitando ulteriormente l’avanzata dei nemici.

La mattina del 14 giugno, la notizia del bombardamento fece sprofondare la città nel panico, tanto che i feriti, insieme al Commissario Tedaldi, si ritirarono nella cittadella portando con sé molti bagagli. Nelle ore successive, i volterrani tentarono di riparare i danni alle mura usando qualsiasi materiale disponibile, come coltrici, materassi, forzieri e casse; molti di questi saccheggiati dai catasti del monastero di S.Lino. Ogni minuto era prezioso, perciò Ferruccio ordinò al popolo di riparare anche i bastioni; pena la morte. Le donne dovevano macinare il grano, mentre i soldati perquisivano le case per trovare chiunque si nascondesse, spesso picchiando i ritrovati e costringendoli a lavorare. I ministri del Contessano torturavano chiunque fosse trovato senza lavorare, arrestandoli e minacciandoli di impiccagione. Il 15 giugno, Leonardo Giovannini, Jacopo di M. Gio Guidi e Piero Maniscalco furono quasi impiccati, ma furono salvati dall’intervento di un soldato che persuase il Contessano a liberarli, vista la brutalità che già regnava in città. Molti volterrani morirono dalla fatica per i lavori forzati.


IL SECONDO ASSEDIO

Nonostante i dissidi interni, Ferruccio incoraggiava e sosteneva sempre i suoi soldati; spesso attivo sul campo, si spostava da un punto all’altro per dare sostegno morale a tutti. Tuttavia, il 21 giugno, quando le bande di Maramaldo attaccarono le mura danneggiate di S. Lino, Ferrucci non poté partecipare personalmente alla battaglia cruciale. Il giorno precedente, infuriato per aver trovato un Volterrano lontano dal suo posto ai bastioni, aveva tentato di punirlo, ma fu gravemente ferito al ginocchio quando il suo cavallo inciampò. La ferita si aggravò con la febbre, costringendolo a letto nella cittadella. Si dice che per ovviare alla sua inutilità in campo, fece portare il suo letto vicino al luogo del combattimento per essere vicino ai suoi soldati.

Quando Maramaldo attaccò, le bande di Ferruccio non si fecero cogliere impreparate. Il violento assalto, caratterizzato da intensi combattimenti che durarono per più di due ore, fu respinto, causando circa 100 morti tra gli attaccanti e 40 tra i difensori, oltre a molti feriti da entrambe le parti. Nonostante la resistenza incontrata, Maramaldo non desistette e preparò subito una nuova offensiva. Vennero portati quattro nuovi cannoni con una grande quantità di polvere da sparo, portando il numero complessivo a 12 cannoni. Con questi, iniziarono a battere le mura della città nei punti più deboli.

I volterrani, che avevano costruito solidi ripari e riparavano velocemente le mura danneggiate, dovettero affrontare un intenso bombardamento, con più di 400 colpi di cannone sparati. La forza dei proiettili era tale che alcuni sassi venivano sbalzati via dall’impatto, un fenomeno che venne considerato incredibile da osservare per l’epoca.

Durante l’assalto, quattro portabandiera tentarono di scalare le mura, ma furono respinti e uccisi immediatamente, con le loro bandiere stracciate. Dall’interno della città si udivano voci, archibugi, tamburi e altri suoni di guerra, mentre i difensori preparavano olio bollente da versare lungo le mura. Il combattimento fu intenso e sanguinoso, durato circa due ore, con entrambe le parti che subirono gravi perdite. Le bande rosse, non riuscendo a ottenere una posizione vantaggiosa, furono costrette a ritirarsi. Circa 200 soldati spagnoli morirono durante l’assalto, mentre tra i difensori cittadini persero la vita circa 100 persone. Complessivamente, si stima che circa 500 soldati delle bande rosse e 100 delle bande bianche persero la vita in questa giornata di sanguinose battaglie.

Fallito l’assalto a Volterra, molte bande rosse provenienti da San Gimignano e dalle vicinanze si dispersero per la campagna, infliggendo danni significativi alle colture, tagliando le spighe dei campi di grano e danneggiando le proprietà dei contadini circostanti. I rimanenti si radunarono verso la porta dell’Arco, preparandosi per un altro tentativo di assalto, ma desistettero quando fra i soldati di Ferruccio si cominciò a vociferare che avrebbero eliminato brutalmente qualunque nemico rimasto vicino alla città, in caso di una loro sconfitta.


IL RIASSETTAMENTO MILITARE

Nei giorni seguenti alla vittoria, Ferrucci fece impiccare tutti i soldati spagnoli che avevano fatto prigionieri, poi organizzò una rassegna nel castello di Volterra, mostrando tutte le lance spezzate e le fanterie, che comprendevano venti bande sotto vari capitani, tra cui Niccolò Strozzi, Gigi Niccolini, Sandrino Monaldi, il Capitanino, e altri fiorentini come Sprone, Francesco Succola, Cesari, Paolo Corso, Luciano Corso, Gigion Corso, Voivoges, Tommè Siciliano, Antonio da Piombino, Prete da Urbino, Morgantè da Castiglione, Gio Maria Pini Sanese, Goro da Monte Benichi, Fortuna da S. Lorenzo e Pasquino da S. Benedetto. In totale, si trattava di 1500 fanti, molti dei quali provenienti dalle bande di Maramaldo.

