I Buonuomini non avevano inizialmente una sede fissa: fino al 1571 si adunavano talvolta presso la compagnia di S. Michele, talvolta in casa dell’uno o dell’altro Buonuomo, talvolta nella canonica della Cattedrale o nel palazzo dei Priori; dal 12 ottobre 1572 li troviamo adunati “nella nuova stanza da loro conducta posta sul cimitero di rimpetto al duomo di Volterra et accanto alla Compagnia della Misericordia”1.
I Buonuomini avevano preso in affitto, per diciotto lire annue2, questa stanza dall’Opera del Duomo, impegnandosi a mantenerla in buone condizioni, sia all’interno che all’esterno, riservando all’Opera il diritto di servirsi, ad ogni occorrenza, dell’ossario, che in quella stanza si trovava, e precisando che in quella stanza, dove si tenevano le ossa e reliquie dei defunti, non si sarebbero fatte arti meccaniche, ma opere di misericordia e di compassione. I Buonuomini si dichiaravano anche disponibili, a seguito della stipula del contratto di affitto, a tornare a soddisfare in pieno il legato testamentario di Giusto Turazza a favore dell’Opera del Duomo, che era stato ridotto da ventiquattro libbre di cera bianca a sedici, dopo che un terzo dell’eredità di Giusto era stato perso nella causa contro il monastero di S. Chiara per la legittima di suor Vittoria3.
Nel febbraio 1787, dato che il Patrimonio Ecclesiastico voleva ampliare il proprio scrittoio e archivio, venne ordinato ai Buonuomini, dalla Segreteria del R. Diritto, di cedere la propria stanza al Patrimonio Ecclesiastico, il quale avrebbe assunto l’onere del pagamento dell’annuo canone di lire ventuno4. In cambio i Buonuomini ricevettero dall’Opera del Duomo, a titolo gratuito, la “vicina” stanza dove si radunava la Congregazione dei Cappellani, alla quale venne assegnato, per le proprie adunanze collegiali, l’oratorio di S. Filippo5. Il 27 marzo 1787 i Cappellani sgomberarono la stanza e consegnarono le chiavi ai Buonuomini6.
La stanza, che fino ad allora era stata la sede dei Cappellani7, posta sull’attuale via Turazza, già via S. Giovanni, divenne, così, la sede definitiva del Pio Istituto8. Con decreto del Prefetto del Dipartimento del Mediterraneo del 30 luglio 1811, approvato con decisione del Ministro dell’Interno del 12 novembre di quello stesso anno9, la Congregazione dei Buonuomini fu soppressa e riunita al Comitato di Beneficenza del comune di Volterra, che era stato istituito con decreto prefettizio del 26 ottobre 180910.
Con decreto del maire di Volterra dell’11 dicembre 1811 il Comitato di Beneficenza fu incaricato di prendere possesso di tutti gli effetti e rendite della soppressa Congregazione11.
Le eredità provenienti dalla soppressa amministrazione dei Buonuomini e incorporate nel Comitato di Beneficenza furono quelle Turazza, Rossetti, Santambarchi, Giulianetti, Inghirami, Sabatini, Del Rosso, Manghetti, Guarnacci, Pini, Punti, Naldini, Landi, Ottavi, Del Faccenda, Mattonari, Orselli, Belladonna, Del Chele, Cesari, Gabbi, Albizzini, Sanfinocchi, Maffei12. Oltre alla soppressa Congregazione dei Buonuomini, vennero incorporate al Comitato di Beneficenza: l’Amministrazione delle Doti e Legati pii13, l’Amministrazione delle Doti del Quadro di S. Pietro14 e le eredità Passetti, Serafini, Cecchi e Parissi15.
Con la fuga dei Francesi si accese un dibattito sulla beneficenza volterrana, e quindi sull’opportunità di reistituire o meno la Congregazione dei Buonuomini, con la formulazione di tre proposte diverse16.
L’ex Priore della Congregazione dei Buonuomini, Vincenzo Bianchi, chiese che si ritornasse all’antica organizzazione, nonché di essere reintegrato nella sua antica carica. Il Vescovo di Volterra ed il Commissario Regio, invece, erano favorevoli allo stato attuale, dati “i molti e gravi inconvenienti” che esistevano con la vecchia amministrazione prefrancese “odiosa al pubblico”, e lodavano “la maggiore regolarità dell’attuale sistema”17. Essi proponevano, quindi, di lasciar lavorare l’attuale Commissione, sottoponendola però alle dipendenze del Magistrato Comunitativo ed alla revisione di “un Dicastero Regio”, sostituendo il titolo di Commissione di Beneficenza con quello di Ufficio di Carità.
