L’11 aprile fu costituita una società fra Antonio del fu Domenico Lotti, Niccolò del fu Francesco Viti, Giovanni del fu Luigi Leoncini e Vincenzo del fu Tommaso Tangassi, «riguardante la vendita di alabastro e di altri oggetti di mercanzie diverse nel continente americano». Furono fissate queste condizioni:
1) ogni socio dovrà contribuire oggetti in alabastro lavorato o altri oggetti per lire fiorentine 4000 pari a fiorini 2000;
2) la società avrà la durata di tre anni;
3) per eseguire lo smercio dei generi messi in società i signori Niccolò Viti e Giovanni Leoncini si dovranno portare immediatamente in America ed ai medesimi saranno aggiunti i signori Giuseppe figlio del predetto signor Niccolò Viti1, Attilio figlio del predetto signor Vincenzo Tangassi e Gaetano di Francesco Mariani, i quali dovranno svolgere le mansioni loro assegnate dai suddetti signori Niccolò Viti e Giovanni Leoncini;
4) tutte le spese occorrenti per i trasporti di merci, noleggi, assicurazioni, gabelle, interpreti, viaggi di andata e di ritorno, spese e vitto nel continente americano dovranno essere ripartite tra i quattro suddetti soci;
5) allo scioglimento della società, conteggiate le spese che al sopra detto articolo, saranno prelevati da ciascun socio i capitali conferiti, e l’utile netto, qualora esista, sarà diviso in quattro parti uguali;
6) non sarà riconosciuta somma alcuna a ciascuno dei soci a titolo di mercede giornaliera;
7) alla fine e allo scioglimento della società i soci, ciascuno per la loro parte, dovranno pagare al signor Giuseppe Viti, mentre che questi continui ad essere aggregato alla società, zecchini cento fiorini cioè zecchini 25 per socio, sia che nella società sia utile o scapito;
8) al solo signor Gaetano Mariani saranno pagate per sua giornaliera mercede lire tre il giorno per tutto il tempo che il medesimo rimarrà in America, e per quel tempo che il medesimo impiegherà nel viaggio di andata in America e suo ritorno a Volterra sarà pagata lire 1 soldi 13 denari 4, e queste suddette giornaliere somme andranno a carico per una metà al sig. Antonio Lotti e per l’altra metà 2/3 a carico del sig. Tangassi e per 1/3 del sig. Giovanni Leoncini;
9) perchè possa rimanere meno aggravata la società per le spese del figlio del sig. Vincenzo Tangassi per il suo mantenimento durante i tre anni, lo stesso sig. Tangassi alla fine della società pagherà di proprio agli altri tre soci Viti, Lotti e Leoncini colonnati 200;
10) i signori Antonio Lotti e Vincenzo Tangassi, che rimarranno a Volterra alla direzione delle proprie fabbriche di alabastri, dovranno spedire in America ai loro soci Viti e Leoncini tutto quell’alabastro lavorato, che detti Viti e Leoncini richiederanno a prezzi di pura e semplice fabbricazione;
11) ai signori Lotti e Tangassi resta espressamente inibito di spedire alabastri in America ad altre persone;
12) i signori Viti e Leoncini dovranno via via spedire il ritratto delle loro vendite ai signori Lotti e Tangassi, procurando di non ritenere, finchè saranno in America, una somma maggiore di colonnati 600.
Niente sappiamo sull’andamento degli affari nei primi mesi di permanenza dei viaggiatori in terra americana. La prima lettera a nostra disposizione porta la data del 20 febbraio 1832 ed è scritta da Antonio Lotti e Vincenzo Tangassi a Niccolò Viti e Giovanni Leoncini, che si trovano a New York. Da questa lettera, con la quale si dà anche notizia della spedizione di 14 casse di alabastro, 12 del Tangassi, si apprende che i soci d’America non vogliono più in società il Mancini, «che non è buono a niente». L’armonia tra questi volterrani trapiantati negli Stati Uniti è durata evidentemente poco. Il Lotti supplica di tenere con loro il Mariani «mettendolo a fare dei panierini, calcaterre: diavolo, che non abbia a riguadagnare costà le sua giornata», temendo che, secondo il contratto, avrebbero dovuto corrispondergli, in ogni modo, la paga giornaliera per la durata di tre anni.
