I volterrani da secoli, si sono sempre distinti nelle battaglie per la giustizia e la libertà e da sempre si è discusso di politica qui sul Poggio. In anni più vicini a noi, l’incontro e l’approfondimento di idee libere per tanti giovani avviene nelle botteghe artigiane degli alabastrai. Nel 1870 gli artieri dell’alabastro erano seicentocinquanta, su una popolazione di circa seimila persone; già si conosceva l’importanza della cooperazione e l’auto-organizzazione. Una delle prime associazioni di questo tipo, si formò proprio a Volterra nel 1851, la Società di Reciproco Soccorso tra gli artigiani, che nei tanti e periodici momenti di crisi, dava un po’ di sollievo alle tante famiglie degli alabastrai o li aiutava quando per infortuni o per malattie molto lunghe, non potevano lavorare. Logico quindi pensare che fossero proprio gli alabastrai a rappresentare quello spirito libero, quella voglia di nuovo, quella solidarietà e quella curiosità verso quel fermento e quelle idee che si andavano affermando nel paese. Magari non avevano una preparazione specifica alle spalle, ma tutti erano culturalmente e appassionatamente coinvolti e le condizioni di lavoro, le avvisaglie degli scioperi e dei tumulti, molto spesso per miseria e fame, rendono coscienti e pronti i lavoratori volterrani alle idee di socialismo e internazionalismo.
C’è molto fermento a Volterra, si stampano giornali, nascono circoli giovanili, si studiano, magari in maniera autodidattica trattati di biologia, filosofia, geografia e astronomia; furono momenti di fermento rivoluzionario, di lotta e di presa di coscienza per i lavoratori volterrani. Nel 1912 in seguito al clamoroso sciopero alle acciaierie di Piombino, durato ben 135 giorni, le botteghe artigiane degli alabastrai rimasero chiuse per tre giorni e i giornali socialisti volterrani “Il Martello” e “La Fiamma”, porteranno proprio a Piombino le redazioni, rafforzando il rapporto che legava le due città appartenendo alla stessa sottoprefettura volterrana, da cui dipendeva per il tribunale ed il collegio elettorale. Insomma si stava sempre più affermando un proletariato forte e consapevole costituito in massima parte da socialisti e da anarchici.
Poi arrivò la prima guerra mondiale e furono molti i volterrani che nel 1915 e negli anni seguenti con l’entrata in guerra dell’Italia, partirono per il fronte. La città si spopolò e tanti non fecero ritorno. Alla fine della guerra, la situazione a Volterra come nel resto del paese era davvero disperata. Tante le asprezze del primo dopoguerra, soprattutto il caro prezzi fece agitare la gente che fu costretta a dimostrazioni popolari e assalti ai negozi. Il sindaco fu costretto a imporre il prezzo politico sul pane, mentre nascevano cooperative di consumo rionali. La prima si era costituita a Mazzolla già nel 1908, la Cooperativa di solidarietà e Lavoro, dato che in quella frazione erano molto numerosi i braccianti e soprattutto i boscaioli, altre si formarono in borgo San Lazzero nel 1920, in borgo San Giusto nel 1921 e nel 1922 in borgo Santo Stefano “La Punta”. In un momento dove gli operai chiedevano maggiore partecipazione e lottavano per l’orario e le condizioni di lavoro, i contadini e i braccianti per la terra, si capisce che luoghi come le cooperative di solidarietà che avevano il compito di aiutare i più poveri con prezzi calmierati e assistenza di ogni tipo, divennero luoghi dove incontrarsi, fermarsi e di conseguenza svolgere anche attività politica.
Allo sciopero generale del dicembre del 1919 aderirono anche i lavoratori volterrani che alla fine del corteo si scontrarono con le forze dell’ordine. Puntuali come sempre, partirono le denunce per tutti i giovani della sinistra volterrana. Per gli organizzatori socialisti Amleto Bongini e Arnaldo Fratini ci fu una condanna del tribunale a una multa di 50 lire, gli altri socialisti Cesare Topi, Amedeo Meini e Persio Bagnoli insieme agli anarchici Pasquale Cardini e Guelfo Guelfi furono assolti.
Nel 1920 venne eletto a Volterra, il primo sindaco socialista: Giulio Cesare Topi, con il doppio dei voti della destra, ma nel gennaio del 1921, l’avanzata fascista, già molto forte al Nord, arrivò in Toscana. A Firenze fu ucciso Spartaco Lavagnini e ne seguirono giorni di scontri e rivolte. Gli incidenti continuarono a Pisa e a Cecina; a Empoli vi furono 18 morti e 45 feriti. Purtroppo Volterra non rimase immune da violenze e incidenti. La sede del partito Socialista fu bruciata, le riunioni del comune costantemente disturbate, venne distrutto anche il circolo ricreativo socialista “Garofano Rosso”.
