Anastasia degli Onesti

Quando Anastasia arrivò a Volterra da Bologna nel 1368 al seguito di truppe mercenarie, poteva avere più o meno trenta anni. Tra tutte le prostitute era quella che teneva testa ai soldati, pretendeva i pagamenti e organizzava gli incontri.

La Mariuccia, la Catarina e la Smeralda si sentivano in qualche modo protette e spalleggiate da quel suo carattere esuberante e coraggioso che, insieme alla sua bellezza selvaggia, attirava persone di ogni rango.

“Come pensi che possano far organizzare il postribolo di Volterra proprio a te, Anastasia?” le chiedeva dubbiosa Smeralda. “Perché in ogni palazzo, per quanto ben costruito in tutti i dettagli, ci vogliono anche le fognature; se si tenta di chiuderle e si impedisce lo scarico dopo un po’, tutto il palazzo sarà intasato. Ti assicuro che diventerò la nuova tenutaria del postribolo di Volterra e riuscirò ad ottenerne il Bollettino di libero servizio.” rispondeva sicura.

Già da tempo, non potendo impedire l’esercizio delle prostitute, il Podestà di Volterra aveva autorizzato un pubblico postribolo ubicato nel quartiere del castello (dove ora è Piazza Martiri della Libertà), in un dedalo di viuzze, con stanze comunicanti tra loro, isolato da un recinto in muratura affinché “certi affari” si svolgessero solo ed esclusivamente all’interno dello stesso, fuori dalla vista del resto della città.

Davanti ai Magistrati dell’Onestà, scelti a sorte tra i cittadini dei quartieri di Volterra, si presentò Anastasia con le sue idee chiare sull’organizzazione della cosa, e la proposta fu ritenuta valida a votazione di maggioranza.

Le fu assegnato il luogo, fu stabilito il prezzo delle prestazioni e la tassa da pagare, fu proibito a lei e alle altre di frequentare ambienti cittadini e le fu comunque prescritto di portare sempre all’esterno del recinto un fazzoletto rosso per riconoscerle. Infine le fu rilasciato il bollettino legale per il libero esercizio della professione come aveva sperato.

All’interno del postribolo (post tribulum – dopo lavoro) non solo si praticava il sesso a pagamento ma si poteva anche giocare d’azzardo, fare scommesse, fare musica e ballare. Gli introiti erano notevoli e Anastasia organizzava e concedeva con furbizia i suoi favori a capitani di ventura che potevano difenderla da clienti troppo scalmanati e a personalità di alto rango che le rinnovavano ogni anno l’autorizzazione.

Spesso succedeva che qualche prostituta si ammalava e veniva allontanata e qualche altra si convertiva alla fede, abbandonando di sua spontanea volontà la professione, ma c’era sempre un ricambio di nuovi arrivi.

Nel 1401, ormai ultrasessantenne, Anastasia decise di ritirarsi, con i soldi guadagnati comprò una casa in Via del Forno che da quel giorno e fino a che rimase il ricordo dopo la sua morte, fu ribattezzato da tutti Vicolo dell’Anastasia.1

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Nei secoli, molti sono stati i postriboli di Volterra, nati per combattere la piaga della sodomia. In tutti i comuni erano previste gravi pene per il “turpe peccato al mondo lerci” ed anche gli statuti volterrani obbligavano il podestà a “intervenire e investigare su ogni sodomita”. Era fissata una pena di lire 100 per questi, ai quali, se non pagavano la forte somma, veniva applicata la pena di amputazione delle parti genitali. Un postribolo era nella zona del Poggetto/Via Firenzuola e nel dedalo di vicoli che si trovavano nel posto dove poi nel 1700 fu costruito il Conservatorio di S.Pietro. La posizione era strategica per attirare i soldati della vicina fortezza.

