Montecastelli

Le prime notizie storiche sulla località di Montecastelli risalgono al 1115 e si riferiscono ad una donazione di beni effettuata al vescovo, ma è solamente nel 1202 che il principe dell’impero e vescovo di Volterra, Ildebrando Pannocchieschi d’Elci e Guasco, consorte della sua famiglia e capostipite dei conti di Roccatederighi, incastellano il borgo, popolandolo per metà con gli uomini dell’uno e dell’altro ramo.

CASTELLO DEI VESCOVI E DEI PANNOCCHIESCHI

La Buca delle Fate, un ipogeo etrusco del VI sec. a.C., che si trova nei pressi del cimitero, ci dice però che il territorio era abitato fin da tempi antichissimi.

Costruita nei primi anni del XIII secolo, la chiesa dedicata ai SS. Iacopo e Filippo, eredita titoli e beni della chiesa decaduta di Bucignano e diviene in breve la più importante suffraganea della pieve di Sillano. Di puro stile romanico – pisano, a tre navate, con semplice e severa facciata ed un interessante portale, ora murato, posto nel fianco destro, è un autentico gioiello architettonico. Contrapposta alla Rocca Sillana, al fianco della chiesa si erge la possente torre, una splendida costruzione simile a quella Belforti di Montecatini, edificata nel 1215 dal vescovo Pagano, che domina tutta la valle del Pavone; distrutta dalle milizie del Comune di Volterra nel 1296, fu ricostruita dal vescovo Filippo Belforti nel 1243. I vescovi-conti manterranno, nei secoli XII e XIII, una fortissima influenza sul paese, dove possedevano anche un palazzo e numerosi altri beni, che furono confermati al vescovado da Alessandro III, nel 1171 e nel 1179, e da papa Urbano I nel 1186, mentre Enrico VI, nel 1194, donò loro il possesso dell’intero castello.

Il nascente Comune di Volterra, acerrimo rivale e principale antagonista del vescovo, già dal 1204 dà inizio ad una lunga serie di lotte per il dominio del territorio che si protrassero con fasi alterne per circa un secolo e mezzo, condizionando la vita e la storia di questo borgo, ritenuto da entrambe le fazioni di vitale importanza per il controllo delle miniere di rame e piombo argentifero presenti lungo il torrente Pavone. Poco distante da Montecastelli ci sono delle grotte profonde e quasi inaccessibili, molto interessanti, chiamate chissà perché, Buche Fiorentine.

Nel 1249 quando l’imperatore Federico II tolse il potere sia al vescovo sia ai Guasco, gli abitanti di Montecastelli si autogovernarono e, pur dichiarando di reggere il comune in onore degli antichi signori, elessero direttamente il podestà, senza chiedere l’autorizzazione vescovile. Ben presto, però, iniziò una fiera lotta tra vescovo e Comune di Volterra per il dominio sul castello, che si protrasse fino al suo passaggio definitivo sotto Firenze. Tre anni dopo il vescovo Ranieri degli Ubertini, aretino, accettò la supremazia del Comune di Volterra su Montecastelli e su altri borghi e castelli del contado, ma nel 1283 alcuni uomini d’arme del podestà di Volterra, violarono il palazzo vescovile e misero le mani sopra un familiare del vescovo stesso, Ranieri II.

Montecastelli e Sillano nel 1288 non sono tra i 28 castelli allirati allo stato volterrano. I soldati volterrani invasero ancora la terra vescovile e il borgo nel 1299, distruggendo il cassero, il palazzo episcopale e la torre. Nei primi anni del trecento, il Comune di Volterra legalizzò la conquista comprando la porzione del castello e dei diritti spettanti ai Conti Pannocchieschi ed ai Guaschi, finché ottenne dal vescovo Ranieri Belforti la cessione della quota vescovile della Signoria. La vertenza sembrò trovare definitiva soluzione solo nel 1352, quando il vescovo Filippo Belforti condusse a buon fine un’ennesima trattativa con il Comune di Volterra, che ottenne il diritto di nominare il Rettore, in cambio d’altri privilegi concessi al vescovo. Nel 1369 il paese si ribella mettendosi sotto la protezione di Firenze, che gli concede una serie notevole di privilegi, tra i quali l’esenzione da ogni sorta di gabella.

