La scomparsa del tenore Bruno Landi ha riportato alla mia mente gli anni lontani della nostra giovinezza, le liete brigate, le smerendate» del lunedì, le scorribande canore nelle sere di bel tempo ed i primi passi verso una sistemazione economica.
Ricordi che ripassavamo insieme agili qualvolta ci era dato di incontrarci, per ragioni attinenti al melodramma, nei teatri delle nostre belle città di provincia: Lui, cantante già affermato, lo, modesto organizzatore di provincia.
Di Lui ricordo sempre un delicato episodio dell’adolescenza avvenuto intorno al 1909. In quel periodo la Diocesi di Volterra era rimasta vacante per parecchi mesi a causa della morte del vecchio vescovo ed il nuovo arrivato, Mons. Mignone, stabilì che tutti i ragazzi della città e sobborghi venissero condotti nella cattedrale per ricevere dalle sue stesse mani la prima Comunione.
In una domenica di primavera, noi, della cura di San Francesco, venimmo avviati in processione verso la cattedrale dove, nella piazza San Giovanni, ci incrociammo con quelli di S. Alessandro che stavano arrivando per la grande cerimonia, cantando laudi al Signore. Una voce bellissima, dal timbro chiaro e vibrante, si levava solenne sopra il coro degli altri salmodianti, era la voce del mio compagno di scuola, del piccolo Bruno, il figlio del nostro fornaio. Una voce appassionata che un giorno non lontano avrebbe illuminato tutta una carriera di artista.
A venticinque anni – era nato nel 1900 – esordì a Campi Bisenzio nel Rigoletto che i « Campesi» avevano allestito per onorare il loro concittadino Gino Lulli rinomato baritono dell’epoca.
L’esordio segnò il successo anche per il nostro tenore ed una grande soddisfazione per il maestro Raoul Frazzi che, dei due cantanti era stato l’insegnante ed il prezioso consigliere. Infatti, il popolare «Balenino» – come lo chiamavano gli amici – si era rifugiato in Firenze a seguito di certe disavventure amorose ed in casa Frazzi aveva avuto modo di imparare l’arte del bel canto.
Erano quelli i tempi d’oro del melodramma, dove, per affermarsi, accorrevano doti non comuni che Lui possedeva in buona misura. La sua era una voce piccola adatta al genere brillante, ma una di quelle voci che corrono e poiché possedeva anche un buon temperamento unito ad una forte sensibilità musicale, non tardò a mettersi in luce cantando in varie «tournée» occasionali al fianco di grandi celebrità quali i baritoni Galeffi e Pranci od i soprani Toti Dal Monte e Mercedes Capsir in opere di Rossini, Verdi e Bellini. Preso in considerazione dall’impresario Ferrone venne lanciato nei maggiori teatri italiani e stranieri. Fu in quell’epoca che allargò il suo repertorio al fianco delle maggiori celebrità femminili. Non di rado lo si poteva ascoltare con la Favero nella «Manon» di Massenet, con Gabriella Besanzoni nella «Mignon», oppure nei «Pescatori di Perle» o nel «Werther» insieme alla Carosio od alla Pederzini.
Estese il repertorio ad opere più impegnative come il «Faust», la «Favorita» e i «Puritani» ed in tutte le città riportò grande successo per l’ottimo stile di «belcantista».
Alla «Scala» entrò con il Maestro Victor De Sabata che lo volle nel «Falstaff», insieme a Mariano Stabile, per l’inaugurazione della tradizionale stagione lirica dove oltre all’Amico Fritz, cantò l’opera nuova di Franco Alfano: «Madonna Imperia».
Poi venne l’America del Sud, il regno di Tito Schipa. Ricalcando il di lui repertorio riportò affermazioni notevoli e da lì passò negli Stati Uniti dove al «Metropolitan» cantò insieme a Lucrezia Bori e Grace Moore in opere fuori del Suo repertorio come Tosca e Boheme.
Dopo il grande conflitto tornò in Italia ma la Sua voce non era più quella di un tempo. Si era ingrossata e quello smalto argentino che lo distingueva da molti Suoi colleghi se ne era andato per sempre. Rimase comunque un ottimo artista, onesto e dignitoso, a cui non faceva difetto l’arte di cantare con stile.
A Volterra si era esibito nei primi anni col «Barbiere di Siviglia» in una fugace apparizione del Carro di Tespi Lirico, accampato per due sere nell’anfiteatro di vallebuona. Non aveva mai voluto cedere alle insistenti richieste per cantare al «Persia Fiacco» nella tradizionale Stagione Lirica Autunnale. Toccò al Sottoscritto ricondurlo a Volterra nel nostro teatro, in una pregevole esecuzione dell’Amico Fritz diretta dal Maestro Del Cupolo, quando ormai gli entusiasmi per il melodramma si erano in gran parte sopiti.
Per certe beghe personali i Volterrani lo consideravano un presuntuoso e si trattava invece di un timido preso sempre dalla paura di non essere apprezzato nel suo giusto valore. Nell’ambiente teatrale tutti volevano bene al «Landino» per la Sua semplicità, per la discrezione dei modi e per quel fare educato ben lontano dalle smargiassate di tanti Suoi colleghi.
Sempre timoroso di non essere all’altezza del difficile compito, a causa dei mezzi limitati, studiava costantemente e se certe Sue interpretazioni non spiccavano per originalità lo sorreggeva il pregio di una compostezza degna di un grande artista.
In età già matura si unì in matrimonio con Hilde Reggiani artista di raro ingegno e con lei ritornò in quell’America del Sud che gli aveva procurato tante soddisfazioni.
A Buenos Aires, dove i volterrani da oltre un secolo si recano per commerciare alabastro, Egli «borghigiano» d’antico stampo, si è spento insegnando ai giovani l’arte del bel canto.