Castelvecchio

Sull’isolata rupe, delimitata da due torrenti, dove si trova Castelvecchio, leggenda vuole vi fosse un tempietto etrusco intorno al quale si formò una piccola comunità.

Per Luciano Giomi, dal quale ho tratto le parti più significative di questo scritto, come per molti studiosi, la storia di Castelvecchio inizia a cavallo tra il VI e il VII secolo con i primi insediamenti umani costituiti da capanne di legno sostenute da pali infissi nella roccia, che furono più tardi sostituite da costruzioni in pietra.

IL FASCINO DI CASTELVECCHIO

I documenti più antichi che testimoniano la presenza di un borgo risalgono invece al 1144, quando papa Lucio II emanò una bolla per confermarne il possesso al vescovo eli Volterra. Nel 1171 un altro papa, Alessandro III citava Castelvecchio in un atto nel quale erano stabiliti i confini della diocesi e nel 1186 l’imperatore Enrico VI lo rammentava in un diploma a beneficio d’Ildebrando Pannocchieschi.

Tra l’undicesimo ed il tredicesimo secolo, prima della costruzione di Castel San Gimignano che ne ridusse l’importanza strategica, l’insediamento era il punto di difesa più avanzato verso Volterra.

Il castello è nominato nel 1199 in una clausola dei patti tra gli uomini di San Gimignano e di Colle. Certamente il comune sangimignanese cercava già, in contrasto con i vescovi, d’imporre la propria autorità su quella comunità, come si vede ancor meglio dalla lettura di un testo del gennaio 1205.

Il passaggio formale di proprietà a favore di San Gimignano avvenne nel 1210, quando il vescovo Ildebrando dei Pannocchoschi stipulò un atto di compravendita con Palmiero d’Angioliero, podestà protempore di San Gimignano.

Da quella data il castello, a capo del quale fu messo un comandante militare o podestà nominato ogni sei mesi dal Comune di San Gimignano, in sostituzione del vicedomino o castaldo di marca vescovile, diventò il principale avamposto di frontiera, dal quale partiranno le scorribande in territorio volterrano.

La storia che segue è contrassegnata da continue guerre tra le due città rivali, protrattesi fino al 1308.

Nel 1250 un gruppo di rivoltosi, provenendo da Camporbiano tentano di occupare Castelvecchio. Per superare la cinta muraria ricorrono ad un traditore che indica loro un passaggio segreto, ma una volta dentro il castello sono sconfitti e catturati. Quasi la stessa cosa succede pochi anni dopo, nel 1268, quando una banda di ghibellini, ostentando insegne guelfe, ottiene benevola ospitalità per tentare poi il colpo di mano, che fallirà miseramente per la decisa reazione degli abitanti e del sopraggiunto esercito sangimignanese.

Una scoperta, che susciterà facili entusiasmi, presto seguiti da cocenti delusioni, avviene nel 1273: nei dintorni di Castelvecchio c’è l’argento! In poco tempo si formano una ventina di società minerarie, alle quali partecipano anche molti abitanti del luogo, tra i quali si rammentano Piovanuzzo di Bonaiunta, Iunta d’Arrigo, Tempo di Gherardo, Lupo di Ceffone. Sempre il Giomi racconta che dopo la febbre dell’argento, si manifesta quella dell’arte. Fu chiamato un pittore senese che dipinse un pregevole quadro di un Cristo creatore con attorno uno stuolo d’angeli. A San Gimignano, nota lo studioso, dovranno attendere anni prima di avere un’opera di buon livello artistico.

Castelvecchio era già in rovina nel 1458, quando vi erano rimaste soltanto 7 povere famiglie. [Cioni]

Nel tragico 1485 San Gimignano, ridotta a malpartito in seguito ad un’epidemia di peste, chiede a Firenze la cancellazione di un debito d’ottocento fiorini d’oro, che non le viene accordato. Castelvecchio, messa ancora peggio, avanza analoghe richieste d’agevolazioni a San Gimignano, ma il Consiglio Comunale stabilisce che l’antico caposaldo è focolaio di peste: è la fine. Nessuno può entrare o uscire dal borgo, che l’anno dopo appare completamente deserto.

Una Pompei medievale. Più che un insediamento un tempo abitato, da l’impressione un po’ fiabesca e inquietante di un castello abbandonato ed invaso dalla vegetazione. Non meraviglia che il luogo sia oggetto di molte leggende, frutto di fantasie romantiche. Le mura purtroppo cadenti e la chiesa romanica scoperchiata; sono comunque un bello spettacolo. Se vi va di sognare sotto la luna accomodatevi. [E Cardini]

Per me è stata una scoperta relativamente recente e sconvolgente: insieme all’amico Renzo ne rimanemmo affascinati. Arrivammo a Castelvecchio attraverso un sentiero nel bosco, una vecchia strada medievale. Intorno il più assoluto silenzio, rotto soltanto dal brusio degli uccelli e dal richiamo di qualche animale selvatico.

Sullo sfondo le dolci colline ammantate dalle macchie scure dei boschi, interrotte qua e là dai campi coltivati, i lunghi filari dei cipressi che portano ai poderi abbandonati.

Avevo letto e sentito parlare di una torre parzialmente diruta e poco altro e mi si è aperto davanti agli occhi lo spettacolo nobile e affascinante delle imponenti rovine di un antico castello all’ingresso del quale, dopo il ponte levatoio, vi sono i ruderi di una vasta costruzione che racchiude un’alta e grossa torre quadrata in via di disfacimento.

L’importante insediamento medievale distrutto occupa la vetta di una collina coperta di fitto bosco alla confluenza di due profondi burroni e questa sua invidiabile posizione naturale alimentò in passato la convinzione che il castello fosse invulnerabile e imprendibile, non essendo mai stato conquistato in seguito ad un assedio.

Una sentinella avanzata, un antico b0rg0 medievale i cui ruderi sono ancora in grado di testimoniare il passato glorioso che le calamità naturali e la negligenza degli uomini non sono riuscite a cancellare. [Giomi]

Sono ancora in piedi lunghi tratti delle antiche mura, talvolta alte parecchi metri, che misuravano circa 700 m. e i muri maestri della chiesa romanica dei SS. Giovanni e Frediano, con abside rotonda e semplice facciata con portale ad arco. Dalla visita pastorale effettuata dal vescovo Pandolfini nel 1717, si ha notizia che nella chiesa, di difficilissimo accesso perché circondata da boscaglia, molto vetusta e povera, più non si celebra.

Disseminate in una vasta area le macine dei mulini, una grande cisterna e consistenti tracce di numerose altre costruzioni. Un’altra torre in pietra, semidiroccata, che mostra alla sommità tre mensole sagomate in pietra è all’estremità opposta del complesso.

Il luogo, fino a poco tempo fa completamente sommerso dalla vegetazione, è stato solo recentemente ripulito e per quanto possibile salvato dall’azione demolitrice del tempo, dai volontari che costituiscono il Gruppo Storico di Castelvecchio.

Come tante, troppe testimonianze preziose della nostra storia, avrebbero bisogno di un restauro conservativo idoneo a frenare l’azione demolitrice del tempo.

© Bruno Niccolini, BRUNO NICCOLINI
Il fascino di Castelvecchio, in “I luoghi di Velathri, Il fiore delle Castella”, a. 2010, pp. 12,13
Foto di Stefano Fulceri, [www.carrozzadergambini.it]
Foto di Ass. Gruppo Storico Castelvecchio, [www.castelvecchioinvaldelsa.org]
Foto di Simone Benelli, [www.wikipedia.it]