La situazione divenne ben presto drammatica. Uno dei primi volterrani che fu costretto a espatriare clandestinamente perché anche disertore della prima guerra mondiale fu Dino Chierici che cambiò spesso luoghi e identità, prima in Germania, poi in Francia ma, arrestato con l’imputazione di spionaggio, scontò la pena per poi trasferirsi in Belgio.
Gli alabastrai e gli antifascisti a Volterra tennero duro. Le squadracce fasciste provenienti da Castelfiorentino e Cecina furono sempre respinte. E’ rimasta viva nei ricordi dei volterrani una rissa davvero grande al Giardinetto, quando studenti interventisti pisani, furono messi letteralmente in fuga.
I fascisti volterrani avevano la loro base di partenza all’albergo Nazionale e i picchiatori più noti, Turbini e Brizzi aiutati dalle famiglie Guidi, Taddeini, Inghirami, Pagnini e soprattutto Maffei effettuavano “spedizioni” sempre più di frequente. Le targhe anarchiche in Via Roma di Ferrer e Giordano Bruno tolte e distrutte; sempre più numerose le devastazioni in osterie e circoli, i partiti, gli intellettuali liberali e il clero volterrano, assoggettati alla violenza delle camice nere.
Gli antifascisti volterrani più in vista furono obbligati a dotarsi di una carta d’identità particolare, pubblico riconoscimento di sovversivo e la lotta politica passa definitivamente alla clandestinità, ma le botteghe degli alabastrai rimangono luogo di resistenza e opposizione; attivissimi gli anarchici come Mario Colivicchi, Tito Raccolti e Alberto Vestri che aderirono al Soccorso Rosso, un’organizzazione che aiutava le famiglie degli antifascisti reclusi o ne facilitava gli espatri e soprattutto diffondeva materiale e stampa clandestina, come ormai erano diventati “l’Avanti e l’Unità” che in maniera molto rischiosa raggiungevano Volterra e obbligava gli alabastrai a nascondere le copie magari nei modelli di gesso nelle botteghe.
Nel 1930 ancora arresti, soprattutto per molti episodi di volantinaggio contro il regime, effettuati al cinema, alle corse dei cavalli in Vallebona, al teatro Persio Flacco e in altri luoghi, Raccolti, Vestri e Piero Bulleri furono arrestati con l’accusa di ricostituzione del partito comunista e propaganda sovversiva. I tre furono condannati a 10, 2 e 6 anni. Scontarono due anni di pena, il resto fu amnistiato in occasione del decimo anniversario della rivoluzione fascista. Furono altri ventinove i volterrani che passarono davanti al Tribunale Fascista, formato soltanto da membri dell’esercito e del partito per un nuovo attacco a tutti gli oppositori. Anche Nello Bardini (Ciaba) fu condannato a 6 anni. La prigionia per tanti volterrani si trasformò in una sorta di addestramento politico, perché nel cambiare luoghi di detenzione e confine, vennero in contatto con antifascisti quali Terracini o Scoccimarro. Anche il carcere volterrano ebbe importanti oppositori politici in catene; l’anarchico Serni, il futuro sindaco di Modena Corassori, il futuro deputato socialista cecinese Ambrogi e il ricercatissimo agitatore e capo partigiano Cino Moscatelli.
Quando qualche gerarca o capetto fascista faceva visita a Volterra molti antifascisti venivano preventivamente arrestati e portati alla Caserma sui Ponti, da li, molte volte tornavano bastonati e purgati. Furono tempi di esili e di fughe fino alla sciagurata guerra voluta da Mussolini. Con la caduta del regime e l’8 settembre 1943 la scelta sarà per molti, soprattutto per i giovani richiamati alle armi dalla repubblica sociale, senza indugio e senza dubbio alcuno il bosco.
Ma oggi siamo qui a rendere doveroso omaggio a chi mai abbassò la guardia e soprattutto malgrado le angherie, le vessazioni, le torture abbassò la schiena. Grati per sempre a chi diffuse e difese idee nuove e progressiste fatte di umanità, di rispetto reciproco e di uguaglianza.
Grazie per l’insegnamento che ci avete dato, per aver resistito, per esserci stati di esempio.
Per ogni giorno, per ogni ora, per ogni minuto del vostro sacrificio che ci rendono orgogliosi e combattivi, con lo sguardo dritto per non cedere di nuovo, per non cedere mai più!