SOMMARIO
La nascita e lo sviluppo delle Contrade
LE CONTRADE
Contrada Sant’Agnolo
Contrada Porta a Selci
Contrada Porta all’Arco e Sant’Alessandro
Contrada San Giusto
Contrada Santo Stefano
Contrada Santa Maria
Contrada Villamagna
Contrada Saline
– Balestrieri della Città di Volterra
 
 
 

 

La parola Contrada deriva dal latino contra, che vuol dire: zona che ci sta di fronte, vicina. Si tratta quindi di un termine essenzialmente usato per indicazioni topografiche, tanto è vero che ancora oggi in alcune regioni del Sud Italia è usato come sinonimo del termine località. Nel medioevo il termine servì per indicare le ripartizioni amministrative in cui erano divise le città italiane. Le contrade nacquero con lo scopo di riunire gli abitanti di una determinata area interna alla città in una organizzazione di reciproco sostegno, tutti i capifamiglia dovevano giurare che non avrebbero preso le armi contro i propri vicini e che si sarebbero aiutati in caso di pericolo.


COSA ERANO LE CONTRADE

Si diffusero molto rapidamente nel corso del XII e del XIII secolo, divenendo di uso comune in quasi tutte le città italiane; in molti casi avevano altri nomi quali orae, porte, rioni.

Con l’avvento in Italia del libero comune i rappresentanti delle contrade vennero coinvolti nell’amministrazione cittadina; le contrade iniziarono così a gestire alcune funzioni amministrative come la raccolta delle tasse, i lavori pubblici che interessavano l’area di loro pertinenza, la leva militare e la sorveglianza armata di tratti delle mura e delle porte cittadine. Con il tempo acquisirono un’importanza non solo amministrativa, ma anche politica, che però nella maggior parte dei casi non si estendeva alle decisioni di politica estera.

A partire dalla fine del Duecento si cominciò a sviluppare anche un altro tipo di divisione amministrativa, il terziere o quartiere. Si trattava di una divisione in tre o quattro parti della città, ognuna delle partizioni era a sua volta divisa in contrade; il sistema era più semplice e snello e venne ben presto adottato ovunque sostituendo le contrade.


LE CONTRADE DI VOLTERRA

I primi segni di una ripartizione cittadina sono visibili già nel corso del XII secolo, quando gli uomini di Volterra cominciano a firmare facendo seguire al proprio nome quello della località di appartenenza.

È solamente con gli inizi del secolo successivo che è possibile documentare con certezza l’esistenza di una organizzazione di contrade. Il primo documento che ci informa della costituzione di una contrada è del 1 aprile 1208, quando gli uomini di San Cipriano si riuniscono in cappella (sinonimo di contrada), dandosi dei rettori e delle leggi da osservare. Li seguono il 12 aprile 1208 gli uomini dei villaggi di Ripalbella, Bibbiano e Fognano che si danno più o meno le solite regole.

Per quanto riguarda la città vera e propria dobbiamo aspettare la prima redazione degli statuti a noi pervenutaci, che è quella del 1210, per trovare la menzione dei Dominis Contratarum e Rectores Contratarum; non viene però specificato quali siano le contrade cittadine in questo periodo. Siamo comunque in grado di conoscere i nomi di alcune contrade da un documento del 1218 che cita i rettori delle contrade di Borgo Santa Maria, Pratomarzio, Porta a Selci, San Giovanni oltre a quelli di altre non specificate.

Agli inizi del Duecento esistevano a Volterra anche le contrade di Piano di Castello, Castello, Postierla, Sant’Agnolo, Piazza, Borgo dell’Abate, Porta all’Arco, Sant’Alessandro, Fornelli, Santo Stefano, San Giusto, Montebradoni, Val Guinizinga.

Siamo in grado di determinare il loro territorio con una certa approssimazione; dobbiamo considerare che allora la città non era ancora stata chiusa dalle mura medievali ed i confini cittadini erano molto più ampi di quelli delle mura etrusche, tanto che si considerava città e pendici (cioè il territorio direttamente pertinente alla città) tutta l’area delimitata dal torrente Arpino, da Monte Rodolfo (Poggio San Martino), dall’Era alla Cecina, pertanto alcune contrade avevano ampie pertinenze in quella che oggi è considerata solo campagna e alcune occupavano solo la parte extraurbana di questo territorio.

