Causa? Il morbo deIl’epoca! Lotta spietata tra Guelfi e Ghibellini. Delle due fazioni: Guelfi e Ghibellini – in Toscana – prevalsero: a Firenze i Guelfi, a Siena, Pisa, Lucca e Pistoia i Ghibellini. Questi partiti politici che ebbero la loro origine in Germania, l’uno da Guelfo duca di Baviera e l’altro dagli Hohenstaufen signori di Waibling e duchi di Svevia, finirono per diventare acerrimi nemici, quando si accese la lotta tra l’impero sostenuto dai Ghibelllnì e il papato dai Guelfi.

Firenze guelfa amica con Pisa, Lucca e Pistoia ebbe come nemico numero uno Siena ghibellina, di cui ne scrutava le mosse e vigilava su qualunque iniziativa che questa potesse intraprendere. Firenze era sempre pronta ad intervenire con le armi contro tutti quei paesi che davano ricetto a Ghibellini o ad accorrere su quelli minacciati dai Senesi.

Già nel 1174 fu di scena Montepulciano. Lo scontro tra i due eserciti Senese e Fiorentino avvenne presso il castello d’Asciano. I Senesi furono sconfitti. Si racconta che i Fiorentini dopo la vittoria, nel ritorno, a Poggibonsi un soldato avendo osato far violenza ad una fanciulla, gli abitanti di Borgo Marti o Marturi reagirono e ne nacque un tafferuglio, per fortuna terminato solo con diversi contusi.

«Ma il fatto è che quelli di Marti dubitando dì non esser vié maggiormente in processo di tempo dalla potenza de’ Fiorentini oltraggiati, disfatto il borgo, si tornarono ad abitare sul poggio, il quale essendo ivi una selva d’un di lor terrazzani, che avea nome Bonizzo, il poggio di Bonizzo e poi accorciandolo Poggibonzi nominarono. Il qual luogo con tanto ordine compartirono e di chiese e di torri e di mura si nobilmente adornarono e huomini di tal affare andarono ad abitarvi, che congiuntosi con Senesi e con altri vicini comuni confederatisi, hebber molte volte per nulla gli sforzi de’ Fiorentini, i quali ancor eglino non molto dopo di due vicine castella fecero di nuovo il castello di Colle di Valdelsa, in quel Iuogo ove si trova, per far frontiera a Poggibonsi e volendo in questo più la vana gentilità de’ superstiziosi antichi, che i presenti usi della christiana severità osservare: dicesi, che del sangue de’ sindachi così de’ Fiorentini come de’ Collìgiani s’intinse la calcina, con che si fondò la prima pietra a perpetua memoria di amicizia e di fratellanza da quel di Colle al comune di Firenze. Stimasi per alcuni e con rnolta ragione, non in questo tempo, ma molto prima esser edificato Poggio Bonizzo.

Può darsi che l’origine di qualche casolare sia più antico, ma dato che più sopra si parla di una selva non è da escludere che la città vera e propria, che Scipione Ammirato descrive magnificamente nel passo, dove narra la distruzione di Poggibonsi del 1270 da parte dei Fiorentini, per avere i Poggibonsesi dato ricetto a fuorusciti Ghibellini, sia proprio di quest’epoca «quel castello era cinto di buone mura, e di torri e di così magnifiche chiese e pievi e ricche badie dotato con fontane lavorate di marmo e commode e belle habitazioni, e quasi posto nel bilico di Toscana, che parea si potesse paragonare con ciascuna delle più belle città d’Italia».


FIRENZE SI DIVIDE IN GUELFI E GHIBELLINI

Correva l’anno 1215, quando una nuova rovina, definita domestica (come quella del 1177, in cui gli Uberti si rivoltarono contro i consoli che governavano il comune). Protagonista di questa divisione, come nella guerra di Troia, fu una bella donna (ragazza) della famiglia Donati, che sua madre voleva dare in sposa ad ogni costo a Buondelmonte Buondelmonti leggiadro cavalìere, promesso sposo di una donzella della famiglia Amidei, ma la signora Donati convinse Buondelmonte a sposare sua figlia, che in verità si dice che fosse di meravigliose fattezze.

Gli Amidei avevano per parenti gli Uberti, Mosca de Lambertini, Oderigo Finfani e i Gangalardi, i quali aggredirono ed uccisero Buondelmonte, mentre stava attraversando Ponte Vecchio sul suo cavallo bianco.

I Buondelmonti allora con molti loro seguaci impugnarono le arrni, altrettanto fecero gli uccisori di Buondelmonte e si ebbe battaglia crudele e sanguinosa e mentre la contesa del 1177 non fu che temporanea, questa divenne perpetua perché da allora «entrarono in Firenze gl’infausti e abominevoli nomi di Guelfo e Ghibellino» e di 72 famiglie delle più famose fiorentine 39 che seguirono i Buondelmonti furono Guelfe e le altre Ghibelline.


