Quell‘estate degli anni Trenta fu un’estate particolarmente umida, caratterizzata da forti rovesci che nelle ore della notte si riversavano improvvisamente sulle strade della città, bagnando i lastricati ed inzuppando i passanti.

«Piove?» fu chiesto un giorno a Gelsomino buffone del Re e lui rispose «Viene acqua dal cielo, ma non so se sia pioggia». Uguale risposta si sarebbe potuta dare per i fenomeni metereologici di quell’estate volterrana, se non fosse subito apparso che i rovesci d’acqua, non dal cielo venivano, ma dalle finestre e che non erano originati dalle nuvole, ma dai capaci secchi rovesciati a mano.

Fu quella l’estate delle «ballonate», che durarono per tutta la buona stagione con vicende alterne.

LA BALLONATA

Cosa è la ballonata? I vocabolari e dizionari della lingua italiana, compresi il “Dizionario delle parole difficili”, il “Dizionario moderno” e l’autorevole “Vocabolario degli Accademici della Crusca”, ignorano del tutto tale parola che esiste unicamente nel lessico volterrano, così come la «falange», che nel campo della zoologia minuta, esiste unicamente nella nostra zona.

Ciò premesso mi sembra che le definizioni di tale parola e suoi derivati potrebbero essere le seguenti:
Ballonata: sf – Rovesci d’acqua o d’altra sostanza idonea, che si usavano scaricare per scherzo, nelle notti estive, su persone non consenzienti.
Ballonabile: a – Persona, a sua insaputa, resa disponibile per una ballonata.
Ballonaro: sm – Colui che fa le ballonate.
Ballonato: sm – Colui che subisce le ballonate.

La ballonata classica si effettuava infatti nelle ore notturne e consisteva nel rovesciare un capace secchio d’acqua possibilmente pulita sulla persona prescelta, di cui si conoscevano le abitudini e si sapeva dove e quando sarebbe passata; in difetto di ciò la vittima ballonabile veniva accompagnata e improvvisamente lasciata sola nel posto adatto per subirsi una bella rinfrescata, che in estate non poteva recare alcun danno ma anzi portare refrigerio.

Altri tipi di ballonate che venivano solo ipotizzate, ma non furono mai messe in opera, perchè avrebbero provocato danni e nessun refrigerio: erano quelle con acqua e polvere d’alabastro con ghiaia fine, e quelle con lampadine fulminate, da cui ci si aspettavano spettacolari effetti, provocati dagli scoppi, ma si riconosceva che non sarebbe stato facile reperire un congruo numero di lampadine, mentre si temevano possibili lesioni a carico dei ballonati.

Le ballonate si potevano fare da fermo, mettendo ciascun ballonaro alla propria posta, come nella caccia al cinghiale; alla bersagliera, rincorrendo la vittima con il secchio pieno, pronti a lanciare l’acqua, non appena questa fosse stata a tiro; alla «Giro d’Italia», che consisteva nel fare un primo lancio e ripeterlo poi da altre poste sistemate in tutte le direzioni, via via che la povera vittima si allontanava velocemente da una parte all’altra, nel vano tentativo di trovare scampo.

Accadde a volte che due ballonari con i recipienti ben colmi, si avviassero pian piano alle poste, uno davanti e l’altro dietro. A quello che stava dietro veniva fatto di pensare: “ma perchè poi, devo fare tutta questa strada con questo secchio che pesa, per fermarmi ad una posta, dove magari stanotte non passerà nessuno. O non sarebbe meglio rovesciare l’acqua su quella bella schiena che mi cammina davanti e… buona notte al secchio?” Quello che camminava davanti e che forse aveva intuito qualcosa, faceva anche lui lo stesso ragionamento e si voltava all’improvviso per metterlo in atto, cosicchè nello stesso tempo due bei rovesci si incrociavano inzuppandoli entrambi.

Le ballonate da fermo venivano fatte da posti fissi che permettevano un’ottima ritirata; perchè l’abilità dei ballonari, oltre che nella precisione del tiro consisteva soprattutto nel non farsi riconoscere.

