La Volterra di Cassola

Carlo Cassola è ormai uno scrittore affermato, uno scrittore da «centomila copie». Abbiamo visto alla televisione il telefìlm ricavato dal suo miglior racconto lungo «Il taglio del bosco», girato dal regista Cottafavi nel grossetano. Abbiamo visto il film «la ragazza di Bube» tratto dal suo fortunato romanzo, girato da Comencini nel Senese. Ormai Cassola è entrato a far parte dì quel ristretto gruppo di scrittori che hanno sfondato. Ci interessano i suoi romanzi, oltre che per il loro valore artistico, perché in molti di essi la nostra città fa da sfondo e in qualcuno, addirittura, la vicenda si svolge interamente tra le nostre mura e nelle vicine campagne.

Cassola non è nato a Volterra ma è figlio dì madre volterrana ed a Volterra ha vissuto a lungo. In un certo periodo ha avuto, anzi, una parte non indifferente nella nostra vita cittadina nel periodo della Resistenza e nell’immediato dopoguerra quando fondò e diresse per alcuni anni il settimanale «Volterra libera».

I romanzi «volterrani» di Cassola sono: «I vecchi compagni», «Fausto ed Anna», «Un matrimonio del dopoguerra», «Rosa Gagliardi» (racconto lungo), «La ragazza di Bube». Inoltre si trovano altri racconti volterrani in «La visita». Cassola ha capito molto bene la nostra città, il carattere dei volterrani, la piccola e spesso spenta vita provinciale soprattutto negli anni della dominazione fascista, della resistenza e del duro dopoguerra. Volterra deve molto a Cassola ma qualcosa deve anche Cassola alla nostra città. Direi che qualcosa del temperamento del volterrano è nel carattere di Cassola.

Egli è un timido che vince la timidezza con uno sforzo della sua volontà, è un isolato che non ama le etichette velleitarie ed esibizionistiche dei clan letterari, è un individuo dalla sensibilità a fior di pelle, uno che ha il gusto di andare controcorrente. Non è un politico ma ha partecipato attivamente alla Resistenza militando, con li nome di battaglia di «Giacomo», nella XXIII brigata Garibaldi operante nelle nostre zone. Ha partecipato nel dopoguerra attivamente alla vita politica proprio qui da noi per un senso di dovere morale ed umano; sente fortemente la fragilità e la complessa drammaticità dei problemi della vita contemporanea; è uno spirito scontento ed inquieto ed uno scrittore che ha saputo portare una vena di genuino lirismo nel vecchio tronco del realismo narrativo.

Ma qui a noi interessa ricordare la sua Volterra. Volterra nelle pagine del romanzi cassoliani è fresca, vera, viva con i suoi paesaggi sobriamente delineati, senza indulgenze storico letterarie dannunzianeggianti, con la sua campagna, con i suoi abitanti scontrosi dai nomi e soprannomi strani ma pur così aderenti alla realtà fisica o psicologica di chi li porta. Baba, Bube, Mommi, Cimino, Sante, ecc.. E’ tutta una galleria che al lettore volterrano ricorda immediatamente gli ispiratori sia pure nella ovvia deformazione operata dalla fantasia dello scrittore. I paesaggi non sono mai dei pezzi descrittivi od impressionistici in cui si indugia per fare sfoggio di bravura ma sono tagli, scorci rapidi, vivi, immediati senza mai alcun ribobolo accademico completamente estraneo alla formazione od al temperamento dello scrittore.

In «I vecchi compagni» l’ambiente descritto è quello del Borgo S. Giusto e dei suoi abitanti decisamente ostili al fascismo che non si piegano neppure sotto le più feroci violenze. E’ una storia scabra ed amara, di miseria e di dolore. C’entrano anche rapidi scorci delle Balze ma esse non sono contemplate affatto con la cincischiatura decadentistica o viste con l’occhio del turista in cerca di sensazioni. Sono uno spettacolo desolato, un luogo silenzioso e abbastanza solitario che ben incarna la quotidiana desolazione dei personaggi. Le Balze sono ricordate anche in un racconto giovanile di «la visita». Si intitola «Paura e tristezza» e per me è uno dei racconti più significativi di Cassola:

«Uno degli ultimi pomeriggi di settembre la solita comitiva fece una passeggiata alle Balze. Apparvero le Balze nella luce ferma del pomeriggio. le pareti si levavano vertiginosamente e Fausto non poteva guardarle; il paese intorno era ugualmente nudo e chiaro. Su un’altura a destra del baratro si vedeva la Badia. Era una antica costruzione in abbandono che faceva da casa ai più poveri del luogo, Il vento piegava visibilmente, a raffiche la scarsa erba del pendio».

Potremmo continuare con altre citazioni. Anche qui le Balze incutono nel personaggio un senso di morte e di infelicità.

«(Fausto) s’immerse nella creazione di una vita dove si stesse sempre insieme con gli esseri amati, dove i morti vivessero ancora, dove non ci fossero più tutte le cose tristi della terra, il camposanto e le Balze e la morte e l’infelicità».

È un racconto giovanile scritto prima della guerra ma Volterra già attira l’arte di Cassola. La nostra città è poi al centro del primo romanzo «Fausto ed Anna» scritto nel 1952. È la Volterra delle sue esperienze sentimentali giovanili; la Volterra dove ha conosciuto molti amici studenti universitari; la Volterra dove ha incontrato la sua prima moglie. Direi che il tono rievocativo delle abitudini, dei paesaggi; delle persone, specialmente nella prima parte, è dettato da un certo rimpianto controllato e virile, per la scomparsa della adolescenza. Fausto è un Cassola che nel vortice della guerra e della resistenza matura e diviene uomo. Ma non voglio indugiare su questo romanzo che è abbastanza noto.