Il progetto di riforma, avanzato dal Segretario del Regio Diritto, proponeva, a sua volta, qualcosa di diverso. Veniva “tenuta ferma la riunione delle Amministrazioni suddette18 sotto la denominazione di Pio Istituto dei Buon Uomini di S.Michele di Volterra e legati pii riuniti”, gestito dai Soprintendenti all’Ospedale e da otto Buonuomini.
La proposta del Segretario del Regio Diritto riguardava anche le nomine dei componenti l’Istituto, stabilendo che esse fossero riservate al Sovrano “da farsi cadere tanto sulle persone nobili che ignobili ed intanto per questa prima volta nominerebbe i seguenti soggetti […], alcune delle quali compongono attualmente l’Istituto di Beneficenza”. Seguivano i nomi: Paolo Incontri, Giovanni Pagnini, Ottaviano Giorgi, Giovanni Galluzzi, Michelangelo Ruggeri, Giuseppe Migliacci, Giovanni Zecchini, Giuseppe Ciceroni. In base alla proposta del Segretario del Regio Diritto, l’Istituto doveva stare “sotto la direzione e vigilanza della Segreteria del Regio Diritto, per il cui canale verranno partecipati a S.A.I. e R. gli affari che lo concernono.
L’Istituto sarà incaricato della amministrazione delle eredità e legati pii che esistono al dì d’oggi e di quelli che potranno pervenirgli nel tratto successivo; e si farà pure uno scrupoloso dovere di erogare le rendite provenienti dalle stesse eredità e legati pii secondo la volontà dei respettivi testatori”.
L’Istituto doveva essere rappresentato da un Priore, nella persona del Soprintendente pro tempore dell’Ospedale di Volterra, e da otto Buonuomini nominati a vita dal Sovrano su proposta del Segretario del Regio Diritto.
La proposta del Segretario del Regio Diritto prevedeva anche la presenza di un camarlingo, nominato dal Sovrano al di fuori dell’Istituto, e di un computista o scrivano, eletto all’interno del medesimo.
Le deliberazioni dovevano essere approvate a squittinio segreto e a maggioranza di voti, sempre che alle adunanze intervenissero almeno i due terzi dei componenti. I Buonuomini assenti alle adunanze, senza un legittimo impedimento, dove vano essere sottoposti al pagamento di una penale, mentre una vera e propria tassa doveva essere loro imposta in caso di rifiuto di un ufficio specifico. Tassa e penale dovevano essere stabilite nel loro ammontare dall’Istituto riunito. Gli uffici di Priore e di Buonuomo dovevano essere gratuiti, mentre il camarlingo, sul quale pesava una garanzia in beni stabili di scudi settecento, doveva avere un onorario annuo di lire trecento sessanta e il computista di lire cento ottanta. Poteva essere scelto anche un inserviente a nomina dell’Istituto con uno stipendio annuo di lire ottanta.
Tra i Buonuomini, ogni anno, dovevano esere scelti un Provveditore ed un Segretario, che potevano essere riconfermati.
Fra i Buonuomini “uno di essi per turno, incominciando dal primo nominato, si occuperà della verificazione delle domande di sussidio”, tenendo l’incombenza per tre mesi.
Solo il Priore poteva convocare l’Istituto almeno una volta al mese, firmare le deliberazioni, legalizzate dal Segretario, il protocollo delle deliberazioni e i mandati di pagamento, e adire il Sovrano per il tramite della Segreteria del Regio Diritto. In caso di assenza il Priore doveva essere sostituito dal primo dei Buonuomini in ordine di nomina.
Il Provveditore doveva “far le provviste dei generi che occorreranno per la distribuzione dei sussidi stessi che saranno stati stanziati dall’Istituto”.
Il Segretario doveva ricevere le domande di sussidio da passare al Buonuomo di turno, doveva tenere il protocollo ed il carteggio e conservare l’archivio.