Gli iniziati, che conoscevano le poste, si guardavano bene dal passarci sotto e si tenevano a prudente distanza. Una delle poste più famose era la finestra sulle scale del primo piano del palazzo Grilli, che dava su via Sarti, a cui si poteva accedere dall’Ortaccio, il che assicurava una ritirata di tutta tranquillità.

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Le ballonate erano comunque una cosa seria e venivano programmate in tutti i particolari, con una strategia da far invidia a Von Clausewitz, salvi si intende gli imprevisti che sono sempre possibili; accadeva talvolta, ad esempio, che le vittime prescelte mancassero all’appuntamento ed allora i ballonari, stanchi di attendere finivano per rovesciare i secchi sul primo incauto che passava a tiro. Fu quello che accadde nella ballonata predisposta per il Martinucci, detto “gatto rosso” per il colore dei capelli e perchè aveva la conclamata abitudine di sparare ai gatti, da lui ritenuti bestie spregevoli e degne solo di essere sterminate. I maligni sostenevano però che effettivamente, aveva sì sparato talvolta a qualche gatto, ma solo perchè l’aveva scambiato per una lepre.

Il Martinucci risaliva ogni sera via Nuova diretto a casa, verso la Prta a Selci e fu per questa abitudine che alcuni baldi ballonari si appostarono alle finestre dell’ultimo piano della casa Sensi, con i secchi ricolmi dell’acqua del bucato, perchè a quei tempi l’acquedotto non arrivava ancora nelle singole case.

Utilizzare l’acqua saponosa del bucato era considerato come un atto di riguardo per via del suo potere detergente, che non poteva del resto non giovare alla pulizia dei vestiti, compresi quelli del Martinucci; ma il Martinucci quella notte non si fece vedere, mentre in vece sua avanzarono a un tratto per la via deserta due amici carissimi che a ogni passo si fermavano, invervorati in una discussione accesa. Che dovevanofare i poveri ballonari, ormai seccati per la lunga e infruttuosa attesa, se non rovesciare i secchi con mira precisa e inzuppare completamente i malcapitati e poi scappare dalla parte di Castello per riapparire in via Nuova, come se niente fosse? Questo fecere ed ebbero anche la sfacciataggine di chedere ai due ballonati, con sollecitudine amichevole, che cosa mai fosse loro capitato provocando una energica e sacrosanta reazione.

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Poteva anche capitare che insieme alla vittama predestinata ci andasse di mezzo anche qualche passante incolpevole ed è quello che accadde una notte sotto alcune finestre di via Sarti. Il predestinato si prese la sua bella ballonata, ma duetro di lui arrivava in quel momento il Marchese Luserna di Rorà, Console Comandante della 89° Legione Etrusca della M.V.S.N., che si prese una bella porzione dei rovesci destinati all’altro. Il fatto suscitò una reazione che avrebbe potuto provocare gravi conseguenze, se non si fosse subito chiarito che si trattava di un errore tecnico che con la politica non aveva proprio niente a che fare.

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La famosa ballonata a Gozzo Mannucci era stata così predisposta: alcuni ballonari, tiratori scelti e sperimentati, reduci da imprese coronate da pieno successo, si arrampicarono nel giardino del Museo e di òì si appostarono sopra l’arco di Porta Marcoli, ben provvisti di recipienti colmi d’acqua e di una grossa pentola di terraglia, piantata a gerani.
Era una bella e tiepida notte che invitava a quelle tranquille passeggiate all’aperto. “Si va tutti a Sant’Andrea!” dissero gli amici di Gozzo, lui assentì di buon grado e la folta brigata si avviò dal Giardinetto verso al porta Marcoli. Gozzo, che aveva fatto il servizio di leva in marin e raccontava di essere stato anche in Cina nella concessione italiana di Tien Tsin, intonò la canzone: “Siam marinari, evviva il mar!” accomagnato a squarciagola da tutti gli altri, ma quando la lieta comitiva stava per affacciarsi fuori porta, i ballonari lasciarono cadere la pentola coi gerani. Gozzo, e quelli che non erano al corrente dell’imboscata, mentre gli altri scappavano, si fermarono di botto vedendosi cadere davanti una grossa cosa nera che si frantumò per terra con rumore assordante. Dopo il tuono la pioggia, come disse anche Socrate, ma in una diversa occasione, e grossi rovesci bagnarono così i malcapitati mentre i ballonari se la filavano sulle mura della Denda.