Non molti volterrani forse conoscono invece «Un matrimonio del dopoguerra». Il romanzo si svolge nella Volterra del periodo repubblichino e dell’immediato dopoguerra: protagonisti anche qui alcuni alabastrai, povera gente che vive momenti esaltanti e drammatici con il cuore pieno di sogni e di speranze di libertà e di giustizia e poi lentamente, salvo qualcuno che si perde, rientra nel grigio mondo della esperienza quotidiana fatta di lavoro modesto e monotono. Forse, è solo in questo, sembra dire lo scrittore, che sta il senso più doloroso e più vero della vita. Molto bello è l’inizio del romanzo in cui Cassola descrive un episodio di vita partigiana realmente accaduto. Il tentativo, cioè, di impadronirsi di alcune armi nella Caserma della Milizia sulla curva del Viale dei Ponti, che immette nella città, da parte di alcuni partigiani che sono in contatto con alcuni militi. Il tentativo fallisce per un tradimento.

«Ormai erano proprio sotto Volterra; se ne vedeva la mole buia, incombente sulle loro teste: arrivarono sotto la statale proprio nel momento in cui passava una macchina; la luce dei fari tagliò l’oscurità, un debole riverbero investì anche loro. «È meglio prendere di quà» disse Cimino, e piegò per un campo coltivato di grano. Testina si voltò per dire qualche altra cosa ed in quella vide dietro la mole buia del Monte Voltraio un chiarore intenso. «Ehi, ragazzi, la luna», fece abbassando involontariamente la voce. E tutti e tre si fermarono a guardare quel chiarore intenso, splendente dietro la mole nera del monte. La vasta campagna non era più buia, si distinguevano le successive ondulazioni».

E sempre nello stesso romanzo ecco in poche righe descritta la situazione della Volterra del dopoguerra:

«Si era ormai a settembre, faceva sempre molto caldo, i reparti americani si erano spostati verso la nuova linea del fronte; ma gruppetti di militari continuavano a circolare per le vie della cittadina. Venivano a visitare le antichità etrusche e a fare acquisti di oggetti di alabastro. La lavorazione dell’alabastro, interrotta durante la guerra, era ripresa in pieno. Non soltanto le botteghe erano state riaperte tutte, ma, per far fronte all’inaspettata richiesta, si erano dovuti assumere dei lavoranti improvvisati. Facevano oggetti in serie, portacenere, soprammobili, vasi, statuette. Pepe ed il suo grande amico Ottorino si occupavano esclusivamente di un ninnolo ricordo della 5a Armata: su un rettangolo dello spessore di un centimetro venivano montate due grosse lettere, colorate la F ( Fifth) in rosso e la A ( Armi) in azzurro. Era l’oggetto più richiesto dagli americani, che del resto non erano compratori esigenti: trovavano tutto «very nice» e acquistavano tutto, pagando in denaro o anche in natura, e cioè con scatolame, caffè, zucchero, stecche di sigarette: coperte ecc».

Altri brani vivaci quelli dedicati alla gente che affolla il caffè dell’«Italiano» in cui si può riconoscere un noto Bar del centro dove confluivano in maggioranza ex partigiani e iscritti a movimenti politici di sinistra.

«Le serate passavano così, giocando a carte e a biliardo o facendo discussioni di politica. Era freddo nelle case mancava il riscaldamento, perché la legna era salita, i prezzi impossibili; ma lì nella prima stanza dell’Italiano chiusa com’era tra il bar e la sala da gioco. SI stava abbastanza bene. Il lavoro cominciava a scarseggiare, qualcuno di loro era già disoccupato ed i prezzi aumentavano giorno per giorno, e l’avvenire si faceva più buio. Perciò, invece di parlare della rivoluzione, che tutti davano per sicura il giorno che fossero andati via gl’inglesi e gli americani, preferivano parlare del passato. AI periodo passato alla macchia erano tutti attaccati, quasi sapessero che non avrebbero avuto più nulla di meglio».

Sorvolando sulla «Ragazza di Bube», che è certamente il più noto dei romanzi cassoliani, chiudiamo queste note con un cenno su «Rosa Gagliardi», un racconto lungo che si svolge a Volterra, Saline di Volterra e Cecina. Ecco un rapido schizzo di Saline:

«Rosa aveva poca simpatia con Saline e l’estate specialmente evitava di andarci, per via del caldo soffocante. Invece quell’anno ci dovette capitare proprio nel colmo della canicola. I tre quarti del paese sono costituiti dalla fila di case che guarda la ferrovia. Lo stabilimento della Salina è dall’altra parte, come pure la stazione. Sulla collinetta subito a ridosso sorgono alcune casette basse e un paio di costruzioni nuove».

Oggi Saline è molto cambiata dal punto di vista edilizio, ma allora era proprio così. Non manca un cenno al treno per Volterra:

«Ecco Rosa di nuovo in treno per l’ultima tappa del suo viaggio. Il treno aveva già ingranato la cremagliera e andava più che a passo d’uomo. Rosa guardava nel riquadro del finestrino la linea delle case in cima all’altura arrossata dall’ultimo sole. Quando il treno si fosse arrampicato lassù, sarebbe già stato buio. La linea delle case si dirigeva lentamente sulla sinistra del finestrino. Non ne rimaneva che un ultimo tratto: finché; ad un nuovo sussulto del vetro, scomparve anche quello».

© Pro Volterra, SILVANO BERTINI
La Volterra di Cassola, in “Volterra”