«Venerdì sera niente impegni per me: ho la Messa Nera!»; una affermazione che ha i risvolti di una battuta incompresa, ma è la forte sintesi di un episodio macabro avvenuto il 2 giugno 1995. Era proprio un venerdì quella notte; i carabinieri del dipartimento di Cecina fecero irruzione in un silo dell’ex Magona a fronte di alcune urla disumane, indicibili, demoniache. Al suo interno trovarono uno Stefano Ciurli quarantasettenne disteso su un letto matrimoniale circondato da una decina di persone, uomini e donne. Erano seduti sul pavimento di una stanza addobbata con drappi neri, teschi, ossa umane e una lapide. Urlavano per rito.
Il proliferare delle sette è stato un fenomeno in voga nella Toscana degli anni Novanta. Soprattutto nell’Alta e Bassa Val di Cecina, terra di antichi riti e leggende. In quegli anni la Chiesa per la prima volta nella sua storia si dichiarò colpita, sconfitta, quasi affondata. Il Diavolo non era più invisibile e non era più arginabile. Ci fu una vera e propria crociata contro incantesimi e amuleti, tant’è che il ritorno alle pratiche magiche era impressionante. Lo dissero i capi delle diciotto diocesi toscane nell’ultima nota pastorale del 1994. Titolo: “A proposito di magia e di demonologia”.
Anni neri quelli. Gli episodi sono tanti e hanno epicentro in diverse zone, dal Fiorentino al Grossetano, dal Pistoiese al Pisano e alla Lunigiana, ma anche in Versilia, e nel Livornese. Un ragazzo su tre dichiarava di aver partecipato ad una seduta spiritica. A impaurire ancor di più fu poi la vicenda di Gavinana, una storia agghiacciante: tra i castagni della montagna pistoiese venti persone da dieci anni chiuse in albergo aspettavano la fine del mondo. Le donne quando uscivano, giravano col volto coperto, pregavano per la resurrezione dell’Antipapa: il vecchio don Gino, parroco del paese, riatteso su questa terra con il nome di Emmanuel I. Si dirà, fiaba di montagna. E invece basta voltarsi che ad Arezzo una giovane donna raccontò di essere stata frustata e cosparsa di sangue di piccione sgozzato durante un rito satanico. Un ricordo indelebile e concreto fu senz’altro la devastazione del cimitero di Pistoia, ma le cose andarono ancora peggio in Lunigiana, dove un uomo di 32 anni venne trovato morto nei boschi di Pontremoli, vittima di un omicidio-rituale. In Versilia ci sono state numerose profanazioni di cimiteri, la più eclatante fu a Camaiore, per poi non parlare delle tantissime perquisizioni di case di persone legate alla setta dei Bambini di Satana. Tra i vari casi l’incendio delle tombe di sei bambini avvenuto nel cimitero di Rosignano Marittimo. Infine, tra le vicende più sinistre, si ricorda quella delle ossa ritrovate nel Mugello, per le quali vennero indagati diversi giovani pistoiesi e di Prato.
Ho omesso tantissimo, tuttavia, spero di aver inquadrato con successo il panorama toscano del tempo. Per tenerci lontani da maghi, fattucchiere, oroscopi a prezzi fissi, la diocesi scrisse trenta pagine in un linguaggio semplice semplice, fitte di analisi e consigli pratici per scansare le “deviazioni alla verità rivelata”. Due anni di lavoro, almeno quattro, faticose, riscritture. Alla fine ecco un documento che è una specie di manuale pronto all’uso per fedeli e sacerdoti: l’antidoto raccomandato a quei dodici milioni di italiani che, a sentire le statistiche, ogni anno consultavano almeno uno dei settantamila santoni che proliferavano in Italia.