Il Camarlingo poteva effettuare pagamenti solo dietro mandato firmato dal Priore; ogni mese doveva presentare un rendimento di conti parziale all’Istituto riunito, da approvarsi con deliberazione. Alla fine dell’anno doveva essere compilato il rendimento di conti generale: “In questa occasione il Provveditore presenterà all’Istituto la dimostrazione dell’entrata e uscita dell’anno, corredata dagli opportuni recapiti giustificativi. L’Istituto nominerà allora tra i Buonuomini, escluso il Provveditore, due Revisori che esaminata la dimostrazione, i recapiti e riscontrata la cassa, faranno all’Istituto la loro relazione”. Successivamente “l’Istituto provvederà alla formazione del bilancio di previsione dell’annata futura, quale sarà poi dal Priore trasmesso, insieme colla dimostrazione dell’entrata e uscita dell’anno scaduto e colle convenienti osservazioni, al Segretario del Regio Diritto, alle di cui facoltà è rilasciato di approvare tanto l’una che l’altro”.
Dopo tale approvazione il segretario dell’Istituto doveva affiggere alla porta dell’Istituto stesso il prospetto delle persone soccorse nell’anno trascorso: “Verrà ripristinato in tutte le sue parti il metodo che si teneva pélla collazione delle doti prima delle innovazioni introdotte sotto il Governo Francese: in conseguenza i parrochi e gli altri Corpi o persone che precedentemente erano nel diritto di conferirle, torneranno a godere di questa facoltà, come per il passato”. Alla prima adunanza la cessata Commissione di Beneficenza doveva fare il rendiconto al nuovo Istituto e consegnargli libri, carte e tutto il patrimonio in natura e in contanti, facendosi rilasciare opportuna quietanza.
La proposta del Segretario del Regio Diritto diventò, quasi integralmente, salvo qualche variante attuata dal Granduca, il nuovo regolamento del Pio Istituto dei Buonuomini di S. Michele di Volterra e legati pii riuniti, approvato con biglietto della R. Segreteria di Stato del 30 giugno 1815, con cui fu anche soppresso il Comitato di Beneficenza e costituito il Pio Istituto19.
Nella sua versione definitiva, il regolamento del 1815 modificava la proposta del Segretario del Regio Diritto nei seguenti aspetti:
1) Il Pio Istituto doveva essere rappresentato da un priore, scelto tra i nobili volterrani, e da otto membri chiamati Buonuomini. Sia il priore che i Buonuomini dovevano essere nominati per la prima volta dal Granduca, su proposta del Segretario del Regio Diritto, ma successivamente il Granduca doveva nominare solo il priore, scegliendolo all’interno di una terna di nomi proposta dal Provveditore della Camera delle Comunità, mentre le nomine dei Buonuomini erano affidate al Magistrato Comunitativo di Volterra e sottoposte all’approvazione del Provveditore della Camera delle Comunità.
2) Il priore doveva partecipare, tramite il cancelliere comunitativo, gli affari attinenti il Pio Istituto al Provveditore della Camera delle Comunità, che ne rendeva conto, secondo i congrui casi, al R. Governo.
3) Le funzioni di camarlingo dovevano essere esercitate dal camarlingo comunitativo, che doveva tenere separati e distinti gli assegnamenti, così come i libri di cassa, dell’Istituto da quelli delle altre amministrazioni affidategli; il camarlingo aveva diritto ad un’annua gratificazione, che doveva essere stanziata dal Pio Istituto, in base alle sue incombenze e alle condizioni economiche generali dell’Istituto medesimo, e approvata dal Magistrato Comunitativo.
4) Il Pio Istituto era sottoposto al Magistrato Comunitativo.
5) Al Magistrato Comunitativo dovevano essere trasmessi sia il bilancio preventivo che il conto consuntivo del Pio Istituto. Il Magistrato Comunitativo, esaminato il rendiconto, lo rimetteva, tramite il cancelliere comunitativo, al Provveditore della Camera delle Comunità, che, per mezzo dei Ragionieri del suo ufficio, ne faceva eseguire la revisione; il risultato di questa revisione veniva, in seguito, sottoposto all’esame dell’ufficio delle Revisioni e Sindacati. Il preventivo, invece, una volta esaminato e approvato dal Magistrato Comunitativo, veniva rinviato direttamente al Pio Istituto, in modo che su di esso potesse essere regolata la spesa dell’annata.
