Ormai non è un segreto che ogni città di antiche, quanto sconosciute, origini possieda miti sulla propria fondazione e attribuisca origini imperiali alle sue istituzioni o ai ceti nobiliari più rilevanti nel Medioevo. A questa regola non sfugge Volterra, la cui fondazione viene addirittura fatta risalire da Luigi Falconcini, sulla base di citazioni della tradizione cristiana (S.Agostino, De Civitate Dei) , al biblico patriarca Noè, con tanto di specifica datazione (1850 anni prima della nascita di Cristo). E allo stesso Noè viene attribuita la costruzione della prima cerchia muraria.
Mancando, per la città di Volterra, testi cronistici medievali (per effettiva assenza o per un mancato ritrovamento), come invece possediamo per Pisa (la Cronaca di Ranieri Sardo) o per Firenze (la Cronica di G.Villani, entrambe della metà del secolo XIV), dobbiamo far risalire la formazione della storiografia cittadina volterrana ad un dotto umanista, Raffaelle Maffei, detto il Volterrano (1451-1522) che sul finire del secolo XV, fu autore dei Commentariorum Urbanorum libri XXXVIII, da cui ha sicuramente attinto tutta la tradizione storiografica posteriore, a partire dal monaco agostiniano Mario Giovannelli (Cronistoria dell’antichità e nobiltà di Volterra, 1613), per arrivare all’altro Raffaello Maffei, Provveditore del Sale e della Fortezza (1605-1673) che non solo confermava nella sua Storia Volterrana la benevolenza di Ottone I verso Volterra, ma ne ampliava i particolari, con abile artificio, a favore di alcune importanti famiglie, di cui si comprende il desiderio di essere nobilitate da così antiche origini. Solo sul finire del secolo XIX gli eruditi e storici locali hanno cominciato a dubitare di questa tradizione ottoniana e lo stesso Anton Filippo Giachi nel Saggio di ricerche sopra lo stato antico e moderno di Volterra del 1887 lamentava la mancanza di “notizie sicure”.
Tre sono i motivi leggendari fondamentali per Volterra nell’epoca ottoniana: il rifacimento della cerchia muraria da parte di Ottone I dopo l’invasione dei “pannoni” (gli Unni), l’insediamento di “Germanis…familiis” e infine Volterra “nomine Othoniam appellatam”.
Secondo Raffaello Maffei, il Volterrano, Volterra, la città etrusca più antica tra le dodici città toscane, fu abitata dai Longobardi, come è dimostrato dal cognomen di alcune famiglie nobili, le quali longobardis honoris gratia, veluti reliquiae priscae gentis appellabatur. Tra questi viene citato un tal Amerigus, che per forza propria (vi) o per concessione imperiale (imperatorum permissu) esercitava il proprio dominio nella regia, tanto che fu chiamato Etruriae comes. Costui per opporre resistenza a Berengario, primo re d’Italia, che voleva sottrargli il potere, sempre secondo il racconto del Maffei, Pannonios…in Italiam vocat. Essi ruppero il patto e devastarono l’Etruria, distruggendo la sua domus.
In quel tempo Volterra era desolata atque ab eisdem incensa. Dopo pochi anni ab Othone primo qui Pannonios expulit la città fu restituita… in eum qui nunc cernitur murorum ambitum breviorem. Si comprende come la presunta azione restauratrice di Ottone I potesse offrire edificazione e magnificenza ai volterrani del 1500, tanto da passare nella storiografia posteriore. Il Giovannelli nel 1613 parla di Volterra “ristaurata con felice augurio dall’imperatore Ottone I, ma con minor cerchio e cinta di mura più strettamente di quello che era prima”.
Raffaele Maffei, il Provveditore, nella metà del secolo XVII riprende la tradizione e la amplia arricchendola di particolari. Nella sua Storia Volterrana si parla di tre soggiorni di Ottone I a Volterra, con tanto di riferimenti cronologici (962, 964, 967), e di una “dimora per alquanti giorni” nel 962 in modo che potesse “resarcire e fortificare la città con ridurle a minor circuito di mura quella parte di essa che dalle fiamme degli Ungheri era stata meno danneggiata, facendo riedificar molte case, restaurar le chiese e far nuove strade”. Volterra così risultava “restaurata e quasi rifatta”. Questa tradizione si conservava ancora nel 1758 allorché il Cecina scriveva: ”Ottone fece restaurare l’ampio e antico cerchio di mura” e nel 1869 quando G. Leoncini scriveva: “Volterra circa il 965 fu riedificata in gran parte da Ottone il Grande, che peraltro restrinse assai il giro delle mura”. In realtà tutti i recenti studi storici rilevano la notevole penuria di documentazione che attesti la presenza ripetuta di Ottone I a Volterra, possediamo soltanto due documenti: un diploma di Ottone I al vescovo Pietro di Volterra datato 2 dicembre 966, redatto a Vada e un placito del 12 giugno 967 redatto a Monte Voltraio ubi Domnus Hotto Imperator Augustus preerat. Anche per quanto riguarda la fase medievale di costruzione delle mura Enrico Fiumi ha ampiamente dimostrato come fossero duecentesche, tanto da poter escludere un intervento a fine secolo X.