Non è difficile aderire ad una setta. Lo si deve al crollo non tanto dei valori, quanto di una gerarchia organica di valori, di un sistema etico coerente; il vero dramma della coscienza moderna. Agli attori impreparati a portare il peso di questo dramma le conventicole esoteriche offrono uno spazio alternativo di salvezza. In questo le congreghe, in generale, propongono tre linee di forza: il ricorso ad una esperienza “interiore”, un messaggio di salvezza, l’aderenza ad una comunità. L’esperienza interiore dovrebbe condurre all’auto realizzazione, ad un miglioramento delle capacità mentali, all’equilibrio psico-fisico. Il messaggio di salvezza comporta la scoperta di una verità misteriosa segreta, di origine mistica. Infine i movimenti pretendono di essere comunità consacrate in grado di ridefinire non solo l’identità del soggetto, ma l’intera realtà. Le sette infatti si propongono tutte un rinnovamento, una trasformazione a livello mondiale delle relazioni sociali, individuali e simboliche. Tutti gli adepti pensano di essere il “sale della terra”.
Proprio come Stefano Ciurli, originario di San Vincenzo, colto in flagrante alla fabbrica della Ex Magona.
La cosa strana è che gli abitanti del posto non si erano mai accorti di niente, almeno così dissero: di tanto in tanto, nelle ore tarde della notte, passava qualche macchina diretta verso la fabbrica abbandonata, ma nessuno dava peso a tale movimento. Augusto Malaspina Paltrlnieri, proprietario dell’immobile, ai microfoni e ai giornali locali, affermava di non sapere un granché di questa strana vicenda, ma, del resto, fu in qualche modo giustificato: la volumetria del fabbricato era immensa; sotto l’alta ciminiera che si scorgeva da lontano, c’erano una serie di capannoni ed edifici collegati da un dedalo di stradine. Al loro interno aveva vita propria persino una pista di go-kart.
La sede dei “seguaci del Diavolo” si trovava in una specie di torretta sopra ad un’auto carrozzeria, nel punto più isolato dell’area. Era una stanza grande cinque metri per cinque, non aveva finestre e vi si accedeva da una scaletta interna di legno, tutta dissestata e scricchiolante, con i diciannove gradini che la componevano marci e cadenti. All’interno della stanza erano appesi drappi neri con scritte che sintetizzavano le massime della setta come: “Chi viene meno alle regole pagherà col sangue”. Teschi ed ossa umane, catene, lucchetti, anelli, corde, ostie sconsacrate, erano sparse nella stanza. Poi una lapide, una scopa, un letto, un lenzuolo ed una bottiglia contenente del sangue. In mezzo alla stanza vi era una stella a cinque punte, rovesciata; sui vertici della quale erano scritti cinque nominativi.
La sera della cattura i carabinieri si erano preoccupati di chiudere ogni via di fuga agli adepti; colsero così nella sorpresa quindici persone, ma nessuno tentò veramente la fuga. Sotto l’ombra del Male, quasi per convenzione sociale, era scontato fossero vestite di nero, ma quando sfilarono loro i pesanti cappucci che nascondevano i volti il demonio svaniva prendendo le sembianze di una innocente umanità: gli adepti avevano età che spaziavano dai 17 ai 50 anni, la maggior parte femmine e tutte piuttosto note nel territorio: professionisti, imprenditori, commercianti e due medici molto conosciuti nella zona ed in tutta la Val di Cecina. Di Volterra, un medico e un padre di famiglia con la figlia minorenne.
Dopo il fatto gli adepti vennero condotti in caserma e interrogati, poi furono denunciati per violazione di sepolcri, furto nei cimiteri e presunta soggezione da parte degli adepti verso i maestri. Insieme formavano la setta di Patar Tuan.
Patar Tuan era il demone; il demone parlava alla comunità e Ciurli traduceva. Traduceva e nel caso spillava i soldi. A dimostrazione, l’assegno trovato da 200 milioni di Lire versato da una psicologa volterrana che, secondo l’accusa, aveva chiesto l’intervento del satanista per impedire la venuta del cancro all’anziana madre.
