“Quando è freddo e tira vento, chiudi l’uscio e resta dentro”.

Sa Dio quante volte, in quel gelido autunno del Quattrocento, gli sarà passato per la mente mentre facevano la guardia nottuma appostati alla Porta di San Felice, per vedere se dalla Valle del Cecina potevano profilarsi pericoli per la città.

Acqua, neve (già perché a quei tempi nevicava di brutto) e brividi a non finire. Ci fù una notte, insomma, sul finir di novembre, che non ce la fecero più a sopportare: un po’ l’insegnamento del proverbio, un po’ perché per le strade non c’era anima viva, e un po’ – diciamolo francamente – perché l’idea che la Giusta abitava a meno d’un tiro d’arco da lì e che da lei avrebbero potuto passare una nottata diversa, molto diversa; un po’ per tutto questo, insomma, fu così che Giusto di Fungo, Piero di Commucio e Giovanni di Gullo, alle tre di notte, abbandonarono la loro postazione e s’inerpicarono per la ripida Via della Pietraia. Forse la Giusta di Ottaviano di Panino non era molto prosperosa, ma carina e buona di carattere doveva esserlo per forza, tanto da rneritarsi il dolce soprannome di Giustarella.

E poi qualcosa di diverso ce l’aveva davvero: era “femmina libera et di costumi liberi” e per i tre custodi bastava e avanzava. Ma dovevano essere proprio fuori di testa.

O che si va per le case alle tre di notte? Fatto sta che la Giustarella non gli aprì. Ma i tre assatanati non si dettero per vinti e ruppero la porta senza curarsi delle grida disperate della fanciulla che fecero accorrere la ronda.

Il fatto fece scandalo e i tre, catturati e processati, furono condannati all’ammenda di quindici lire ciascuno: una pena severa per quei tempi in cui le lire, nelle tasche dei poveri, erano più introvabili dell’araba fenice.

© Accademia dei Sepolti, FRANCO PORRETTI
La Giustarella, in “Rassegna Volterrana”