Difficile rimane il compito di individuare quali fossero le Germanis…antiquis familiis ad incolendum, cioè quelle famiglie che Ottone I, a detta di Raffaello Maffei il Volterrano, lasciò a Volterra, per abitarla e ripopolarla. Troppe sono le connessioni e le somiglianze che si ritrovano nelle cronache medievali di Firenze e Pisa per poter ritenere realtà storica anche solo il fatto di nuovi insediamenti familiari in età ottoniana. Per Pisa nella Cronaca di Pisa di Ranieri Sardo si dice che piacque all’“imperatore tedescho…lo stare in Pisa” e qui “rimasero dei suoi sette baroni”, colmati di privilegi e molti doni, da cui discesero i “sette casati” delle cronache successive (si vedano i recenti studi di M.Ronzani). Per Firenze il Villani scrive che dai baroni di Ottone I e Ottone II discesero “molti lignaggi…di gentili uomini” (Nuova Cronica,V, 1). Quindi “l’interpretazione genetica” della tradizione nobiliare pisana, fiorentina e volterrana sembra essere comune, con riferimento leggendario a Ottone I. Ciò sembrerebbe anche confermato dal fatto che Raffaello Maffei il Provveditore, circa centocinquanta anni dopo i Commentariorum del suo omonimo, il Volterrano, specifichi quali siano queste famiglie, con un’operazione di ampliamento notevole, dando voce a tutte le aspirazioni di magnificenza di quelle famiglie che sicuramente in quel periodo rappresentavano la nobiltà di Volterra o che per qualsivoglia ragione avevano la necessità di antiche origini: Buomparenti, Ardinghelli, Buonaguidi, Buonvicini, Minucci, Inghirami, addirittura i Della Gherardesca, contro i Belforti qui e germanis originis abuere e i conti Guidi descritti dal Volterrano, il cui capostipite era un personaggio del seguito imperiale, a cui Ottone (IV, forse confuso dal Maffei) diede in sposa una tal Baldraca, che aveva conosciuto in una chiesa e aveva notato essere di pronta risposta (la notizia è tratta da una tradizione risalente a Villani, Nuova Cronica, IV; II).
Quindi da parte del Maffei Provveditore si trattò di un’operazione simile a quella che messer Pietro Gambacorta nel 1500 fece per le “sette Case dalle quali discendono tutti gli altri Nobili di Pisa”, accorpando nomi, togliendone alcuni e aggiungendone altri rispetto alla precedente tradizione. Con un’unica ma rilevante differenza rispetto agli studi della tradizione volterrana, che mentre per Pisa si sono già fatti precise ricerche a favore dei ceti dirigenti in età medievale, in base ai quali è stato possibile porre una linea di confine ben precisa tra leggenda cronistica e realtà storica, per Volterra manca per adesso uno studio sistematico delle famiglie nobili medievali, tranne che per i conti Della Gherardesca, studiati ampiamente e precisamente da M. L. Ceccarelli Lemut, per cui con assoluta certezza è da ritenersi leggendaria la notizia del Maffei Provveditore del “conte Ugo, che teneva Monte Voltraio, uno dei capitani di Ottone, da cui discendono i conti Della Gherardesca”. Non ci vengono neppure in aiuto le genealogie manoscritte di Raffaello Scipione Maffei (1856-1926) della fine del secoloXIX che andrebbero confrontate con i documenti inediti nei vari archivi volterrani per capirne la genesi.