L’altra lettera, del 17 luglio 1832, è scritta da Niccolò Viti a Giovanni Leoncini ad Antonio Lotti. Le notizie sono poco incoraggianti. Il colera inferisce in New York e non è possibile far delle vendite: «Siamo qui senza poter combinare nessun affare per il motivo di questa malattia, che fa già gran progressi. Ieri ne morì 84 di colera morbus e in tutta la settimana ne morì 500». Si avverte che il figlio del Viti ritornerà a Volterra, «già che si è trovato un passaggio a prezzo discreto»2.
Si propone di rimandare a casa anche il Mariani, che in quel periodo si trovava fuori New York con Attilio Tangassi. Poi «noi si va lontani per vedere se si può finire questa roba, e noi non vogliamo più faticare così, giacchè non si vede profitto che corrisponda alla fatica che si dura. Se avete spedito altre casse dopo le 22 non spedite altro; se non le avete spedite le spedirete altre 12 e non più, che siamo stufi. La salute ci preme e siamo vecchi per questi luoghi». Si annuncia di avere rimesso una cambiale su Parigi per colonnati 500.
Gaetano Mariani era a Filadelfia e Niccolò Viti e Giovanni Leoncini, più che mai scontenti delle sue prestazioni, così gli scrivevano iI 7 agosto 1832 da New York:
«Cosa pretendete da noi? Che vi teniamo qui a mangiare e bere e andare a spasso? (no perdio!) Vedete che sono quattro mesi che non si fa nulla e si mangia il poco guadagno fatto, vedete la malattia che distrugge le persone e il commercio degli Stati Uniti, e voi pretendete di star qui; pensate da uomo e non da tiranno… Fate attenzione: il vostro ingaggiamento è per gli Stati Uniti d’America: questi sono invasi da una epidemia: voi non solo ve ne andrete, ma ancora vi cesserà le tre lire il giorno, noi non vogliamo morire perchè voi finiate i vostri tre anni. Leggete la scritta e voi sentirete che voi dovete fare cosa vuole Leoncini e Viti. Il sig. Luciani ha avuto ordine di darvi da mangiare per tutto il mese di agosto e poi voi potete far valere le vostre ragioni, se saremo qui… Se non volete partire non occorre che voi rispondete; se poi volete partire dateci risposta che noi vogliamo fare tutto per voi, come se voi foste un nostro figlio; con le buone sarete contento, con le cattive non sarete contento».
Ma il Mancini pensava a tutto fuorchè tornare in patria; d’altra parte le cose andavano peggiorando sia per la situazione sanitaria del paese, sia per lo stato di tensione tra i soci e il Mancini. Con l’autorizzazione del Lotti e del Tangassi fu deciso di sciogliere la società ed in New York, il 22 settembre 1832, Niccolò Viti, per sé e per Antonio Lotti e Giovanni Leoncini, per se e per Vincenzo Tangassi, stabilirono con una scrittura privata quanto segue:
«In considerazione di tante difficoltà e delle dissenzioni e questioni che potrebbero succedere fra noi con i nostri soci Vincenzo Tangassi e Antonio Lotti, noi, Niccolò Viti e Giovanni Leoncini, dietro tante e tante lettere ricevute da detti Lotti e Tangassi, pregandoci a voler sciogliere la detta società, siamo convenuti di fare il loro e il nostro desiderio cioè di separarci, concordemente e senza questioni, conforme desideriamo tutti e quattro, con le seguenti dichiarazioni: 1) che sia adempiuto da ognuno di noi l’accordo fatto con Mariani del suo appuntamento secondo la scritta, fino all’ultimo di settembre 1832, e fino a detto giorno sarà pagata ogni sua spesa a conto di noi soci secondo le obbligazioni da noi firmate; 2) Il figliuolo di Niccolò Viti sarà nelle medesime ragioni di Mariani, cioè calcolando il tempo in che è venuto e quando giunse in Volterra gli saranno pagati in proporzione del suo appuntamento con le spese. 3) Il figliuolo del Tangassi deve pagare solamente il suo passaggio quando venne in particolare e non deve dare nessuna somma come era dichiarato nella scritta nella quale si annulla il detto articolo; 4) Le spese fatte da Volterra a Livorno e le spese che furono fatte in Filadelfia fino alla nostra riunione, cioè vitto e trasporto, vanno a carico della società».
