Che cosa perdettero i volterrani nel sacco del 1472

E’ impossibile a distanza di secoli e senza essere in possesso di precise notizie dirette da parte dei contemporanei, dire ciò che fu portato via da Volterra dalle truppe del Montefeltro scatenate a saccheggiare la città.

Di certo sappiamo che ad Urbino si trova nella cattedrale un leggio che apparteneva al nostro Duomo: si ha notizia di una preziosa bibbia vaticana che asportata anche essa da Volterra: non si sa se dal Duomo o se da una sinagoga ebraica, dato che a Volterra, già da diverso tempo, vivevano alcune famiglie di ricchi mercanti ebrei. Averi e beni furono asportati da tutte le famiglie più nobili e notabili della città. Fu salvato, forse, quello che era stato nascosto in ripostigli sicuri e che non fu rivelato sotto le minacce. Si è discusso molto sulla partecipazione diretta del Montefeltro al saccheggio. Probabilmente egli si limitò a pagare bene quei soldati che, conoscendo le sue doti di raffinato intenditore di libri e di arte, gli offrivano il risultato del loro bottino di guerra. Quasi certamente molti altri bei volumi delle biblioteche volterrane passarono dalle mani di soldati ignoranti in quelle di Federico duca d’Urbino.

Si ricordi che a Volterra erano allora presenti molti ordini religiosi con i loro ricchi conventi: i camaldolesi della Badia, gli Agostiniani presso la chiesa di S. Agostino, gli Olivetani di S. Andrea, i frati conventuali di di S. Girolamo, i francescani presso la chiesa di S. Francesco: c’era poi una ricca messe di libri presso le principali famiglie: polche si trattava di codici scritti a mano o di preziosi incunaboli il danno inferto ai singoli ed alla comunità, anche in questo settore culturale, non fu certo poco.

A questi danni diretti si devono aggiungere quelli inferti dalle durissime misure prese da Lorenzo de’ Medici contro la nostra città, e fonti contemporanee parlano di 76 cittadini banditi dalla città, molti sono gli appartenenti alle principali famiglie cittadine: poco dopo le famiglie si allontanarono anch’esse dalla città portando via i loro beni. Volterra fu ridotta dalle restrizioni e dalle rovine in condizioni miserevoli. Inizia da quella data l’esodo di molti cittadini che, anche se non direttamente colpiti, cercano ragioni di vita e di sistemazione in altre zone della Toscana. La repressione e la dominazione fiorentina sono simboleggiate dalla costruzione, rapidamente effettuata, del Mastio. Tutte le abitazioni che si trovavano nella zona del piano di castello furono abbattute per far posto alla imponente fortezza. Nonostante le proteste del Vescovo e del clero fu abbattuto anche il Palazzo dei Vescovi che si trovava nella zona.

Ma non ci furono solo rappresaglie, misure severissime di polizia. Volterra fu privata di ogni ricchezza e privilegio. Tutta la zona del Volterrano fu inclusa nello stato di Firenze. Le miniere di ogni genere divennero proprietà di Firenze. Qualche modesto vantaggio ebbero invece i volterrani che avevano apertamente parteggiato per i Fiorentini.

La situazione dovette apparire tragica anche ai vincitori se, poco tempo dopo, attenuarono le rigide disposizioni. Ma ciò avvenne perché i Fiorentini si accorsero che a loro conveniva di più far gestire al Comune di Volterra le miniere confiscate e riscuotere le tasse indirettamente.

Ma la perdita più grave per i volterrani fu, indubbiamente quella della libertà. Volterra, già forse dal 1361, data della caduta dei Belforti, gravitava nell’orbita di Firenze: ma come dimostrano la sollevazione del Catasto del 1429 ed i ripetuti tentativi di allentare il protettorato sempre più pesante dei fiorentini, almeno formalmente c’era un certo margine di libertà. Dopo il sacco del 1472 ciò non è più possibile. Firenze fa sentire in maniera dura e pesante il suo controllo. Volterra fu privata di ogni forma autonoma di vita politica ed economica. Furono misure spietate prese coscientemente da Lorenzo de’ Medici per tenere in maniera definitiva la città in uno stato di sudditanza totale.

E ciò avvenne contro lo spirito dei patti solennemente giurati nella chiesa di S. Lazzero il 16 Giugno 1472, poco prima dell’inizio del Sacco. La città si arrendeva «salve le persone e gli averi»., ma i patti furono, invece, apertamente traditi. Volterra si trovò al centro di una situazione politica ed economica in cui il Magnifico Lorenzo de’ Medici tirava a confondere i suoi interessi privati di grosso capitalista con quelli dello stato di cui egli era a capo.

Molto hanno discusso gli storici sulle responsabilità di Lorenzo nella faccenda del sacco. Non ci sembra che sia il caso di tentare di giustificarlo. Lorenzo fu uno spregiudicato uomo politico, assolutamente idealizzato e magnificato nei secoli posteriori. Nessuno gli vuole togliere quei meriti che egli ha. Ma la Sua figura, dopo gli ultimi recenti studi di questi anni, ci appare molto ridimensionata sia dal punto di vista politico che da quello economico. Non fu un buon amministratore né dei beni personali e familiari né di quelli dello stato fiorentino.

La famosa funzione di «ago della bilancia» e di creatore della politica di equilibrio in Italia nella seconda metà del ‘400 non fu opera sua ma, piuttosto, imposta da una comune ragione di prudenza adottata dai principali stati italiani dinanzi alla minaccia sempre più precisa delle grandi monarchie nazionali occidentali.

Contro Volterra egli volle, forse, procedere con durezza oltre che per ragioni personali economiche (l’allumiera poteva minacciare il monopolio dell’allume che egli deteneva in Italia) anche per ragioni di prestigio. Volterra era, giustamente, ritenuta una città inespugnabile, una fortezza superba. La scelta di un capitano famoso come il Montefeltro per condurre a termine l’azione, giustifica questa ipotesi. I cortigiani, gli umanisti suoi amici definirono questa guerra la «Iliade di un mese».

Sia come sia la conseguenza fu questa: Volterra iniziò da quell’episodio la sua inarrestabile decadenza.

© Pro Volterra, SILVANO BERTINI
Che cosa perdettero i volterrani nel sacco del 1472, in “Volterra”