Con una tale forza da mantenere, Ferrucci ordinò il prelievo di tutte le vesti rimaste dei Volterrani, conservate nel Convento di San Lino e di grande valore storico. Gli abiti furono trasferiti alla camera del Comune e venduti all’asta a prezzi molto bassi. La scarsità di vestiti fece sì che i soldati li acquistassero rapidamente, permettendo al Commissario di raccogliere i fondi necessari per pagare le truppe.

Confiscò anche gioielli, oro e argento da diversi luoghi, tra cui la torre di Baccio del Bava e la casa di Lodovico Incontri. Tutto ciò che poteva essere venduto fu messo all’asta o fuso per coniare monete. Questa misura indiscriminata, che non faceva distinzione tra beni personali e tesori religiosi, generò notevoli tensioni tra la popolazione. I fondi raccolti si rivelarono insufficienti, così Ferrucci impose una tassa straordinaria di 20.000 scudi sui cittadini di Volterra, inclusi quelli considerati ribelli e allontanati.

Il 27 giugno, le bande di Volterra, credendo di meritare un trattamento di riguardo come previsto dagli usi di guerra e vedendo che Ferruccio tardava a concederglielo, si ammutinarono e iniziarono a tumultuare. Nello specifico si trattava delle bande del Capitano Rigo Succola dal Borgo, che morì nell’assedio, guidate dal fratello Francesco, delle bande del Capitano Tonimi Siciliano e di un altro capitano. Organizzate, presero la piazza e il palazzo dei Priori e iniziarono a gridare: “Sacco! Sacco!”. Alchè tutta la città, memore del sacco del 1472 subito dai Medici, si sollevò in armi per prepararsi al peggio, ma Ferruccio, nonostante fosse ancora malato, si fece portare su una sedia dalla cittadella e intervenne calmandoli, promettendo di pagare le bande il giorno seguente.


UN RITORNO ALLA NORMALITA’

Dopo il 25 giugno, constatata l’impossibilità di conquistare Volterra, Maramaldo decise di prendersi del tempo per riorganizzare le sue truppe. Inviò il Mastro del Campo a Ripomarance con circa 600 cavalieri per trattative e ritornò a Volterra accompagnato da altri 200 cavalieri e 300 fanti. Nel frattempo, i soldati dispersi nelle campagne durante l’assedio fallito si riorganizzarono, inviando gruppi a Montecatini, Montecerboli e altre località nei dintorni del contado, espandendo le operazioni militari con l’obiettivo di isolare Volterra. Le fanterie del Marchese e del Capitano Barone si ritirarono verso il campo, mentre Maramaldo con il suo Colonnello si allontanò dai Borghi per raggiungere San Gimignano.

I volterrani, alla notizia di questa partenza, li inseguirono con tegami, padelle, campane, corni e altri strumenti derisori, con grandi grida e rumori.

Ferruccio, in fase di guarigione, tornò ad abitare in città. Con la campagna liberata dai soldati delle bande rosse, Ferruccio emise bandi affinché tutti, sia cittadini che abitanti delle campagne, potessero tornare liberamente e fare i raccolti senza timore. Molti contadini tornarono, ma fecero pochi raccolti perché il territorio intorno a Volterra, per tre miglia, era devastato e minato da entrambe le fazioni. Invece nessuno dei cittadini tornò, anzi molti se ne andarono per vivere nel territorio di Siena, poiché il dominio fiorentino non era sicuro.

Dopo la partenza di Maramaldo, a Volterra si iniziò a ricostruire le mura battute e minate. Ogni giorno, cavalli e fanterie uscivano per razziare: a volte nel territorio di San Gimignano, altre volte in quello di Ripomarance, portando indietro grandi quantità di bestiame, che venivano poi macellate.

La situazione era quasi tornata alla normalità, e furono inviati nuovi Commissari con ampi poteri, tra cui Gio Batista Gondi e Marco Strozzi. Con il loro arrivo, Ferruccio decise di lasciare Volterra per contrastare l’ingerenza imperiale a Firenze. Fu accompagnato da Bartolomeo Tedaldi, Taddeo Guiducci e diversi cittadini volterrani. Tra questi c’erano Giu Marcili, Giuliano Del Bava, Benedetto Balconcini, Gabriele Del Bava, Gio Batista di Bartolomeo, Alessandro Fei, Francesco Giovannini, M. Gio Batista Minucci e Antonio Gotti. Anche Zaccheria Coniugi doveva essere tra i partenti, ma, poiché non era stato trovato la sera precedente, fu imprigionato la mattina seguente nella Rocca Nuova e rilasciato solo dopo aver pagato una multa di 50 scudi.

A Volterra vennero lasciate sette bande di fanteria sotto il comando di vari ufficiali, tra cui Niccolò Strozzi, Sandrino Monaliti, Francesco Succola, Fortuna, Pasquino da San Benedetto, Giù Maria Pini e il Gobbo dal Borgo. Successivamente, arrivarono nuove truppe, come quella di Gualterotto Strozzi, proveniente da Arezzo dopo la presa della cittadella. Infine, si unì alle forze di Ferruccio anche la banda di Colle Gherardo Della Gherardesca.

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Volterracity, MARCO LORETELLI
Testo riadattato in lingua attuale di
INCONTRI, CAMILLO. Infortuni Occorsi alla Città di Volterra nell’Anno 1529 e 1530. Ed. Arnaldo Forni, 1979.
FONTI
INCONTRI, CAMILLO. Infortuni Occorsi alla Città di Volterra nell’Anno 1529 e 1530. Ed. Arnaldo Forni, 1979.