6) La soppressa Commissione di Beneficenza doveva rendere conto immediatamente della propria gestione al Magistrato Comunitativo, che, a sua volta, sottoponeva il saldo alla revisione dei Ragionieri della Camera delle Comunità. Con il regolamento del 1815, quindi, il Segretario del Regio Diritto cessava di occuparsi della parte economica per concentrarsi soltanto sul l’ufficio di vigilanza e consulenza per l’adempimento di ordini e leggi. Il 17 gennaio 1816 fu presentato il rendimento dei conti del cessato Comitato di Beneficenza e consegnato l’avanzo di cassa, ammontante a lire 5379, soldi 13 e denari 4, al camarlingo comunitativo, in qualità di camarlingo del Pio Istituto dei Buonuomini; furono consegnati anche i documenti e la mobilia della cessata amministrazione francese20.
Con sovrano rescritto del 16 marzo 1816 il Granduca, che già aveva approvato i nominativi dei primi otto Buonuomini proposti dal Segretario del R. Diritto21, nominò, priore del Pio Istituto, il buonuomo Michelangelo Ruggeri e, al suo posto, affidò la carica di buonuomo a Pietro Maria Paoletti22. In base allo statuto approvato con sovrana risoluzione del 29 luglio 185723, il Pio Isituto era l’esecutore testamentario in perpetuo delle volontà dei suoi benefattori.
Scopi del Pio Istituto, che era stato dichiarato, in base alla legge del 20 novembre 1849, istituto comunale di pubblica beneficenza, erano la soddisfazione di obblighi e legati pii, la collazione di doti a povere e oneste fanciulle e la distribuzione di elemosine ai poveri sotto forma di alimenti e vesti. Il Pio Istituto si componeva di nove membri, compreso il priore, scelti tra cittadini volterrani onesti e caritatevoli, di qualsiasi condizione sociale. I Buonuomini erano eletti dal Consiglio Comunale, a maggioranza di voti, su terna proposta dal Pio Istituto. Se la Congregazione non proponeva la terna, il Consiglio Comunale eleggeva liberamente i Buonuomini. Nell’uno e nell’altro caso l’elezione doveva essere comunicata alla Prefettura. Chi rifiutava l’ufficio, incorreva in una multa pecuniaria di lire sette.
I Buonuomini si occupavano nelle adunanze generali, ordinarie e straordinarie, di tutti gli affari spettanti alla Congregazione deliberando definitivamente, salvo i casi di accettazione di eredità, legati e doni, disposizione di stabili e capitali e loro rinvestimento, affari contenziosi e approvazione del preventivo e consuntivo, nei quali occorreva anche l’approvazione del Consiglio Comunale. I Buonuomini eleggevano al proprio interno il priore, il provveditore e il segretario e tutti indistintamente, a turno, facevano parte di una Deputazione Permanente per l’erogazione dei sussidi.
L’elezione del priore doveva essere approvata con risoluzione sovrana. Il priore stava in carica tre anni e poteva essere rieletto; in caso di assenza o impedimento, veniva sostituito dal Buonuomo più anziano; adunava i Buonuomini, presiedeva le riunioni, ordinarie e straordinarie, sottoscriveva i verbali delle deliberazioni, i mandati, i bilanci e i conti consuntivi, vigilava sull’operato del provveditore, del segretario, del camarlingo e della Deputazione Permanente, era il rappresentante legale dell’Istituto, teneva la corrispondenza con l’aiuto del segretario, ammoniva e richiamava all’ordine i Buonuomini che non rispettavano il regolamento.
Il provveditore durava in carica un anno e poteva essere rieletto. Si occupava esclusivamente delle forniture dei generi alimentari e di vestiario, proponendo le condizioni per gli accolli, vigilando sui fornitori per l’esatto adempimento de gli obblighi da essi assunti nei relativi contratti di accollo, esaminando la qualità dei generi alimentari forniti e tenendo informato il priore della regolarità del servizio. Inoltre, coadiuvato dall’inserviente, riceveva dai fornitori i generi di vestiario e li distribuiva ai sussidiati.
