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La mappa di classificazione sismica della Toscana aggiornata al 2014 prevede la divisione della regione in 3 zone a differente rischio sismico, nelle quali sono attesi terremoti di intensità decrescente, a partire dalla zona 2, corrispondente all’area appenninica, più il distretto del Monte Amiata, in cui la massima intensità prevedibile è pari al grado 7 della scala Richter. Nella zona 3 è compresa la Toscana collinare di cui fa parte anche Volterra, la valle dell’Arno, la piana di Lucca, il bacino pistoiese, la Val di Chiana, buona parte della Versilia e della fascia costiera livornese fino a Castagneto Carducci. La zona 4, a basso rischio sismico, coincide in pratica con la Maremma a sud di San Vincenzo fino al confine di regione, l’Isola d’Elba e le altre isole minori dell’arcipelago, ad eccezione della Gorgona che è in zona 3.
La classificazione della pericolosità sismica delle varie regioni d’Italia si basa essenzialmente su criteri di tipo statistico elaborati dai ricercatori (Geologi e Geofisici) dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Il principio è che i terremoti avverranno in futuro in zone dove già sono avvenuti in passato e che dunque dallo studio della storia sismica di una regione si può prevedere – in linea di massima – il ripetersi di un evento catastrofico.
Questo tipo di approccio ha dimostrato di essere valido in molti casi, ultimo dei quali proprio il terremoto con epicentro ad Accumoli (Rieti) dello scorso 24 agosto, terremoto che può considerarsi la replica di un evento simile avvenuto il 7 ottobre 1639 con epicentro ad Amatrice. Geologi e geofisici sono unanimemente concordi per quanto riguarda l’elevata sismicità di Lunigiana, Garfagnana, Mugello, Monte Amiata e in generale delle zone corrispondenti all’Appennino settentrionale.
Differenti le previsioni del rischio sismico attribuito alla Toscana collinare. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Siena diretti dal Prof. Enzo Mantovani ha elaborato una teoria per la definizione del rischio sismico di una regione differente da quella dell’INGV, la teoria si basa soprattutto sullo studio di parametri fisici reali e osservabili in superficie, ossia dei processi tettonici e deformativi in atto e della loro connessione con la distribuzione dei terremoti nello spazio e nel tempo.
Secondo questa teoria il metodo statistico, per cui un evento catastrofico si ripete in una zona con maggiore probabilità se quella zona è stata oggetto di ripetuti eventi simili nel corso nella storia, non sarebbe applicabile a terremoti ed eruzioni vulcaniche mentre resta valido, ad esempio, per eventi alluvionali. La teoria del Prof. Mantovani considera essenziale lo studio comparato dei terremoti sincroni che avvengono sui margini occidentale della microplacca adriatica (Appennino) e orientale (Alpi Dinariche).
Tale teoria è illustrata in varie memorie elaborate e pubblicate talvolta con la partecipazione dei Geologi del Servizio Sismico della Regione Toscana. La sintesi della teoria è contenuta nel volume dal titolo “Tentativo di identificazione delle zone sismiche italiane più esposte ai prossimi terremoti forti” (come strumento per la riduzione del rischio sismico) di Enzo Mantovani et alii – Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente – Università di Siena. Il libro è scaricabile dal sito web http://www.dsfta.unisi.it/it/ricerca/aree-diricerca/la-ricerca-scienze-della-terra/geofisicadella-terra-solida-e-applicata.
La classificazione sismica della Toscana andrebbe dunque rivista, promuovendo ad alto rischio sismico Garfagnana, Lunigiana e Mugello, più due aree collinari minori fra cui Orciano Pisano, mentre l’area di Volterra andrebbe declassata a basso rischio sismico, al pari dei Comuni della bassa Maremma.
Il geologo e geofisico dr. Carlo Meletti dell’INGV sezione di Pisa sostiene che i punti più “caldi” della Toscana non si limitano solo alla dorsale appenninica ma ad esempio “una zona sismica dalle caratteristiche tutte particolari sarebbe rappresentata dall’area volterrana e dalla valle del Cecina”. Qui, sostiene Meletti, siamo di fronte ad un’area dove l’energia che potrebbe liberarsi durante un sisma è rilevante, ma il rischio che avvenga un forte terremoto sarebbe mitigato dal fatto che nella regione geotermica e aree limitrofe la roccia delle microplacche è più calda, quindi più plastica, perciò in grado di reagire diversamente e in modo un po’ meno violento agli stress dovuti ai movimenti improvvisi delle faglie. Ne deriverebbero perciò terremoti un po’ più frequenti ma di minore intensità. Questo principio tuttavia è contraddetto almeno da due forti terremoti, uno avvenuto in piena area geotermica, mi riferisco al terremoto magnitudo 5,3 del 11 dicembre 1724 con epicentro a Travale e al terremoto di Orciano del 14 agosto 1846 che, sebbene abbia avuto ipocentro relativamente superficiale, ebbe intensità elevata, oggi stimabile in 5,9 Richter. Il sottosuolo di Orciano, pur trovandosi al margine della zona geotermica, ha un gradiente geotermico anomalo, maggiore del valore medio normale. Bisogna inoltre tener presente che i terremoti dell’area geotermica hanno sempre avuto scarso effetto qui sul colle, perciò quando si menziona la Val di Cecina occorre distinguere l’area geotermica in senso stretto dal Monte Volterrano.
