Francesca Picchinesi

Passando giù per la Porta Fiorentina, si attraversa la Porta Diana, si passa dal Poggio alla Fame e poi, a Prato d’Era, si prosegue per il Pian dei Gelsi. Alla biforcazione, se si va a sinistra per Sant’Ottaviano, si arriva a Firenze via Montespertoli; se si va a destra si passa Sensano, Castelvecchio e si arriva a Firenze via Barberino Val d’Elsa. Queste strade erano chiamate “fiorentine” dai volterrani e “volterrane“ dai fiorentini, perché mettevano in comunicazione queste due città; erano comunque strade salaiole. Sul Cornocchio si attaccava un’altra strada salaiola detta “senese” che passava da Montemiccioli fino a Campiglia dove incontrava la strada romana antica.

Montemiccioli è sempre stato un castello di confine, utilizzato come dogana di gabella per tutti i traffici che passavano da queste strade, più volte perso e riconquistato da Volterra proprio per la sua posizione strategica.

I primi atti riguardano la donazione del “Monte della Torre”, così si chiamava nel 920, da parte del re Ugo di Provenza al Vescovo di Volterra Abelardo.

Erano frequentissime in quell’epoca le donazioni da parte di nobili alla Chiesa perché la paura dell’anno mille “faceva novanta”. Poi il Monte della Torre diventa nel 1230 Castello di San Vittore, nel 1368 i Cavalieri di San Jacopo di Altopascio vi fondano l’ospedale di Santa Lucia chiamati proprio dalle necessità dovute al transito di molte persone. Infine nel 1400 Montemiccioli prende il nome di Castello del Popolo.

Nella zona circostante si estraeva il vetriolo il cui componente principale è l’acido solforico che veniva anche utilizzato dai contadini in poltiglia per togliere le malattie cutanee degli animali. Tuttora ci sono delle buche che esalano flebilmente questo gas velenoso.

Nel 1431, ormai il governo fiorentino aveva assoggettato Volterra e ordinò la distruzione del castello che poteva essere conquistato facilmente dalle truppe del Duca di Milano che si stavano muovendo in Toscana. Michele di Benvenuto da San Gimignano, Capitano delle forze alleate con Firenze, conosceva bene quel posto e non aveva nessuna voglia di eseguire gli ordini. Era proprio in quei boschi profumati di bosso che aveva conosciuto Francesca Picchinesi. Francesca era la figlia dei signori della zona, possedevano castelli e terra tutt’intorno, traevano commerci dal vetriolo che fuoriusciva dalle buche fumose del bosco a due chilometri dal castello e la distruzione ordinata dai fiorentini avrebbe messo in pericolo anche la sua vita. Questo ordine era diverso dalle scaramucce, agguati, scorrerie che erano sempre esistite in quella zona tra San Gimignano e Volterra. Pensò di avvertire Francesca affinché potesse mettersi in salvo prima di obbedire agli ordini, ma lei considerò questa rivelazione come un tradimento, una scelta di stare dalla parte dell’odio piuttosto che dell’amore.

Francesca fuggì nel bosco e pur sapendo delle buche di vapore velenoso che facevano morire anche gli animali che si avvicinavano troppo, si ritrovò nel mezzo ad una di queste e ne fu inghiottita. Michele la cercò invano per tutto il giorno e quando capì quale era stata la tragica fine, disperato, andò in battaglia e fece di tutto per essere ucciso.

Una delle buche tutt’ora visibili in quella zona si chiama “Buca della Monachecca” (Monna Francesca) in ricordo di quella ragazza.

© Anna Ceccanti, ANNA CECCANTI
Rivista “Volterra”- aprile 1969/dicembre 1973, Vasco Galardi