Il Settecento fu per eccellenza secolo di viaggi e di scoperte. Soprattutro gli Inglesi, oltre ai Tedeschi, vedevano nei tour in continente (Francia, Svizzera, Spagna e soprattutto Italia) la conclusione e il coronamento della proprìa istruzione. Rodolico1, citando l’opuscolo «Riflessioni sopra l’utilità dei viaggi» (Pisa, 1785, pag. X) afferma appunto che nelle Persone colte della fine del Settecento la passione dei viaggi era sostenuta dal desiderio di ricercare «il Genio delle Nazioni, Ie loro arti, le loro leggi, le loro manifatture, i loro usi». Si trattava insomma di viaggi di «istruzione ed esplorazione».
Già a quei tempi Volterra era fuori dalle grandi vie di comunicazione. Nell’«Itìnerario italiano ossia descrizione dei viaggi per le strade più frequentate alle principali città di Italia» (Vallardi, Milano, 1815) Volterra si trova ricordata (pagina 116) soltanto come deviazione del più importante itinerario Firenze – Siena, otto ore di viaggio effettivo escluso il cambio di cavalli alle poste.
«Da Colle per due diverse strade si può andare a Massa città dal Senese e a Volterra città antichissima, nella quale si osservano vari monumenti che attestano la sua antichità, specialmente le mura di costruzione Etrusca. Il territorio è fertile, abbondante di acque minerali, e ricco di cave di pietre dure molto ricercate, di carbon fossile o antracite e di alabastri. Vi si lavorano dei vasi e dei pezzi di scultura su modelli Etruschi scavati nei dintorni, dei quali diversi particolari posseggono delle ragguardevoli collezioni».
Appunto da Colle si avviò verso Volterra nel pomeriggio di Lunedi 20 Aprile del 1789 Sir Richard Colt Hoare. Ci informa Anna Benevelli Bristow2 che Sir Richard Colt Hoare era figlio di banchieri dai gusti raffinati. Suo nonno, Richard Hoare I insieme ad un cugino dello stesso nome sovrintendente della zecca, aveva fondato nel 1672 una banca tutt’ora esistente a Londra. Entrambi gli Hoare I erano orefici. Richard Hoare I in seguito fu nominato cavaliere ed ebbe un posto in parlamento; abile finanziatore di transizioni e di affari, finanziatore delle casse dello stato, consolidò la propria posizione economica e sociale.
Il padre di Richard Colt aveva sposato Anna Colt Hoare, sua cugina, figlia di Henry Hoare, altro banchiere interessato nella banca di Fleet Street. Purtroppo Anna morì nel maggio 1753, appena sei mesi dopo la nascita di Richard Colt: quest’ultimo crebbe dunque accanto alla matrigna Frances Acland ed al nonno materno. Trascorse gran parte della sua giovinezza in una splendida villa di stile classico a Stourhead, costruita secondo canoni palladiani e dotata di un vasto e splendido giardino. Nel 1785 ereditò, questa tenuta ed altre proprietà nel Devon e Wishire, mentre al padre rimaneva la banca della Bottiglia d’Oro.
Sir Richard Colt Hoare si era deciso a visitare il continente e l’Italia dopo la improvvisa ed inaspettata perdita della moglie Hester Littelton, avvenuta nel 1785, dopo appena due anni di matrimonio. La scelta avvenne sulla scia dei ricordi classici di cui era stata imbevuta la sua gioventù.
Egli compì dunque due viaggi in Italia, il primo dal 1785 al 1787, il secondo dal 1788 al 1791; di entrambi ha lasciato descrizioni dettagliate in pubblicazioni che datano dal 1814 al 1819.3
Come dice lo stesso Sir Richard Colt, lo scopo del primo viaggio fu quello « to see as much in a short time possible». Ma poi avendo acquisito una padronanza della lingua italiana tale da rendere superfluo l’interprete, decise il secondo itinerario «quitted the road for the paht, the capitals for the provinces», inteso alla riscoperta delle antichità classiche, alla ricerca dei tempi passati, alla visita dei luoghi ricordati dalla storia, alla ricognizione dei ruderi, alla comparazione dell’arte antica con quella moderna.
La visita a Volterra coincideva dunque alla perfezione con gli scopi che Sir Richard Colt si era proposto. Tra l’altro era una delle città meno conosciute dai suoi compatrioti. Così, il 20 Aprile 1789, lo troviamo sulle strade di Colle.
Arrivò a Volterra nel tardo pomeriggio, dopo cinque ore di viaggio; il tempo impiegato fu maggiore del previsto per la cattiva qualità del fondo stradale, la lentezza della cavalcatura e la burrasca con tuoni e fulmini che lo accompagnò per tutta la strada.
A Volterra fu accolto e ospitato dal suo amico Marcello Inghirami4. Non sono riuscito a sapere come, dove e quando i due si erano conosciuti.