Il simbolo della comunità era rappresentato da una grande luna azzurra sovrastata da una nube grigia con un triangolo e una stella celeste a cinque punte rovesciata. Al centro della stella campeggia la scritta “Patar Tuan” che, secondo quanto detto dagli adepti, significherebbe “padre e figlio”. Per Stefano Ciurli il simbolo contiene significati ben precisi: la luna simboleggia la luce, la conoscenza; la nube, invece, rappresenta l’ignoranza umana; la stella rappresenta la vita che può squarciare il velo offuscato della nube. Hanno un significato anche i colori azzurro e celeste: «Quando il Maestro si rivela lo fa attraverso la sua voce, ma poi indica la strada da seguire attraverso due lucine azzurrine, che si possono intravedere solo nel buio. E’ per questo che le nostre preghiere si svolgono nella penombra. Solo nelle tenebre si può scorgere la luce».
Le messe nere si consumarono sì nel Comune di Cecina, ma anche Volterra ne fu complice. Il collegamento tra le due località venne chiarito in seguito tramite la lapide cimiteriale rinvenuta dai Carabinieri di Cecina nella Ex Magona. La lapide riportava informazioni riguardanti un’anziana ricoverata del vecchio Ospedale Psichiatrico di Volterra, originaria di Genova, deceduta durante la degenza nel manicomio volterrano; quella stessa lapide che gli agenti del Commissariato di Polizia di Volterra, rinvennero un anno prima, nel 1994, all’interno della Cappella rnortuaria adiacente al piccolo camposanto di Sanfinocchi, il cosiddetto “cimitero dei matti” dove la defunta riposava in sonno eterno.
Fu una scoperta fondamentale e di questa da una parte i volterrani se ne dispiacquero per la brutta nomea di satanisti che dovettero subire, ma dall’altra tirarono un sospiro di sollievo nel vedere molti furti sacrileghi nelle chiese, profanazioni e scritte simboliche di dubbio gusto, completarsi in un senso quanto meno più logico. Meglio tardi che mai; ne parlò pure il Vescovo di Volterra, Monsignor Vasco Giuseppe Bertelli, nel corso della solenne concelebrazione della Pentecoste.
Anche perchè al tempo non ne vennero a capo di nulla, se non quello di considerare la vicenda come una pratica esoterica. Durante quel primo sopralluogo, gli agenti locali trovarono la lapide, una scopa, ossa umane e strane “apparecchiature”; la cappella mortuaria si presentava in uno stato di sfacelo con una porta a vetri forzatamente manomessa, oscurata con alcuni fogli di compensato verniciato di nero. A fianco della lapide, sopra una vecchia portantina per le bare, era stato appoggiato un tavolone ricoperto con un lenzuolo bianco macchiato di sangue. Nulla più, né nomi né colpevoli; non avendo altro da fare, dopo lunghi accertamenti, la lapide e le ossa trafugate furono nuovamente interrate nel camposanto di Sanfinocchi. Al secondo sopralluogo, tuttavia, sia la lapide che le ossa si trovavano più; nuovamente trafugate sparirono senza essere mai state più ritrovate.
La scoperta agghiacciante di quella stessa lapide all’interno della Ex Magona fece pensare che la setta operasse inizialmente a Volterra, proprio in quella cappella abbandonata. La congrega agiva indisturbata fino a quella scoperta fatta dal Commissariato della Polizia di Volterra che costrinse gli adepti a trasferirsi a Cecina, ritenuta forse più tranquilla per agire indisturbati. Importanti informazioni sul caso arrivarono sei anni dopo dalla vicenda, quando arrivò la prima sentenza con rito abbreviato per Stefano Ciurli.
Il 24 gennaio 2001 ci fu il verdetto: sei anni di galera per il profeta di Patar Tuan, Stefano Ciurli, 47 anni di Cecina originario di Castagneto, quattro a Franco Lorenzi, pensionato di Cecina originario di Suvereto, e due anni e quattro mesi per Elio Marmugi, 52 anni di Cecina originario di Bibbona. Secondo i magistrati, questi ultimi erano membri della setta e complici di Ciurli dei reati di estorsione e violazione di sepolcri. Nel 2003 però la Corte di Cassazione di Livorno annullò la sentenza d’Appello che confermava la condanna emessa in primo grado contro i tre: lo fece sapere l’avvocato Mario Bartoli, loro difensore.
