Conoscere Volterra non vuol dire limitarci solo a quella parte della città tutt’ora esistente, ma estendere in nostra conoscenza anche ai monumenti del passato – dei quali oggi non ne abbiamo alcuna traccia o che sono stati dimenticati – che, fonti certe, ci consentono di individuare dove erano o dove sono collocate, estendere la nostra conoscenza anche ai cenni storici ad essi riferibili.
Tanti cambiamenti ha subito, nel tempo, la conformazione urbanistica di Volterra, per cui molti monumenti, anche di una consistenza storica, sono scomparsi. Pertanto è mia intenzione parlare delle porte di Volterra che oggi non esistono più o che sono inattive perché murate e quindi poco conosciute.
Sorgeva nei pressi della omonima fonte e si apriva nelle mura etrusche. Fu detta anche porta di Docciarello, dal nome del vicino podere. Però numerosi documenti non si accordano sul nome di questa porta, perché la chiamano alternativamente anche «Mandringa». «Gualdringa» e «Grimaldringa». E’ certo però che furono eseguiti importanti lavori a questa porta da due volterrani: maestro Piero nel 1292 e maestro Pagenello nel 1440.
Nel borgo di San Giusto, sulla strada di accesso alla veduta delle Balze, sorgeva la chiesa di San Marco. Quel poco che è rimasto di questa chiesa, oggi è stato adattato ad abitazione privata. Era una chiesa antichissima e ricca di opere d’arte e sembra che vi fosse abbinato anche il Monastero delle Benedettine.
In detta zona si apriva una porta denominata prima «della Guerruccia» e poi di «San Marco». Nel 1355, i pittori Tommasino da Perugia e Duccio da Monteverdi eseguirono varie pitture sacre anche alla porta di San Marco. Tutto però è scomparso, perché molto probabilmente è stata inghiottita dalla voragine delle Balze. Oggi esistono solo i massi etruschi, unici resti del!s ciclopiche mura.
AI di sotto del piano della Penera, dietro la Badia, nel villaggio omonimo, si apriva la porta di Montebradoni. Poco sappiamo di essa e sembra che fosse rivolta verso la parte di San Cipriano. Alcuni insegnano anche il posto in cui si apriva, ma non esiste alcun documento che possa consentire di individuarne il punto esatto.
A questa porta furono eseguiti lavori dal maestro Antonio di Como nel 1442 .
Nel piano della Penera, dove si accede dalla strada delle fonti di Santo Stefano e, più comodamente, da via Rossetti, (dove possono essere ammirati i resti di mura etrusche che conservano ancora una grandiosa bocca di cloaca), sorgeva una cappella dedicata a «La Madonna della Penera». Nelle mura etrusche della zona, si apriva l’omonima porta che, nel 1315 e definitivamente nel 1363, fu murata e, per il passaggio delle persone, fu provveduto con una porticciola. I resti sono stati riportati alla luce in occasione di alcuni scavi.
Durante il XIV secolo non pochi lavori furono eseguiti alla porta della Penera e le più importanti opere, estese anche alle mura ad essa vicine, furono compiute dal maestro Jacopo da Como.
La villetta ed il podere «Penera» nel XV secolo, furono di proprietà degli Zacchi, dove monsignor Zacchi, studioso della civiltà dell’antica Grecia, vissuto alla corte pontificia e morto a Roma nel 1474, vi si trasferiva quasi ogni anno per dedicarsi, nel silenzio e nella calma del luogo, ai suoi studi.
Per ultima ho lasciato la Porta Balducci o Balduccia, detta anche Porta del Vescovo. Questa antica porta, che è inserita nelle mura medievali di Castello, della quale abbiamo notizia fino da antichissimi tempi, si apriva a mezzogiorno nella zona assai prossima alla Fortezza.
Sembra che fosse chiamata Balducci o Balduccia per la vicinanza all’abitazione dell’omonima famiglia, della quale troviamo varie tracce di membri di essa, dal 1310 al 1428, per particolari incarichi a loro affidati nella vita pubblica della città. Non era una porta di transito dei cittadini, ma ad uso esclusivo del Vescovo e proprio per questo ebbe anche tale denominazione. Dava l’accesso al piano di Castello dalla parte del Viale dei Ponti, dove sorgeva il Palazzo e il Tribunale del Vescovo, che furono abbattuti per far posto alla Fortezza Medicea e, quindi, da allora, la porta servì ai capitani fiorentini, custodi della Fortezza stessa.
Il 29 aprile 1924 padre Luigi Consortini, come lo stesso scrive sulla Rassegna Volterrana, fece una visita al suddetto tratto di mura ed ebbe «il piacere di riscontrare intatta la dimenticata porta, sebbene accuratamente murata».
La parte interna è interrata per oltre due metri e quella esterna è completamente scoperta. Ha un bell’arco a mattoni, che richiederebbe una riparazione, ed ai suoi lati due grandi feritoie anch’esse murate. Fu murata nel 1472 o poco dopo e mai è stata riaperta.
Nella storia è ricordata nel 1446 per il tentativo di tradimento del capitano fiorentino. Antonio del Grosso. Costui, infatti, d’accordo con gli esuli Belforti, per porre Volterra nelle mani del re Alfonso d’Aragona, doveva consentire l’ingresso di 500 armati dalla Porta del Vescovo. Ma tale tentativo fu scoperto per tempo e il capitano fiorentino fu processato e decapitato e sostituito da Neri di Gino Capponi.