Un’altra meretrice nominata negli archivi è Elisabetta del Tridento. I Priori, avendo saputo che il 17 novembre 1442 era arrivata a Volterra “una discreta e formosa meretrice di nome Eisabetta del Tridento” la quale aveva dichiarato di volersi sistemare stabilmente in città, decisero che la donna fosse alloggiata nella camera principale del postribolo, con letto e altre suppellettili del comune e che le fosse pagato l’assegno mensile stabilito.2

La professione si svolgeva anche nelle case private e le cronache ci riportano anche un’altra figura di prostituta volterrana, tal Giustarella che esercitava in Via della Pietraia nel 1400 Si racconta che due soldati di guardia alla Porta di S.Felice, decisero una notte di abbandonare il posto di guardia e approfittare delle grazie della vicina signora andando a bussare ripetutamente alla sua porta. Giustarella, vista l’ora tarda, non ci pensò nemmeno ad aprire e questi cominciarono a battere nella porta con l’intento di buttarla giù. Giustarella cominciò a urlare svegliando tutti i vicini e così arrivarono altri soldati che dopo una violenta scazzottata arrestarono i colleghi che poi furono condannati a pagare 15 lire.3

La Chiesa affermava che se il sesso era troppo necessario per la riproduzione della specie, era tuttavia cosa malvagia ricavare un qualsiasi piacere da quella funzione animalesca. Papa Gregorio Magno del VI secolo condannò ufficialmente i “bassi piaceri” e alcuni ecclesiastici arrivarono al punto di pretendere restrizioni sessuali anche in ambito del matrimonio, atteggiamento che fu responsabile nel tardo medioevo dell’invenzione di una pesante camicia da notte con una apertura in zona strategica per assolvere l’adempimento coniugale con minor rischio possibile di provare piacere. Sant’Agostino, in un momento di reminiscenza pratica, disse che, se si fosse soppressa la prostituzione, la “capricciosa lussuria” sarebbe dilagata sommergendo la società.

Le prime tracce documentate di questa nuova visione del sesso a pagamento le ritroviamo nella Summa di San Tommaso d’Aquino. In questa opera si esplicita il pensiero del Santo anche a proposito della pratica del meretricio che viene definito tanto negativo e disdicevole quanto inevitabile e, in un certo senso, utile all’equilibrio sociale del popolo cristiano. Sempre nella Summa si parla di luoghi destinati al consumo del sesso fuori dal matrimonio: i Postribula Publica, retti e gestiti direttamente dalle autorità istituzionali dei Municipia.

Dei sontuosi bordelli romani, pochi sfuggirono alle distruzioni delle invasioni barbariche. Le prostitute del Medioevo stavano generalmente con le bande di fuggiaschi ed erano quasi sempre serve fuggite dai padroni. Oppure erano in gruppi al seguito di mercanti o di eserciti in marcia.

Con la nascita delle città la prostituzione cominciò ad essere organizzata: la feccia della categoria continuava a viaggiare con gli eserciti, ma i vantaggi di una prostituta che vivesse in una stabile comunità mercantile erano evidenti. Dall’XI secolo in poi, un numero sempre crescente di esse si insediò nelle città, le cui autorità presto si accorsero che queste signore facevano ottimi affari, per cui il fiuto mercantile suggerì di imporre una tassa sui loro guadagni come contributo ai fondi della comunità. Questo desiderio di partecipare agli utili delle prostitute, oltre alla necessità di controllare la loro attività e mantenere l’ordine e l’igiene, portò presto alla fondazione, in genere fuori dalle mura, di quartieri ufficiali di bordelli.

Agli abitanti veniva chiesto di portare un segno distintivo nell’abbigliamento del loro mestiere: cuffie, mantelli, calzature o vesti particolari. In certi luoghi ed ad alcune categorie di persone era proibito frequentare i bordelli: ai preti e spesso agli ebrei, a volte agli uomini sposati.

Nei secoli XIII e XIV questi luoghi restavano ancora chiusi di notte, durante la quaresima e le città che gestivano la prostituzione erano rare. Dopo il 1350 le restrizioni si attenuarono, il marchio sul vestito si fece discreto o addirittura sparì e i poteri municipali istituzionalizzarono la prostituzione.

© Anna Ceccanti, ANNA CECCANTI
1 A.C.V. filza A nera 16 c.57 e A nera f.18 c.59
2 A.C.V.f. A nera 40 c.283
3 A.C.V. filza T rossa 84, c.11