LA GUERRA DEL CAGNOLINO

Talvolta poteva essere il pretesto più banale a far scoppiare una guerra. Quando Federigo II venne a Roma per farsi incoronare imperatore dal Papa, convennero a Roma ambasciatori da quasi tutte le città d’Italia e visto un Cardinale romano, che un ambasciatore fiorentino si era molto affezionato ad un grazioso cagnolino, il Cardìnale gliene fece dono, ma, prima che il Fiorentino lo facesse portare via, piacque anche a un ambasciatore pisano.

Il Cardinale considerando ormai il cane non più suo I’offerse pure al Pisano, ma quando questi lo cercò non lo trovò più, perché il Fiorentino aveva già provveduto ad inviarlo a casa sua, e per farla breve dal diverbio che ne nacque tra i due contendenti ci scappò la guerra e rompendo così l’amicizia che esisteva allora tra Pisani e Fiorenini. Lo scontro dei due eserciti, che avvenne in località detta Castel del Bosco, si risorse in favore dei Fiorentini, facendo milletrecento prigionieri, i quali trasportati a Firenze in Duomo, dove allora risiedeva il podestà, si dice che i Pisani, avendo fissato lo sguardo sulle colonne di porfido, davanti alla porta del tempio, che essi avevano mandate ai Fiorentini, avessero un’amarissima rappresentazione considerando di vedere con occhi da nemici, e da prigionieri, quei loro antichi trofei mandati, a quel popolo, a cui servivano ora per segno perpetuo della loro mal conservata amicizia.

Federigo Il eletto imperatore si fa sempre più impetuoso, scaglia le saette della sua ira contro i Guelfi e contro i capi della Chiesa di Dio. La crudeltà di Federigo si fa sempre più sentire e mentre i Ghibellini di Firenze cacciano i Guelfi dalla città (1247) e si ingegnano ad espeIlerli da tutti i luoghi di Toscana, Federigo conduceva con se in Puglia, una schiera di capitani guelfi, che dopo aver fatto cavar loro gli occhi, li fece poi gettare in mare.

Ma verso la fine del 1250 arrivò in Firenze la notizia che Federigo era morto e per «per fatal combinazion» il giorno stesso moriva a Firenze Ranieri da Montemerlo suo Podestà e così i Guelfi rietrarono in Firenze.

Da quel momento furono i Guelfi a imporre ai Ghibellini l’allontanamento da tutte quelle città e paesi in cui essi abbondavano o tutt’al più farsi restituire da altre città quei Guelfi che tenevano prigionieri o riammettere nelle loro queIli cacciati. Così fu la volta di Pistoia, San Miniato, Pisa, Montalcino, Poggibonsi e Volterra della quale ultima ecco qui in completo la descrizione del molto letterato Scipione Ammirato, che attinge al Villani ed amplia ed oltre ad aver scritte “Le Storie Fiorentine”, scrisse anche versi d’amore, orazioni, inni, canzoni, dialoghi civili e filosofici ad imitazione di Platone.

«Delle città, nelle quali era superiore la parte Ghìbellina in Toscana, una era Volterra, ma la fortezza del sito di quella città, per la quale era riputata per una delle più forti d’Italia; perché ella è posta sopra un luogo rilevato, non porgea ai Fiorentini speranza alcuna d’haverne vittoria. Voltaronsi dunque l’insieme più con i intendimento di darle il guasto intorno, e ritornarsene a Firenze, che con pensiero espugnare la città.

Per questo giunti per le piagge e vigne di Volterra, attendevano a metterle a fuoco e ferro. Il che non potendo patire, i Volterrani, che in su le porte della lor città fusse così superbamente oltraggiati da’ Fiorentini e che a guisa di spettatori stessero oziosamente mirando la rovina de’ loro poderi, con grande baldanza e orgoglio si mossono a vendicare quell’ingiuria, confidandosi in uno stesso tempo non meno della moltitudine delle loro genti, che dell’opportunità del luogo. E invero aiutati grandemente dal vantaggio, che havevano della scesa del poggio incominciarono a danneggiar aspramente i fanti a piede, non potendosi così bene adoperare la cavalleria: l’avrebbero facilmente condottì a duro partito se havessero havuto alcun capo; ma l’esser usciti impetuosamente, piuttosto mossi da una certa subita ira, che da matura considerazione, senza haver certo Capitano, o ordine distinto di quel, che s’havessono a fare terminaron questo movimento con poca felicità. Imperoché i cavalieri Fiorentini veggendo il pericolo, nel quale havendo vigorosamente sostenuto la battaglia, era in atto di piegare, superando con I’ardìre la difficoltà del luogo, spinsono animosamente i cavalli al poggio e giungendo freschi incontro a Volterrani già stanchi della zuffa, e presso che allentati dalla speranza d’haver vinto, li costrinsero a ritirarsi e da questo volger, le spalle, e a fuggirsi, ove fu tanta la fretta e velocità, e di chi fuggiva parimente, e di coloro, che seguitavano, che le porte che erano aperte per ricoverare dentro gli amici, ricevettero ancora i nemici; e furono prima dentro i Fiorentini, che in quelle s’havesse potuto dalle guardie usar riparo alcuno a proibire loro l’entrata.

