L’11 maggio 1545 il duca Cosimo de’ Medici giunse a Volterra, pressato dall’impegno di verificare le condizioni della fortezza, trascurata da diverso tempo. Da accorto principe qual era, alloggiò deliberatamente a Palazzo dei Priori «per tòrre via le emulazioni di questi cittadini maggiori», cioè per sottolineare il proprio personale potere e far vedere ai nobili locali che non faceva preferenze riguardo all’abitazione e ai loro servigi.
Pensando di trattenersi a lungo, ordinò di far venire il Bronzino in città per dipingere i ritratti dei figli Maria, Francesco (futuro granduca), Isabella e Giovanni, ai quali teneva molto, ma poi rinunciò al proposito in quanto la visita durò poco più di una settimana e presto sarebbe ritornato alla villa di Poggio a Caiano. Così Agnolo Allori († 1572) ebbe il comodo di dipingere le sue immortali tele più vicino alla sua bottega di Firenze.
Gli accertamenti fatti alla fortezza ebbero un seguito e nel settembre Cosimo, che si trovava proprio al Poggio, fece chiamare con urgenza Giovanni Battista Belluzzi detto il Sanmarino († 1554) «perché a Volterra è bisogno di uno architettore, né possono cominciare a far la camiscia a quelli bastioni se non vi è chi dia il disegno, et hora è apunto il tempo di murare».
Desiderava anche «instruirlo della voluntà sua» e per questo l’architetto doveva portare con sé la pianta della città, per decidere quanto era necessario «che si exeguisca in detta fortificazione».
Il 16 maggio 1545 il duca si recò da Volterra a Montecatini «di nuovo a rivedere» la miniera di rame assieme a dei maestri cavatori venuti apposta da Pietrasanta. La gita si rivelò utile perché nella cava, si scrive, «si son trovate circa libbre seicento o ottocento di rame colato», che forse s’intendeva utilizzare per la Zecca e le monete da un soldo o per fare il bronzo necessario ai bombardieri. Pare infatti che le palle di cannone fuse in tale lega non grippassero all’interno delle canne come invece accadeva a quelle di ferro.
La visita alla miniera fu segnata anche dalla triste scoperta delle «ossa d’un morto che dovette rimanere sotto a qualche ruina». Il nome e la vicenda di questo poveretto erano e restano sconosciuti.
Le frasi riportate tra virgolette sulla visita del duca a Volterra e a Montecatini appartengono ad alcune lettere di varie persone inviate al maggiordomo di corte, il sacerdote Pier Francesco Riccio da Prato († 1564), già precettore e segretario «segretissimo» di Cosimo, amico di artisti e di scrittori e, pericolosamente, di eretici valdesi. Fu in buona relazione anche con il padre teologo montecatinese Andrea Ghetti († 1578), il quale da parte sua predicò in molte città italiane, intervenne al Concilio di Trento e, per i suoi scritti, incorse egli pure nel sospetto di eresia. Negli ultimi anni di vita il Ghetti si ritirò nel suo convento di Sant’Agostino a Volterra e donò alla chiesa un bellissimo tabernacolo di alabastro che oggi purtroppo non è più in essere.