Le miniere gestite dai vescovi da quasi tre secoli, appaiono attive, poiché risulta che un vescovo le dette in affitto agli Incontri di Siena, con patto che ogni dieci libbre d’argento che cavassero, gliene dovessero dare una da mettersi sotto il conio. I vescovi volterrani, unici nella Toscana di allora, battevano moneta nel castello di Berignone e vantavano proprietà sulle miniere di Montieri. Passato definitivamente sotto la solida egemonia di Firenze, nel 1427, Montecastelli si dà un importante statuto che regola tutta la vita della comunità, molto somigliante a quello più antico di Sillano, il cui spirito comunista permane nel tempo, tanto da far dire nel 1745 al Targioni Tozzetti: “E’ questa una terra assai popolata che si governa quasi in forma di Repubblica tributaria”. Nel 1447 è uno dei pochi castelli che resistono all’assalto delle truppe del re Alfonso d’Aragona.

Il borgo si presenta ancora oggi, sotto il profilo architettonico ed urbanistico, come molto caratteristico, situato sopra un poggio di gabbro, lambito dalla parte di levante dal Cecina e da quella di ponente dal torrente Pavone, che scorre per una profonda gola.

Là dove si trovano i resti delle antiche miniere, il Pavone risplende della sua aspra bellezza: acque limpidissime scorrono tra grandi massi e pareti scoscese, ricoperte dalla macchia mediterranea. Quante volte ho percorso il torrente, da solo oppure insieme con amici, dalla sorgente allo sbocco nel Cecina, quando nel suo punto più suggestivo volevano costruire una diga!

Per i suoi colori e per la dolcezza delle colline circostanti, Montecastelli ricorda molto del paesaggio senese. Oltre all’imponente torre che svetta accanto alla splendida cattedrale, fanno bella mostra di sé la porta d’accesso al paese, dal lato meridionale, alcuni antichi edifici ancora ben conservati e le rughe interne del borgo caratterizzate da scalinate ed archi di tipica struttura medievale.

Un caro amico scomparso, Marco Marini, lo descriveva così: “Visto da lontano ha un aspetto di serena e rude nobiltà., adagiato sulla cima di una quasi conica collina, circondato da verdi pinete che nel versante meridionale si sfrangiano in pascoli e coltivi. Le antiche case disposte in file sovrapposte suggeriscono un senso di riposante armonia, nei colori dipinti dal tempo, che sotto il sole tiepido e lucente del mezzogiorno si tingono di riflessi dorati. Percorrendo l’ultimo tratto di strada, ripidissimo e quasi rettilineo, passiamo accanto alle piccole case ed ai banchi di roccia verdastra, vellutati d’erbe grasse e di licheni. All’orizzonte le montagne dell’Appennino lucenti di neve suggeriscono lo spazio infinito.

Entriamo in paese dall’antica Porta Bucignana. Un silenzio di pace ci pervade: la via principale, larga meno di tre metri, ci accoglie quasi con un abbraccio, mentre i nostri passi risuonano sul grigio lastricato. Dalle piccole porte delle case filtrano rumori domestici e profumi d’antica cucina. In uno slargo perfettamente piano, compaiono i negozi del paese; tutto è piccolo, contenuto, a misura d’uomo. Una breve salita ci porta in pieno sole, dove la case si fronteggiano così vicine che sembrano toccarsi. All’improvviso ci appare in alto, dorata dal sole, la facciata della chiesa: è una visione fantastica, un’immagine da sogno. Sulla destra. incombe, con la possente mole, l’antica torre castellana, che si staglia nel cielo perfettamente azrurro”.

© Bruno Niccolini, BRUNO NICCOLINI
Castello dei Vescovi e dei Pannocchieschi, in “I luoghi di Velathri, Da Velathri a Volterra”, a. 2010, pp. 132-134