Il territorio comunale di Volterra, come sopra accennato, è attualmente classificato dal punto di vista sismico in zona 3 (medio-basso rischio sismico), prima del 2012 Volterra e gli altri 3 Comuni dell’alta Val di Cecina erano in zona 4 (basso rischio sismico). Fino a qualche anno fa si riteneva che Volterra non avesse un focolaio sismico attivo nelle vicinanze mai recenti terremoti di venerdì 22 giugno 2007, ore 18:04, ipocentro (profondità) Km 7,5 – epicentro Volterra loc. Borgo S. Giusto, Magnitudo 2,8 Mw e il recentissimo terremoto del 9 giugno 2016, ore 14,01 ipocentro Km. 14, epicentro Comune di Volterra, fondovalle del botro dell’Alpino, fra Lischeto e Casalunge, Magnitudo 3,3 Mw, porterebbero a conclusioni diverse. Si tratta in ogni caso di terremoti di basso grado che mai hanno provocato gravi danni a persone e cose.
L’unico evento sismico che il 14 agosto 1846 causò danni di una certa gravità ad alcuni edifici della città ed anche una vittima ebbe epicentro assai distante da Volterra, si tratta com’è noto dello storico e ben noto terremoto di Orciano Pisano. Se affrontiamo il tema del rischio sismico di Volterra in termini statistici, considerando cioè i terremoti avvenuti nel passato di cui ci è giunta notizia (terremoti storici), la probabilità che a Volterra avvengano terremoti disastrosi, ossia d’intensità maggiore di 5-5,5 della scala Richter, è bassa, perché gli eventi sismici che hanno interessato in passato il colle volterrano, sebbene numerosi, non hanno mai raggiunto intensità maggiori di 3-3,5 della scala Richter. L’integrità mai scalfita delle case torri medievali, della “piscina” romana, della Badia Camaldolese ed altri monumenti antichi, sono la testimonianza che i terremoti storici non hanno mai prodotto danni irreparabili e che dunque, anche per il futuro, non dovremmo aspettarci eventi catastrofici.
Tuttavia la scuola di geofisica applicata dell’Università di Siena diretta dal Prof. Enzo Mantovani , come ho accennato sopra, sostiene che la previsione dei terremoti su base statistica non è sufficiente e va integrata con la valutazione della possibile attività delle strutture geologiche del territorio, in primis le faglie, la cui ripresa di attività causa certamente eventi sismici d’intensità difficilmente prevedibile. In base a questo approccio occorrerebbe approfondire lo studio delle faglie localizzate nelle fosse tettoniche (Graben) che circondano il colle volterrano, fosse riempite di sedimenti marini (spessore intorno ai 2000 metri) accumulatisi nel mare a partire dal Miocene superiore (circa 7 milioni di anni fa) fino al Pliocene medio (circa 3 milioni di anni fa), nel quadro dei movimenti distensivi tuttora parzialmente attivi.
In particolare il Graben della Val d’Era è sede del sistema di faglie illustrato in figura 4. Quest’ultimo risulta compreso fra i Monti di Montecatini V.C. – Miemo – Castellina M.ma – Chianni ad occidente ed i Monti del Cornocchio – Iano ad oriente. L’attività di alcune linee di frattura subparallele provocò lo sprofondamento della valle tettonica (Graben) compresa fra questi monti, consentendo l’inserimento del mare a partire dal Miocene superiore e determinando l’accumulo di enormi pile di sedimenti. Il movimento di tali faglie, alcune visibili in superficie altre no, è sempre accompagnato da terremoti. La ripresa di movimento di una faglia sepolta sotto la pila dei sedimenti neogenici che formano il Graben della Val d’Era è la causa più probabile del terremoto del 22 giugno 2007 (magnitudo 3,3), con epicentro in B.go S. Giusto e di altri terremoti minori avvenuti anche di recente nel triangolo Volterra – Montecatini V.C. – Lajatico.
Finora si riteneva che le suddette faglie fossero inattive ma, seguendo i criteri del Prof. Mantovani, occorre riesaminare tali strutture geologiche che potrebbero rivelarsi ancora attive, perciò suscettibili di produrre terremoti. Dulcis in fundo ribadisco ancora una volta che queste faglie, se attive, non hanno mai generato terremoti di magnitudo superiore a 3,5 e che danni gravi agli edifici e alle persone avvengono con terremoti di magnitudo superiore a 5-5,5.