Il Patrono Sant’Ottaviano e l’«Eroe cinese»

Il 21 settembre 1761 ebbero luogo a Volterra le solenni celebrazioni in onore del compatrono sant’Ottaviano, profugo dall’Africa cristiana (VI secolo) ed eremita in un bosco di là dal fiume Era, dove visse in digiuno e preghiera nel tronco cavo di un olmo. Dopo la morte il suo corpo fu sotterrato ai piedi dell’albero e accanto edificata una chiesetta. Nell’822 i resti vennero portati nella cattedrale; e al santo fu intitolata la canonica, sede del capitolo e del collegio dei chierici del duomo.

La popolarità del culto a Ottaviano si mantenne in città nei secoli e il 21 settembre 1761 se ne volle solennizzare la festa dopo 12 anni di pausa, come ricorda il «Diario storico di Volterra dall’anno 1724 al 1769», scritto N. Del Bava e oggi alla Biblioteca Nazionale di Firenze. Questa volta, per rimediare alla trascuratezza degli anni passati, si fecero le cose in grande. Da fuori Volterra si chiamarono i paratori che in breve tempo ornarono il duomo di «setini» (stoffe di satin), con un bel disegno perfino sulla soffitta, e installarono le «ventole» e le lumiere con la cera grossa, per dar luce all’ambiente. Spostato dalla sua cappella, il corpo del santo trovò degna esposizione sull’altare maggiore, abbellito anch’esso da parature di ottimo disegno.

Ma non era sufficiente. Gli organizzatori fecero «venire dalle vicine città e anco di fuori di Toscana bravi musici e sonatori d’ogni genere d’instrumenti». Così, la prima sera dopo le funzioni, si cantò in chiesa l’oratorio intitolato «Morte di Sant’Ottaviano», su testo di Mattia Damiani, poeta volterrano e segretario dell’Accademia dei Sepolti, e musica di Francesco Zannetti, maestro di cappella della cattedrale e accademico Filarmonico. La sera successiva si aprì il teatro pubblico dove ebbe luogo il dramma in musica l’«Eroe Cinese» di Pietro Metastasio, amico fraterno del Damiani. Era stato rappresentato per la prima volta il 13 maggio 1752 nel castello di Schoenbrunn a Vienna in occasione del compleanno dell’imperatrice Maria Teresa. Vi si narra il felice epilogo delle vicende del nobile Leango (Tchao-Kong) che, durante una ribellione, aveva sacrificato il proprio figlio per proteggere il piccolo erede al trono Svenvango (Suen-Vang) minacciato di morte.

Siamo nella Cina del IX secolo a.C. Il dramma prevedeva cinque cantanti, tre maschili e due femminili, e una scenografia da allestire seguendo i canoni di un Lontano Oriente ideale, con le comparse a figurare bonzi, paggi, soldati e mandarini. A Volterra – ricorda il del Bava – l’orchestra fu «strepitosa» e «ottimi» si dimostrarono i ballerini, tanto da replicare la rappresentazione per sei sere «con piacere e concorso del popolo e dei forestieri»

© Paola Ircani Menichini, PAOLA IRCANI MENICHINI
Il Patrono Sant’Ottaviano e l’«Eroe cinese», in “La Spalletta”, 27 aprile 2013

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