Sciolta la società, Gaetano Mariani rimase in America. Gli furono lasciate 14 casse di alabastro, una cassa di fiori di Francia ed una quantità di campane di vetro. Ricevè anche 20 pezzi in contanti3 per affrontare le prime spese. Niccolò Viti partì da New York nel dicembre 1832 e ritornò in patria.
Così il Mariani prolungava le sua permanenza negli Stati Uniti; ma, come era del resto prevedibile, la vertenza tra lui e la società non era da considerarsi chiusa. Nel 1836, infatti, il Mariani citava in giudizio il Lotti e il Viti presso il tribunale di Volterra e presentava una «Dimostrazione di dare e avere fra Gaetano Mariani commissionato viaggiatore per conto della società mercantile Lotti, Tangassi, Viti e Leoncini a forma della scritta di società del 15 aprile 1831». Egli reclamava:
Per sua provvigione giornaliera dal 16 aprile 1831, giorno della sua partenza, fino al 2 ottobre 835, giorno del suo ritorno, defalcato il tempo impiegato per mare nel quale gli pervengono lire 50 il mese, lire 4620; per spese di vitto e quartiere dal 2 ottobre 1832, epoca in cui i soci cessarono di sommistrargli vitto e alloggio fino al suo ritorno, in ragione di pezzi 4 la settimana, lire 3456; per magazzinaggi e pigioni a Filadelfia, lire 2433 s. 10; per magazzinaggi e pigioni a Richmond, Albany Pittsburg, Troy, lire 1488; per magazzinaggi e pigioni a New York, lire 484; per trasporti di casse e passaggi per lui medesimo nei diversi luoghi dove ha dovuto portarsi, lire 3920; per passaggio da New York a Livorno, lire 1050. Totale lire 17451 s. 10.
Come suo dare il Mariani esibiva un conto che possiamo riassumere come in appresso:
Ricava fra vendite pubbliche effettuate fra il 18 luglio 1833 e il 19 agosto 1835 a Richmond, Pittsburg, New York, Filadelfia, Albany e Troy e vendite private fatte in Filadelfia dal 1 novembre 1832 al 12 gennaio 1835 di 14 casse alabastri fattegli consegnare la prima volta dal sig. Niccolò Viti più 26 casse fra campane di cristallo e alabastri, pezzi 1663,14. Aggiunti i 20 pezzi avuti in contanti il 1 ottobre 1832, di dare del Mariani risultava di pezzi 1683, 14 pari a lire toscane 10.080 s. 16 d. 8.
Secondo i suoi conteggi, il credito vantato dal Mariani nei confronti della società sarebbe così stato di lire 7352 s. 13 d. 4.
Non conosciamo né l’esito della causa, nè si addivenne ad un accordo tra le parti prima del giudizio; ma è da ritenere, considerati i termini del contratto del 1831, che le pretese del Mariani avessero, sul piano regale, un certo fondamento. Ci sembra che i soci difficilmente potessero esimersi da corrispondere al Mariani, per la durata di tre anni ed escluso il tempo del viaggio, la mercede di lire tre giornaliere.