Il forestiero che sale al Poggio è sempre rimasto incantato della nostra città, dei suoi monumenti e, secondo la sua cultura, anche della sua storia.
I severi palazzi, le centenarie torri, i reperti archeologici del Museo Guarnacci, sullo sfondo delle biancane assetate, hanno colpito in ogni tempo i visitatori che spesso hanno lasciato traccia, nello loro opere, delle forti impressioni ricevute. Dal Goldoni al Targioni-Tozzetti e al D’Annunzio, da Salvator Rosa a Francesco Gioli, per citare alcuni fra i più celebri, tutti hanno sublimato il loro spirito nell’ambiente volterrano.
Accanto ai più famosi, però, vi è anche un’innumerevole schiera di minori che, or qua or là, hanno lasciato qualche omaggio spirituale alla città etrusca. Basta scorrere il registro dei visitatori della Pinacoteca per trovare queste testimonianze che, indipendentemente dal loro valore letterario, sono un pegno d’affetto e di gratitudine per il godimento spirituale della visita.
Testimonianza del particolare stato d’animo che colpisce i forestieri a Volterra si ritrova nel «Protocollo delle Deliberazioni dell’Accademia dei Sepolti dal 18 gennaio 1746 al 21 agosto 1834».
Tra le carte 8 e 9, trovo inserito un foglio a stampa del 1752 con due sonetti dedicati a Volterra da Ranieri Bernardino Fabri (come è scritto nel foglio a stampa o Fabbri come invece è indicato nel verbale della tornata del 18 gennaio 1746 in cui fu eletto con tutti voti favorevoli Accademico Sepolto, unitamente a Pietro Metastasio) cittadino pisano, Accademico Sepolto, Fiorentino Apatista, Intronato, Etrusco, Socio Colombario, Filergita, Ioneutico, P(rotonario) A(postolico), Vice Custode perpetuo della Colonia Alfea.
I sonetti, all’epoca, dovevano essere molto piaciuti in senso alla pisana Colonia Alfea se l’autore, a sue spese, li dette alle stampe e ne inviò una copia non solo a ciascun Accademico ma, come risulta dal verbale della tornata del 14 settembre 1752, anche ai cittadini.
Il Fabbri era stato a Volterra nel giugno di quello stesso anno ed era stato preso dall’atmosfera volterrana e volle tramandare ai posteri la suggestione della sua visita.
Pur nel desiderio barocco della novità per la novità e il proposito di sbalordire ad ogni costo, i due Sonetti esprimono sincera ammirazione per Volterra, le sue antichità ed il suo territorio ricco di miniere e di alabastro.
Il Nostro, forse per sfoggio di erudizione, o forse per dimostrare che le sue espressioni erano la trasfigurazione poetica di cose e fatti reali, ha sentito il bisogno di apporre le note ai sonetti, cosicchè a noi non resta che leggerli, con animo grato, anche perchè non son poi tanto astrusi se paragonati alla maggior parte delle composizioni settecentesche.
ALLA NOBILISSIMA CITTA’ DI VOLTERHA ED ALLI SUOI SIGNORI ACCADEMICI SEPOLTI CELEBRI NEL MONDO LETTERARIO PER LE SCOPERTE DI ANTICHI MONUMENTI E PER LA MOLTEPLICE LORO ERUDIZIONE IN TUTTE LE SCIENZE.
Non così pel sentier d’alto Elicona
Sparger la fronte di Sudor m’avviene,
Come or ansante giunsi (1) ove la spene
Di Cantar tra i Sepolti il Cor mi sprona (2)
Quà di VOLTERRA col gran Nome (3) suona
Per le belle Arti la Novella Atene, (4)
E all’Opre sue di meraviglia piene (5)
Da me Sepolto ancor plauso si dona.
Se con pensiero Ammiratore ascendo
Dell’Urne Etrusche all’età spente (6), imploro
Lume, ed il ver di Polifemo intendo (7)
Ma nell’udir infra l’Aonio Coro
Voi Sepolti Cantar, (8) tacito appendo
L’Umil mia Cetra al Sacro eterno Alloro. (9)
AI Sacro, eterno Allor, che di sue fronde
Ai Vati in questo Colle, (e forse un giorno
Agli Auguri)(1) donò l’Ombre gioconde,
Volano i Genj de i Sepolti intorno.
Se a questo Lauro Febo i rai diffonde(2)
l’Acque spande Cibele in tal soggiorno
Dolci, e Salse,(3) e di Fossili feconde
Miniere apre nel Suoi, di Marmi adorno.(4)
Qui, vè d’Eroi splende l’Antica Sede,(5)
L’Aer grato respiro, e si ricrea
La Salma in riposar lo stanco piede.
E partire dovrò? già l’Onda Ascrea
Mormora, e l’Arno di Cantar mi chiede
Vostre Glorie, o Sepolti, in Sen d’Alfea.(6)
L’unica osservazione riguarda la figura di Polifemo del Sonetto I. Il nostro Museo ha una sola urna con Polifemo, che appare con un occhio solo. Ouella cui allude il Fabri, molto probabilmente, è quella che si trova nel Museo di Leida, nell’Olanda meridionale, ed è registrata da Enrico Brunn ne «I rilievi delle urne etrusche», Roma, 1870 alla tavola LXXXVII, 4. In essa Polifemo appare con due occhi che, però, sono collocati regolarmente e non sulla fronte come l’autore afferma nella nota 7 del prefato sonetto.
Per chiudere queste brevi note dirò che Ranier Bernardino Fabri (anche in queste stampe compare il cognome Fabri e quindi ha errato l’estensore del verbale annotandolo Fabbri) era Primo Ministro di Cancelleria dell’Ordine dei Cavalieri di S. Stefano.
Di lui si ritrovano alcune opere nella Biblioteca Universitaria di Pisa. Una s’intitola «Cantata a due voci recitata nelle solenni feste date dall’inclito ordine di S. Stefano per l’incoronazione dell’Arciduca Giuseppe II di Roma», messa in musica dal cristiano Giuseppe Lidardi di Vienna, l’altra «Elegiae de Ludo Pisanei Pont», una terza «Un sonetto sul gioco del Ponte».