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Un’altra ballonata, tecnicamente ineccepibile ma che avrebbe potuto finire in maniera tragica, fu quella preparata per Lello Rava.
Lello Rava abitava al piano nobile del palazzo Taddeini, già Ricciarelli e nei pomeriggi domenicali apriva i saloni per feste da ballo alla buona, algi amici ed alle amiche, giovani e belle ragazze. All’appartamento di Lello Rava si accedeva, subito sopo il portone, per un’unica rampa di scale, priva di luce elettrica.

Due ballonari, tiratori scelti, con abbondanti provvista di liquido, furono appostati sul pianerottolo in cima alla scala, con il compito di rovesciare i secchi, non appena Lello avesse attraversato il portone. Il piano prevedeva che Lello, dopo i primi rovesci sarebbe saltato nella strada per essere quindi accolto dalle numerose secchiate di altri ballonari appostati alle finestre del palazzo già Verani, messe gentilmente a disposizione dal farmacista Amidei.

Compiacenti amici accompagnarono il povero Lello fino al portone e gli raccomandarono di andare a casa e mettersi a letto, perchè ormai era tardi ed era inutile continuare a gironzolare senza uno scopo preciso. Tutta questa sollecitudine insospettì Lello, che non c’era abituato, e gli dette la sensazione che qualcosa di poco chiaro stesse per accadere, comunque si decise ad attraversare il portone, si grattò la testa, com’era sua abitudine e cominciò a salire le scale emettendo un mugolio che suonava esitazione e perplessità; in quel momento due potenti rovesci d’acqua partirono dal pianerottolo centrandolo in pieno. Lello fece un salto indietro, scivolò sul bagnato e cadde di botto battendo la testa sullo scalino del portone.

I ballonari appostati nel palazzo di fronte sentirono il rumore della caduta e come la testa del povero Lello apparve riversa fra il portone e le strada si spaventarono e se la diedero a gambe in gran fretta, abbandonando al loro destino Lello e i due rimasti intrappolati sul pianerottolo con i secchi vuoti.

Fu gran fortuna che Lello non si fosse fatto male e la faccenda potè poi chiudersi felicemente.

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Una ballonata che resterà celebre anche questa tecnicamente ineccepibile e per di più artisticamente valida, degna di uno spettacolo “son et lumière” fu quella riuscita alla perfezione, preparata per Alessandro Nino Benini, che ebbe per scena la Piazza dei Priori nella sua illuminazione notturna.

A quei tempi, nel secondo piano del palazzo Pretorio, aveva sede il “Circolo Volterrano”, costituito con la partecipazione finanziaria del “Casino dei Nobili” e che aveva lo scopo di dotare Volterra di un luogo di riunione accogliente e distinto, per gli ospiti della città.

Nino Benini a una certa ora uscì dal Circolo e scese le scale dell’arcone d’ingresso alla piazza, mentre gli amici che l’accompagnavano si tenevano prudentemente indietro; come si trovò sulla piazza, due rovesci che parevano nastri d’argento, partirono, con particolare tempismo e perizia, dalle finestre del Circolo e lo investirono in pieno, fra le acclamazioni della piccola folla riunita sullo scalone del Palazzo dei Priori. La voce “Stasera fanno la ballonata a Nino Benini” era corsa in un lampo e nessuno aveva voluto perdersi lo spettacolo.

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“Sor Ennio stia attento, perchè una di queste sere fanno la ballonata anche a Lei”.
“Se ci provano, chiappo il primo che mi capita e gli faccio un collino così”.
“Ma se chiappa il primo che capita come fa a sapere se lui c’entrava davvero?”
“Sai cosa gli dico” concluse Sor Ennio “Peggio per te. Se un c’eri ci avevi a essere”.

© Pro Volterra, FRANCESCO BIANCHI
Una estate umida, in “Volterra”