Il segretario durava in carica tre anni e poteva essere riconfermato. Svolgeva numerosi lavori di scrittura: redigeva e sottoscriveva le deliberazioni, teneva e registrava la corrispondenza, scriveva e registrava i mandati, scriveva e trasmetteva gli avvisi delle adunanze, completava ogni anno il dazzaiolo dei debitori, aggiungendovi, volta per volta, le entrate straordinarie, redigeva, coi documenti fornitogli dal camarlingo e con l’aiuto del medesimo, il rendiconto e il bilancio preventivo, compilava le cartelle dei sussidi e annotava le assenze dei Buonuomini alle adunanze, affinché fossero pagate le relative multe. In questi lavori di scrittura poteva farsi aiutare, quando voleva, sotto la sua responsabilità, a sue spese e con l’approvazione del priore, da uno scrivano. Inoltre custodiva le carte riguardanti la gestione dell’anno corrente e quelle relative ad affari conclusi, che erano conservate nell’archivio e che riceveva in consegna con l’inventario. Per le sue numerose incombenze, il segretario riscuoteva un’annua gratificazione di 200 lire. In caso di assenza o impedimento, il segretario veniva sostituito da un altro Buonuomo a scelta del priore.
Il camarlingo comunitativo continuava ad esercitare l’ufficio di camarlingo della Congregazione: riscuoteva l’entrate, pagava le spese, faceva verifiche di cassa trimestrali, consegnava al segretario entro la prima metà del mese di febbraio i documenti concernenti la gestione contabile dell’anno precedente e si occupava, insieme a lui, del conteggio generale delle entrate e delle spese.
L’inserviente era scelto dai Buonuomini su proposta del priore e poteva essere riconfermato annualmente. Svolgeva vari servizi per conto del priore, provveditore, segretario, camarlingo e della Deputazione Permanente, essendo presente nella sede dell’Istituto nei giorni delle adunanze e ogni giorno all’Ave Maria della sera per portare e consegnare lettere, carte ed oggetti. Riceveva uno stipendio annuo non superiore a lire 180. All’interno della Congregazione veniva costituita la Deputazione Permanente, composta di tre Buonomini a turno, tra cui anche il priore e il segretario, e presieduta dal priore, se ne faceva parte, altrimenti dal più anziano di ufficio o, in caso di parità, dal più anziano d’età. La Deputazione si rinnovava ogni venti giorni circa, ad ogni nuova adunanza ordinaria, e si occupava dell’erogazione dei sussidi: esaminava e registrava le domande di sussidio, ricercava informazioni sui richiedenti e trasmetteva all’adunanza ordinaria le istanze, con le notizie raccolte, affinché venissero deliberate. Nei casi di mancanza assoluta di alimenti la Deputazione decideva, in merito alle domande, direttamente, a maggioranza di voti e nei limiti delle risorse messe a sua disposizione.
Lo statuto del 5 dicembre 1902, approvato con R.D. del 26 aprile 190324, ampliò gli scopi del Pio Istituto, che, all’art. 2, venivano così definiti: 1) distribuzione ai poveri di sussidi in alimenti, vesti e letti, 2) collocamento, istruzione ed educazione di bambini orfani e abbandonati, 3) mantenimento di bambini nell’Asilo Infantile, 4) cura marina a bambini scrofolosi, 5) mantenimento di inabili al lavoro nel Ricovero di Mendicità, 6) esercizio della Cucina Economica 7) collazione di sussidi dotali.
Il Pio Istituto provvedeva a questi scopi colle rendite patrimoniali accumulate fin dall’epoca della sua fondazione, colle donazioni intervivose colle disposizioni testamentarie dei suoi benefattori. Lo statuto del 1903 non apportò sostanziali modifiche alla composizione del Pio Istituto, né alle attribuzioni dei suoi membri, dei suoi impiegati e della Deputazione Permanente, che, diversamente dallo statuto del 1857, veniva rinnovata mensilmente.
Per ogni altra materia non contemplata nello statuto del 1903, il Pio Istituto doveva osservare le norme prescritte dalla legge 17 luglio 1890 n. 6872 sulle istituzioni pubbliche di beneficenza e dai relativi regolamenti, approvati con R.D. 5 febbraio 1891 n. 99. Lo statuto del 1903 ha regolamentato la vita del Pio Istituto fino alla sua soppressione decretata dal DPGR n. 589 del 7 agosto 2006, con cui il Pio Istituto è confluito nell’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona – S. Chiara.