Vincenzo (Tabarrino) Ceppatelli

Quando vidi la prima volta il Palio di Volterra era terminata da poco la cosiddetta prima guerra mondiale. Mio padre mi teneva al suo fianco nelle fila della Banda Cittadina che percorreva le vie della città al brioso suono della marcia «Monterry». E con «Monterry» si entrava in campo, applauditi dal pubblico. Da quel giorno troppi anni si sono accatastati sulle mie esili spalle; ma di quel giorno serbo ancora un grazioso ricordo. E per farmelo rinfrescare sono andato a casa dell’ex fantino volterrano «Tabarrino», al secolo Vincenzo Ceppatelli.

> Sommario, Una lunga disamina sui cavalli

Vincenzo Ceppatelli nacque a Volterra il 12 giugno 1894. Fu figlio di Anna Parenti e del ben più noto fantino Francesco Ceppatelli, detto Tabarre. Sin da giovanissimo Vincenzo sentì impetuosa e irrefrenabile la passione per i cavalli. Istruito, smaliziato dal suo Tabarre che gli fu non solo padre ma anche amico, entrò presto nell’agone sportivo delle corse alla tonda; sempre pronto, sempre gioviale. Fu fantino nei primi anni del Novecento: corse la prima volta in Vallebuona nel 1912, a soli diciotto anni, appena raggiunta la maggiore età. Poi proseguì negli anni venti e negli anni trenta: fu insomma il fantino dei volterrani fino all’ultimo palio in Vallebuona.

Sin dal principio, Tabarrino dimostrò di sapersela cavare a cavallo e avrebbe certamente potuto vincere anche la prima corsa, perché così voleva e manovrava suo padre; ma sull’ultima curva a sinistra si voltò a destra e sbalzò di sella. «Da quel giorno – diceva sorridendo – guardo sempre a sinistra». Era bravo ma non si capisce perché non sia mai stato fatto correre a Siena seguendo le orme del talentuoso padre, iridato undici volte.

«Però ne ho vinte di corse: 16 a Volterra; 3 a Montecatini; una a Barberino del Mugello; 2 a San Donato; 4 a Castelfiorentino ed ho montato cavalli di ogni specie: morelli, sauri, storni, bai, puro-sangue, balzani per i quali il mio babbo mi diceva sempre: il balzano da due dallo via pure; il balzano da tre tienilo per te».

Dalle documentazioni ritrovate si legge che Vincenzo Ceppatelli effettuò 27 corse a Volterra, di cui 16 ne fu vincitore, mentre per 9 volte arrivò secondo nella classifica.

Il poeta Marziale ci ricorda Tabarre e Tabarrino in questo modo1:

Oh, beate le corse con fantino,
Tabarre, la fanfara ed il semaio,
i palloni che alzava Ferruccino,
la barca dei gelati del Chiccaio!
Laggiù, come sul trono di Minosse,
Bachino stava a dar le buone mosse.
La folla gira il collo, io pure ammiro:
primo e acclamato Tabarrino passa
con l’altro a coda, e dopo mezzo giro
arriva il velocissimo Fracassa.
La banda suona: così almen la gente
passa la sua giornata allegramente.

In effetti il suo valore di fantino fu pari alla sua modestia. Correva alla lunga, alla tonda, alla carriera, alla romana: correva a sella e a pelo e non gli mancarono gli onori. Per questo il migliore elogio va fatto nel ricordo delle acclamazioni, simpatiche ed affettuose, che gli tributavano i volterrani ad ogni vittoria, ad ogni giro di consolazione, oppure a scena aperta quando «trapassava» un avversario. Allora c’era sempre qualcuno che saltava le transenne, per arrivare a premiarlo subito con un bel bicchiere di vino generoso che Tabarrino non disdegnava mai.

«Dalla passione che ci ho sempre avuto ricordo i nomi dei cavalli e dei loro proprietari, ascolta: Chantà del Luschi, col quale ci vinsi tre giorni a fila; Vespa del Barzi, Uppia del Cancellieri; Grana del Martini; Ringredde della sora Daria di Firenze: questa cavallina si chiamava anche Stella bevante perché aveva una bella striscia bianca in fronte che inzuppava in parte quando beveva. E poi Romea, e Pasquino, e Salomè»

E chissà quanti ne avrebbe detti se non lo avessi interrotto. Poi riprendeva con nostalgia:

«Una volta, a S. Donato, un fantino mi fece camorra e frustò me e il mio cavallo, per non farmi vincere. Io decisi di rifarmi a Volterra, ma per questo mio gesto fui sospeso per sei anni. Però, dopo un anno mi riammisero perché i Volterrani si erano schierati dalla mia parte».

«Un’altra volta il Maresciallone voleva che partissi dopo tutti perché voleva far vincere un suo favorito. Io mi rifiutai e qualcuno del pubblico se ne accorse. Allora il Maresciallone s’infuriò tanto che per mantenere l’ordine dette un calcio a Mario di Pentola che andò a finire a ruzzoloni nelle tele. Ecco perché se uno cercava Pentola si sentiva rispondere: E’ nelle tele!».

Questa frase si usa ancora oggi nel Volterrano, per indicare scherzosamente una persona esclusa da una determinata manifestazione o comunque in condizioni tali da non potervi partecipare.

Tabarrino irascibile e di carattere violento veniva richiamato dall’organizzazione molte volte. Il primo richiamo serio gli viene comminato il 20 settembre 1922 e in quella occasione gli venne riconosciuto un tentativo di lesione all’ordine pubblico verso la Deputazione Comunale. Per far valere le sue ragioni, forse per un primo posto rubatogli, cercò di coinvolgere in questo sentimento anche alcuni fascisti presenti nella corsa. Per l’immagine e la professionalità di Tabarrino da preservare e per paura di rovinare la sua carriera di fantino, la Deputazione Comunale decise di non impugnare provvedimenti più seri. Chiusero un occhio, se così possiamo dire, ma lo riaprirono il 17 agosto 1925, quando, Tabarrino, non convinto della validità della partenza della corsa, ostacolò i concorrenti che lo stavano per doppiare. Si rivolse in modo offensivo verso il pubblico e verso la Deputazione, la quale, a quel punto, decise di punire definitivamente il suo comportamento scorretto. La Deputazione in una delibera apposita lo squalificò in qualità di fantino e conseguentemente espulso dal prendere parte a qualsiasi corsa tenuta nell’Anfiteatro di Vallebuona.

A trentuno anni terminò così la carriera di Tabarrino. Appesa al chiodo la casacca a bande rosse e gialle, nel 1934 si trasferì a Grosseto insieme a tutta la famiglia per lavorare alle dipendenze di Ottorino Luschi, detto Cispa, noto fantino del Palio di Siena. Tabarrino, anche da «galantomo», traballante dagli anni e dalla sete, si ostinava a estirpare i ciuffi d’erba pervicaci per non farci inciampare i cavalli e finiva per inciamparci lui.

© Volterracity, MARCO LORETELLI
NOTE
1 «sul Poggio Volterrano», pp. 60 e 140
BIBLIOGRAFIA
GIOVANNI BATISTINI, “Le corse dei cavalli in Vallebuona”, “Volterra”, Pro Volterra