Il terremoto, le locuste e la peste

Nel gennaio del 1742 un violento terremoto colpì Livorno, rovinando gran parte degli edifici e provocando numerosi morti. La popolazione terrorizzata cercò rifugio in campagna, nelle capanne, sotto le tende, nelle piazze e perfino «per le barche in mare». Così scrisse il volterrano N. del Bava nelle sue «Memorie», aggiungendo che dopo la traslazione in città dell’immagine della Madonna di Montenero finì il «gran flagello» e solo un modesto sciame sismico si fece sentire nel mese di marzo.

La scossa del 17 gennaio fu avvertita in tutta la Toscana e «anche a Volterra dove fece sonar più campane», cioè fece ondeggiare i campanili ma, al contrario di Livorno, qui i danni furono contenuti, «per l’aiuto di Dio e de’ santi nostri protettori».

Nel giugno dello stesso anno apparvero nelle colline, specialmente fra Volterra e Montecatini, piccoli «grilli neri» che furono giudicati locuste. Poiché l’anno prima avevano invaso le Colline di Pisa distruggendo i raccolti, vennero subito informate le autorità a Firenze, le quali per contrastarle ordinarono di usare le cosiddette «tende bianche». Si trattava di grandi pezzi di stoffa bianca che, aperti e sorretti per ciascun angolo da quattro uomini, erano da collocare nei luoghi dove le uova degli insetti si erano schiuse da poco. Le piccole locuste, attirate dal colore o per altra ragione, vi sarebbero saltate sopra, formando in breve tempo un ammasso indistinto. La stoffa, chiusa poi a fagotto, sarebbe stata fatta subito bruciare con tutto il suo contenuto.

Il metodo era già stato sperimentato in Maremma nel 1716 e fu ripetuto a Volterra in quest’occasione, risultando però molto oneroso. Per l’acquisto delle tende la Comunità spese più di 400 scudi e, nonostante ciò, non riuscì a eliminare definitivamente il problema. Nell’agosto gli insetti superstiti si estesero nei paesi più freschi del territorio e lì «rifinirono li fagioli, li panichi e tutta l’erba e anco spogliorno gl ’alberi fruttiferi, come fichi…».

Nel maggio 1743 poi ne sarebbero nati molti altri dalle uova depositate l’anno prima. Questa volta però la Comunità avrebbe richiesto l’aiuto finanziario dello Stato. I magistrati inoltre avevano la convinzione che «in questi nostri paesi nascono tardi e non crescono come in Maremma sì presto da poter danneggiare la raccolta». E difatti, con gran sollievo di tutti, dopo aver sciupato «un poco li fagioli et erba tenue del domestico ove sono nati», il flagello si sarebbe sparso «verso la marina senza altro danno».

Nel febbraio 1743, d’inverno, giunse la peste in Toscana, portata «da gl’umori de’ topi», più violenta di quella del 1732. Così almeno scrisse il del Bava riguardo a quella che oggi si pensa fosse solo una grave sindrome influenzale. Ne furono comunque colpiti gli anziani «et altri gracili di complessione». In pochi mesi a Firenze morirono 2000 persone, mentre a Volterra i deceduti furono 30 e i malati circa 1500. Annota il nostro memorialista che di peste (o di broncopolmonite) morì anche la settantaseienne Elettrice Palatina, cioè Anna Maria Ludovica figlia di Cosimo III, ultima discendente della casa regnante Medici.

© Paola Ircani Menichini, PAOLA IRCANI MENICHINI
Il terremoto, le locuste e la peste, in “La Spalletta”, a. 21 settembre 2013

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