La Cassazione penale, accogliendo le doglianze dei ricorrenti, annullò la sentenza impugnata, disponendo la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze in quanto, come sempre sostenuto dalla difesa fin dall’inizio delle indagini, il reato contestato di estorsione doveva essere derubricato in quello di truffa per i fatti relativi a tutte le parti offese.
Tale riqualificazione del reato era notevolmente vantaggiosa per gli imputati in quanto il reato di estorsione prevedeva una pena della reclusione da 5 a 10 anni mentre la truffa era punita con la reclusione da sei mesi a tre anni (oppure da uno a cinque anni per la truffa aggravata). Infatti tale richiesta di cassazione della sentenza di appello si sintetizzò sistematicamente nei seguenti motivi: gli elementi che contraddistinguono la condotta estorsiva sono la violenza e la minaccia. E mentre la prima non sussisteva in alcun modo, era necessario esaminare il secondo elemento e cioè la minaccia. La Corte di Appello non prese in alcun modo in considerazione, sul punto della minaccia, le dichiarazioni rilasciate da altri partecipanti alla setta. Le parti offese effettivamente riferirono che gli imputati non le avevano minacciate direttamente ma che il dio Patar Tuan o persone defunte avevano predetto che alcuni familiari sarebbero morti di cancro o di altre malattie: se ciò fosse accaduto si tratterebbe di una minaccia di pericolo immaginario in quanto era impossibile che il dio Patar Tuan, il maligno o i defunti, potessero far ammalare i parenti delle parti offese ed ancor più impossibile che ciò lo potesse fare il Ciurli o il Lorenzi.
Non era una minaccia reale, veniva evocato l’intervento di una divinità maligna e se ciò appariva eventualmente credibile e reale per le persone ignoranti, di scarsa cultura e di un sustrato economico-sociale infimo o modesto, non poteva sembrarlo in alcun modo valido per la psicologa (quella dei 200 milioni di lire) appartenente ad una classe socio-economica elevata oltre che fornita di eccellente cultura. A conclusione la Cassazione penale accolse la tesi difensiva che il reato da contestare non era quello di estorsione ma di truffa: infatti per la Cassazione la differenza tra i due reati era ravvisabile nella circostanza che nella truffa il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, di tal ché l’offeso non è coartato nella sua volontà, ma si determina perché tratto in errore dall’esposizione di un pericolo inesistente, mentre nell’estorsione il male viene indicato come certo e realizzabile. E secondo l’avvocato Bertoli, apparve di tutta evidenza che far ammalare di cancro la figlia o la madre o altri parenti delle parti civili offese non fosse stato nelle possibilità realizzative del Ciurli o del Lorenzi. Con questa contestazione furono condannati a quattro anni Ciurli, tre anni Lorenzi, un anno e mezzo Marmugi.
Nella vicenda processuale a caricodi Ciurli e dei suoi due seguaci la Corte aveva preso atto delle certificazioni di Ciurli che lo vedevano più volte ricoverato per problemi di salute, sia fisiche che per disturbi di natura psichica. Alchè fu disposto l’affidamento di una perizia al professor Mario Serrano, primario dell’Unità operativa di Psichiatria dell’ospedale di Livorno per stabilire se il santone era consapevole di ciò che faceva e se era in possesso delle sue piene facoltà: fu assolto e dichiarato capace; al contempo venne fuori che le sue vittime venivano adescate proprio nell’ambiente ospedaliero di Volterra, dove il Ciurli spesso era in cura.
Dalla condanna all’effettivo mandato di arresto passò un altro anno burocratico, tempo sufficiente per definire la salute del Ciurli aggravata costringendolo ad un letto dell’ospedale Villamarina di Piombino; per questo, con già in mano una pensione di invalidità con accompagnamento, ottenne una detenzione domiciliare per motivi di salute; stessa casistica valse anche per il Lorenzi. Il Marmugi invece scontò la pena come da sentenza.