Nelle genealogie, comunque già i rimandi documentari per le famiglie volterrane medioevali fanno pensare a origini che non vanno indietro nel tempo oltre i secoli XI-XII. Per i Buomparenti Raffaello Maffei si riferisce a documenti del XIII-XIV secolo (come per i Buonaguidi “signori del castello di Miemo”), dichiarando apertamente sul manoscritto che tale genealogia non è sicura; non si parla dei Buonvicini, a cui Raffaello Maffei il Provveditore aveva attribuito come capostipite Ranieri; per gli Ardinghelli “da Ardingo, i quali non solamente propagarono in Volterra, ma si diffusero in S. Gimignano e furono talvolta signori di quella terra, e in Firenze ancora” nelle genealogie citate si trovano indicati documenti dei secoli XIII-XVII. E ancora Raffaello Maffei il Provveditore nomina i Minucci che “da Enrigetto discesero”, che nelle genealogie ottocentesche sono nominati a partire dal sec.XIV, attribuendone arbitrariamente l’origine ad un certo Emigretto. Infine gli Inghirami, “a cui Ottone diede in feudo Pomarance e Serrazzano” che nelle genealogie vengono fatti risalire a un certo Ennio Bilinghio, con annotazioni dal secolo X fino al XIX.
Anche sull’etimologia del nome Volterra la tradizione si è sbizzarrita, dall’interpretazione cinquecentesca del Falconcini come “Terra di Ul”, pronipote di Noè a “Vola Tirrenorum” che nella lingua dei Lidi, secondo il Maffei Volterrano significava “città dei Tirreni”.
Nei documenti volterrani medievali si trova Voloterrae, Volaterrae, Vulterra per lo più riferito in forma di aggettivo al comitatu o alle varie chiese. Non si ha traccia nelle fonti documentarie del toponimo “Ottonia” che, a detta del Maffei Volterrano, Volterra ebbe per seicento anni in onore dell’imperatore Ottone I: “ex eius nomine Othoniam appellatam, quam posteri corrupto vocabulo Anthoniam vocavere annis hinc prope sexcentis”. Nella storiografia cittadina cinquecentesca e seicentesca volterrana la denominazione “Ottonia” è esaltata (così anche Maffei il Provveditore e il Giovannelli), mentre dagli eruditi ottocenteschi (A. Cinci e G. Leoncini) viene ricordato in nota che tale nome di Ottonia è ancora dato a Volterra “in quelle preghiere che i nostri ecclesiastici sogliono recitare al termine delle ore canoniche, quando ricorrono le commemorazioni comuni”.
Interessante e meritevole di successivi studi è la tradizione medievale della denominazione di Volterra come “Antonia” che per la prima volta compare nella Leggenda Maior e Minor, Acta S. Iusti et Clementis, manoscritti dei sec. XII e XIII, conservati nella Biblioteca Guarnacci di Volterra, riferita però al periodo romano e non medievale, in cui secondo questa fonte Volterra si chiamava nunc Vulturensis vocitatur a quondam duce Vulturio possessa sicut Antonia quasi ab Antonio consule condita. Però anche l’autore della Leggenda Maior, pur avendone dato una spiegazione in onore del console Antonio, continuava a chiedersi l’origine di “Antonia”, su cui probabilmente già si discuteva all’epoca : “Velut quidam volunt Antonia quasi ante omnia eo quod ante omnes Tuscia dicitur est fundata” (C.233).
Alla metà del Trecento la Cronica di G.Villani riprendeva la tradizione:”La città di Volterra prima fu chiamata Antonia, e fu molto antica, fatta per li discendenti d’Italo, e secondo che si leggano i ramanzi, indi fu il buono Buovo d’Antonia”. Sempre nella seconda metà del secolo XIV si trovano molteplici attestazioni letterarie che indicano Volterra nell’antichità come Antonia e come città natale e di residenza di “Buovo”. A. Pucci nel suo Libro di varie storie del 1362 scrive: ”Volterra…fu prima chiamata Antonia, e secondo i romanzi quivi fu il valente Buovo d’Antonia”. E ancora Pucci in un’altra opera, il Centiloquio, nell’anno 1388 ribadisce il concetto. Infine il famoso Fazio degli Uberti nel Dittamondo (1345-67) ricorda: “Volterra sopra un gran monte, ch’è forte e antica quanto in Toscana alcun’altra terra. Si disse Antonia, per quel che si dica, indi fu Buovo, che per Drusiana di là dal mar durò molta fatica”.
Quindi, al di là che il vocabolo “Antonia” derivasse dal console Antonio o da una errata lettura di “ante omnia”, come l’autore della Leggenda di S. Giusto sottolinea, passò nella tradizione orale, come riportano le fonti letterarie. Che poi Raffaello Maffei il Volterrano nel Cinquecento abbia voluto interpretare “Antonia” come corruzione di “Ottonia” è sua opinione personale, che comunque ebbe un discreto successo nei secoli successivi.