Ma i Fiorentini mentre appena credono a sé stessi d’haver occupata Volterra; perché cotanta felicità non se li volesse in miseria, non attesono con quella furia, con la quale erano entrati a correr la città, ma fatto alto e spettate tutte le genti posono guardia alle porte e altri distribuirono su per le mura, con animo. assicuratisi di questi luoghi importanti, di dar poi il sacco alla terra, e di tagliare a pezzi chi havesse animo di contrastare; onde essendo per la città lo spavento grandissimo, si erano in tanto, come in così fatte sventure suole avvenire, tutte Ie donne volterrane coi loro piccoli bambini, e con alcuni deboli e impotenti vecchi ridotte alla Chiesa maestra, aspettando l’estrema ruina dell’infelice patria, ove erano tutti i cherici e il vescovo della città convenuti, ai piedi del quale le semplici femminelle attaccandosi li domandavano, oome s’egli non si trovasse ne medesimi pericoli, aiuto al Consiglio. Altre come se allora havessono alla gola i coltelli degli nimici, li chiedevano la remissione dei peccati.

Chi stringendosi i figlioli al seno, dopo haverli fisicamente guardati, amaramente come se più non I’havessono a rivedere si mettevano a piagnere, e piagnendo faceano maggiori stridi gittare agl’impauriti fanciulli. Il Tempio rimbombava di sospiri, di pianti e d’ululati profondissimi e diversi. Tu ne vedevi altre prostrarsi innanzi alle sacre immagini baciar la terra; altre con le mani giunte e con gli occhi fermi restar Immobili come statue all’immagini della madre di Dio, e altre abbracciatesi alle croci e ai piedi del crocifisso chiamar il loro salvatore, che le scampasse dalla morte, e dalla vergogna. Ma non era cosa a vedersi più dolorosa e più miserabile di quelle, che stracciandosi i capelli e la faccia piagnevano non tanto le presenti e future miserie quanto le passate, dubitando che o figliolo o marito o fratello o padre non fusse restato morto nella disavventurata battaglia.

A cotante e così grandi miserie ottimo rimedio prese il valente Vescovo, il quale ordìnato a’ preti che si vestissero le cotte e le croci e le venerabilì reliquie in mano riprendessero e se medesimo adornato del manto e della mitra Vescovile, uscì della chiesa in processione a trovare i nimici, e i sacrosanti salmi e le pietose preci cantando, perchè Iddio dalla soprastante rovina scampasse la sua fedele e devota città.

Seguivano con quell’ordine, che potea farsi in così fatto caso, le donne scapigliate e gridando e di mandando ad altissime voci a i signori Fiorentini pietà e misericordia; né restarono di quelle, che più dell’altre ardite si gittassero ai piedi loro le mani vittoriose basciandoli e con supplichevoli voci se stessa, la patria, i figlioli, i parenti e gli amici raccomandandoli. Il quale lacrimevole spettacolo accompagnato dalla riverenza della religione e dall’haver gli altri posato l’arme, non è dubbio alcuno d’haver mosso a pietà i nimici; i quali rimossa per questo ogni prima deliberazione, incontanente mandarono un bando, che niuno ardisse di fare ruberia alcuna o di manomettere chi che sia sotto pena del capo.

In così fatto modo i Fiorentini vinsono contra ogni loro credenza Volterra, la quale riformata a lor modo e mandatine solamente alcuni capi de Ghibellini in esilio, si voltarono essendo ancora il mese d’agosto sopra di Pisa. Ma era tale lo spavento de Pisani per la fama, che per tutto s’udiva delle vittorie dei Fiorentini, che deliberarono non mettersi al rischio della battaglia, anzi, Ii mandoro in contro ambasciatori e per segno d’umiltà con essi le chiavi della terra, profferendosi di accettare quelli patti e convenzioni, che da Ioro fossero giudicate convenienti; si che la pace e concordia tra quelle due città potesse durar lungo tempo.

Queste supplicazioni non parve a’ Fiorentini da dispregiare, havendo il caso di Volterra insegnato loro a poter dubitare de sinistri, e insiememente a usare le vittorie con moderazione».

© Pro Volterra, LIDO PANICHI
La guerra del 1254 contro Volterra, in “Volterra”