Come sottolinea la Benevelli Bristow, essendo Sir Richard uno studioso dei classici, nei suoi diari ogni «ogni rovina o antica località porta il sigillo di una citazione»5. Anche Volterra non sfugge alla regola, essendo da lui presentata con una descrizione di Strabone; «in profunda valle sublimis et praeceps undique collis extat, cuius in vertice planities est, in hac sita ipsius sun urbis moenia, ad quam stad. XV ascensus est ex basi; rupes tota ardua atque difficilis est».
In appena due giorni e mezzo Sir Richard Colt vide di Volterra tutto quello che era possibile vedere e che a quel tempo era ritenuto interessante. Ispezionò le Mura, la Porta all’Arco, la Piscina. Esaminò a fondo i pezzi raccolti nel Museo del Palazzo Pubblico. Ammirò le collezioni archeologiche private di Casa Giorgi, di Casa Guarnacci e della Badia; quelle pittoriche di Casa Inghirami, Casa Ricciarelli e Casa Mazzoni. Ispezionò gli Ipogei del Colle del Portone, le Terme e l’Anfiteatro di Vallebuona. Si rese personalmente conto dell’inesistenza della Casa di Marmi descritta dal Targioni. Visitò le Chiese di San Dalmazio, Santa Chiara, Duomo, Badia, San Giusto, Sant’Agostino. Si affacciò alle Balze. Constatò che il Maschio meritava una visita.
Chi conosce Volterra può rendersi conto che Sir Richard Colt non sprecò vanamente il suo tempo. Sir Richard Colt non mancò di utilizzare quanto di meglio la città poteva offrirgli in fatto di cultura. Fece il suo giro turistico condotto da A. F. Giachi, erudito vero e fonte inesauribile di notizie storiche e artistiche.6
Sir Richard Colt annotò attentamente tutto quello che vide di interessante elencando con ricchezza di particolari le reccolte che gli furono mostrate e soffermandosi in particolare su quegli esemplari che più lo avevano colpito: un elegante pavimento in mosaico del Museo del Palazzo Pubblico, un Polifemo con due occhi scolpito in una urna della raccolta di Casa Giorgi, una statua greca di Ercole di Casa Guarnacci, dal bel torso ma dalla testa aggiunta in epoca successiva, un delicato scarabeo etrusco della raccolta della Badia. Evidentemente nel redigere questa selezione si lasciò guidare dal gusto del suo Cicerone, perchè proprio i medesimi esemplari sono citati nell’opera del Giachi.7
Bisogna dire che non sempre Sir Richard Colt è esatto nelle attribuizioni e nelle datazioni delle opere d’arte che ricorda. Ad esempio pare convinto della origine etrusca della Piscina di Castello «is the most perfect specimen of Etruscan workmanship now existing at Volterra». In questo si lascia forse condurre dalle opinioni del tempo e del suo accompagnatore: infatti il Giachi aveva definito quella di Castello: piscina etrusca di architettura toscana.8
Ma se Sir Richard Colt seguì la sua guida nell’errore di giudizio per quanto riguardava la Piscina, dimostrò invece un chiaro senso critico quando, in Vallebuona, di fronte agli avanzi del Teatro, concluse che si trattava «obviously of Roman workmanship» mentre il Giachi aveva asserito che appunto nel luogo chiamato Vallebuona si scorgevano i «vestigi di un etrusco teatro»9.
Le capacità tecniche architettoniche degli Etruschi meravigliavano Sir Richard Colt, che rimaneva affascinato dalla perfezione delle loro sculture; era del resto un conoscitore, in grado di discutere sulle diverse qualità caratteristiche del vasellame di Volterra, Arezzo, Chiusi.
Mentre la descrizione delle «antichità», dei rnonumenti etruschi e romani degli Ipogei e delle Terme occupano diverse pagine del diario, basta a Sir Richard Colt poco più di una pagina per elencare «i prodotti dell’arte moderna» esistentì in Volterra, e che sono soprattutto le pitture esistenti nelle Chiese e nelle raccolte private. I maestri citati però non risalgono oltre Andrea del Sarto e Giovanni da San Giovanni. Ciò non desta meraviglia poiché: Sir Richard Colt trovava «arid Schools» quelle di Giotto e Cimabue e «more perfect studies» quelli di Raffaello, Correggio, Carracci.
Giunto a Volterra lunedì 20, Sir Richard Colt ripartì giovedì 23 nel pomeriggio, diretto a Pomarance, dove fu ospitato in una villa dell’amico marchese Inghirami, che lo aveva accompagnato fino a lì. Venerdì 24 lasciò Pomarance per Montecerboli e Suvereto; sabato 25 si trasferì da Suvereto a Populonia e quindi da Populonia a Piombino, per imbarcarsi verso l’Isola d’Elba. A Populonia fu ospite dei Desideri, parenti del marchese Marcello.
Durante questa seconda parte di viaggio Sir Richard Colt rivela le sue doti di naturalista, attento osservatore delle condizioni dei luoghi e della natura: quest’ultima lo attrae e lo affascina, ed egli sembra subirne I’influenza. Lo suggestionano la qualità dell’aria, le solitudini, gli aspetti talora selvaggi e desolati; egli si guarda intorno ed annota, forse prende anche appunti a disegno.
