Tipi caratteristici o strani si trovano in ogni comunità ed in Volterra non ne sono mai mancati. Tanto per rifarci ad un recente passato, una figura di popolano risalta nella Volterra dell’ante-guerra lo chiamavano: «Sbracioni», perché era tra i più ricercati distributori di brace preso le famiglie volterrane.
Con la «pezzola» legata al collo e con la faccia permanentemente coperta da una patina nera di polvere di carbone, che lo trasformava in un clown del lavoro, giorno e notte, era indaffarato con il carbone, con la brace e la legna. La sua pelle si era così impregnata di polvere nera che neppure un bagno nel ranno l’avrebbe fatto ritornare normale.
Non c’era barroccio o camion carico di legna o di balle di carbone che non l’annoverasse fra gli scaricatori ed i distributori al minuto.
Il nostro uomo era sinonimo di carretti di carbone, di balle di brace, quasi sempre dalla chiusura non perfetta, che lasciavano per le vie di Volterra, come nera seminagione, il segno del suo passaggio.
Egli era in commistione continua con tutti quegli elementi indispensabili per il funzionamento delle cucine e, sopratutto d’inverno, per il riscaldamento delle case, rifornendo i «caldanoni» e gli «scaldaletto» od i «preti», come venivano chiamati; e per consentire alle donne di «covare» il caldano – che peraltro faceva loro venire le «vacche» nella parte superiore delle gambe.
Per tanti secoli questi elementi hanno avuto la loro importanza, ed ogni periodo avrà avuto il proprio «Sbracioni». Ma oggi queste cose sono dimenticate, non si sa neppure più che cosa sia la brace e credo che sia cosa rara trovarla in commercio.
Molti lettori ricorderanno la noia dei geloni ai piedi ed alle mani, tali fastidi erano provocati in modo endemico dal freddo delle case e dei locali in genere. Il vecchio e saggio proverbio diceva che per far scomparire i geloni bisognasse lavarli con l’acqua di maggio, il che voleva dire che sarebbero scomparsi con il tepore della primavera.
Qualcuno ricorda i grandi caldanoni nelle case, nelle osterie, dai barbieri? Si usava, nelle lunghe serate invernali, cuocerci le castagne bruciate, tra un bicchiere e quattro chiacchere «a veglia», come si diceva.
In quei tempi lo Sbracioni con il suo carretto, carico di rifornimenti, era un incontro obbligato per le vie cittadine.
Quel tempo sembra veramente lontano ma lo è invece solo relativamente, perché sino a qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale, carbone di legna e brace sono stati il trinomio indispensabile per superare il rigido inverno e per l’uso comune di cucina.
Adesso: nafta, kerosene, gas, elettricità, hanno preso il loro posto e ci hanno fatto dimenticare perfino lo Sbracioni.