Sir Richard Colt rimase colpito dalla regione sterile e cretosa che attraversò per raggiungere le Moie del sale e dalle Fornaci solforose di Montecerboli, non ancora sfruttate da Larderel. La bellezza selvaggia dell’insieme non glli impedì comunque di osservare i particoIarì, di chinarsi a guardare le piccole tracce di zolfo depositate sul bordo delle sorgenti di Montecerboli o di ammirare, nel fitto di un bosco al lato della strada, una fonte che gorgogliava e si agitava come se bollisse, mentre Ie sue acque erano fredde.
Dopo Suvereto si aprirono agli occhi di Sir Richard Colt i vasti orizzonti maremmani, ed egli passò per Campiglia, nota per Ie sue cave di ferro e per le sorgenti calde di Caldana, forse citate da Plinio. Sulla scorta delle descrizioni di Leandro Alberti ricercò, ma invano le rovine di Vetulonia.
Sir Richard Colt fu insomma un turista impegnato, che compì il suo giro con riflessione ed accuratezza, dopo una adeguata preparazlone, e non con lo superficialità di altri suoi compatrioti. Aveva scelto, e questo era nello spirito del suo secondo viaggio, un itinerario inconsueto; infatti la strada che raggiunge Volterra e dalla città prosegue per la Maremma era a quel tempo molto faticosa e non di rado pericolosa. Per venire a visitare il capoluogo etrusco bisognava insomma avere valide ragioni, le non solo quelle di rivedere un amico. Del resto il nutrito programma dedl’inglese in quei pochi giorni trascorsi a Volterra dimostra il suo impegno nell’approfondire, ancorché settorialmente, le sue conoscenze nel campo delle antiche civiltà.
Durante la sua permanenza a Volterra Sir Richard Colt appare costantemente attratto dal «Genio» della civiltà etrusca – romana, che cerca di assorbire in tutte Ie sue forme, da quelle architettoniche a quelle ornamentali, a quelle votive, a quelle che contraddistinguono la vita corrente di tutti i giorni. Quando è in viaggio, pur attratto e quasi dominato dalle bellezze naturali, rimane minuzioso ed esatto nel riportare le distanze, le percorrenze, le condizioni di viabilità, nel fornire indicazioni utili agli altri viaggiatori che lo seguiranno: ci ha lasciato precise annotazionì sulle condizioni della strada che porta a Volterra e su quella che conduce in Maremma, segnalando anche le buone osterie e posti migliori, o avvertendo quando non ce ne sono.
Certamente le motivazioni dei viaggi furono almeno inizialmente, personali e duplici: da un lato sfuggire la depressione e la solitudine conseguenti alla perdita di persone care; dall’altro quella di arricchire il proprio spirito sull’onda di una solida tradizione culturale. Gli itinerari prescesti, i luoghi nei quali si fermò, gli oggetti della sua ammirazione sembrano confermare almeno il secondo dei due propositi.
Ma quanto Sir Richard Colt vide ammirò ed annotò non rimase utile soltanto a lui, perché egli con la sua precisa, concisa e chiara prosa volle metterlo a disposizione anche degli altri futuri turisti ed antiquari.
Non scoprì certo nulla di nuovo, ma lasciò una strada per chi avesse avuto la buona intenzione di seguirlo attraverso la cultura ed i ricordi classìci, senza perdere di vista le più prosaiche necessità terrene.
Le pagine di diario volterrano di Sir Richard Colt dimostrano che durante quei giorni la sua attenzione fu soprattutto attratta e polarizzata dalla ricognizione e dalla identificazione dei rnonumentì antichi; forse il breve tempo trascorso nella città non permise che si risvegliasse in lui quella «sollecitazione estetica al pittorico» cui si dimostrerà sensibile in altri momenti delle sue peregrinazioni, ad esempio all’Isola d’Elba.
Ma mentre durante il soggiorno elbano, refrattario a stabilire rapporti umani, Sir Richard Colt appariva «un uomo distaccato dalla realtà immediate, un osservatore curioso ed attento sia del paesaggio naturale che di quello umano che viaggia sempre da solo» e il suo interesse per ciò che si svolge intorno a Iui è precisamente in termini di spettacolo10, la parentesi di viaggio volterrana non suggerisce la stessa impressione.
In questa città il turista inglese trovò l’accoglienza dell’arnicizia (ed egli steso non manca di sottolineare più di una volta la parola amico, riferita a Marcello Inghirarni) e la guida espertissima di un sapiente: confrontando I’opera deI Giachi edita pochi anni prima con le pagine di diario di Sir Richard Colt non si può fare, a meno di notare quanto le seconde siano state influenzate dalla prima.
Forse a Volterra, più che altrove, Sir Richard Colt si sentì accolto con cordiailtà e simpatia dagli epigoni di quelIa civiltà che andava riscoprendo con tanta passione e ne lasciò testimonianza nel suo diario: «I formed many acquaintances at Volterra, and spent the interval of may stay very agreably».