Porta a Selci comprendeva la parte orientale della città, dalla porta omonima tutt’intorno all’attuale Via Don Minzoni; Postierla si trovava nella zona fra Porta Marcoli e Sant’Andrea; Piano di Castello corrispondeva all’area occupata dalla fortezza Medicea; Castello era l’attuale Parco Fiumi; Sant’Agnolo era tutta la zona intorno alla chiesa di San Michele; Borgo dell’Abate occupava le attuali Via delle Prigioni e Via Sarti; Piazza era tutta la zona intorno alla Piazza dei Priori; Porta all’Arco corrispondeva alla via che porta ancora oggi questo nome; Borgo Santa Maria era la strada che da Piazza dei Priori scendeva verso Santo Stefano; Fornelli andava dall’area oggi occupata dall’ex ospedale di Santa Maria fino alla fonte di S. Felice; Sant’Alessandro era la zona intorno alla chiesa omonima; Santo Stefano andava dalla fonte di San Felice alla Via della Penera; San Giovanni d’Orticasso era l’area intorno all’attuale convento di Santa Chiara; Pratomarzio era tutto il pianoro del moderno Borgo San Giusto fino alle mura etrusche; San Giusto è oggi sprofondato nelle Balze; Montebradoni era identico al borgo moderno; lo stesso vale per San Cipriano; un’altra contrada comprendeva alcune ville del territorio nei pressi di Montebradoni; col nome di Val Guinizinga era chiamata tutta la vallata dalla Torricella fino all’Era, a destra e sinistra della Strada Provinciale Pisana.


I PRIMI ACCORPAMENTI

Il numero delle contrade era molto alto nel 1200, ciò ci indica una notevole frammentazione del tessuto urbano, ma ben presto molte contrade furono aggregate ad altre, per consentirne una migliore gestione; la prima notizia in tal senso riguarda Postierla, ai cui abitanti viene ordinato, nel 1230, di unirsi a Porta a Selci. Ad essa seguono ben presto anche altre: Borgo dell’Abate fu inglobato da Sant’Agnolo e a Montebradoni furono unite le contrade extraurbane di San Cipriano, Val Guinizinga e i villaggi del territorio settentrionale.

La sorte di altre contrade varia invece a seconda degli anni, ad esempio Sant’Alessandro e Porta all’Arco, prima di divenire un tutt’uno alla fine del Trecento, vengono di volta in volta unite o divise, lo stesso avvenne per Piazza e Castello.

Il caso di San Giovanni e di Santo Stefano è lievemente differente: in origine erano due contrade separate poi, per tutta la prima metà del Duecento, risultano unite in un’unica compagine. Con la costruzione delle nuove mura di San Francesco, nella seconda metà del XIII sec., la contrada fu divisa in tre parti: San Giovanni, Santo Stefano e Borgonuovo, che è la parte di contrada all’interno delle nuove mura di cinta. Con questi nomi vengono anche citati i balitori che costruirono la fonte di San Felice nel 1319, ma non sappiamo se indicano tre contrade distinte o una solamente.


LA CRISI DELLE CONTRADE

Con la fine del XIII secolo l’abitato di Volterra fu diviso in terzieri, che raggruppavano più contrade. Solitamente erano chiamati Superiore, di Mezzo e Inferiore, seguendo l’andamento orografico della collina; nei primi anni del Trecento sono anche chiamati con il nome delle chiese principali che vi si trovavano: San Pietro, Santa Maria e San Giusto.

Una considerevole crisi per questo sistema avvenne con il calo demografico conseguente alla peste del 1348, quando morì oltre un terzo della popolazione volterrana. Il consiglio cittadino decise di unire alcune contrade che erano rimaste quasi disabitate con altre demograficamente più rilevanti: Piano di Castello fu inglobata da Porta a Selci, Castello da Piazza, Fornelli da Borgo Santa Maria e San Giovanni da Santo Stefano.

Ma gli accorpamenti non vennero rispettati, infatti nei documenti redatti negli anni successivi troviamo nominate indiscriminatamente tutte le contrade, anche quelle che avevano poche decine di abitanti.

Fino al catasto del 1428 sono infatti ricordate le contrade di Porta a Selci, Piano di Castello, Castello, Sant’Agnolo, Piazza, Porta all’Arco, Sant’Alessandro, Borgo, Fornelli, Santo Stefano, Prato Marzio, San Giusto e Montebradoni, Val Guinizinga. Queste possono essere considerate le “contrade storiche” di Volterra, quelle di cui abbiamo una documentazione continua ed abbondante e di cui conosciamo con una certa sicurezza gli stemmi ed il territorio.


IL RINASCIMENTO E L’ETÀ MODERNA

Nel 1428 il catasto ordinato dal governo fiorentino ci documenta una diminuzione delle contrade, che adesso sono in numero di otto: Posta a Selci, Sant’Agnolo, Piazza, Borgo Santa Maria, Santo Stefano, Pratomarzio, San Giusto e Montebradoni. Porta all’Arco era stata inglobata da Piazza.

Il numero delle contrade rimase pressoché invariato fino alla metà del Seicento quando gli statuti furono riformati sotto la guida di Curzio Inghirami; i nuovi statuti prevedevano solo cinque contrade: Porta (Porta a Selci), San Michele, Piazza (che comprendeva anche Borgo), Santo Stefano e Prato Marzio (chiamata anche San Marco).

Il 21 settembre 1772 il granduca Pietro Leopoldo emanava un Regolamento per la Comunità di Volterra, con il quale venne riformato il vecchio statuto, che sostanzialmente era rimasto immutato dal medioevo, per gestire la città in maniera simile a quella del resto del Granducato. Un nuovo e definitivo regolamento venne poi emanato il 15 maggio 1779 ed è in esso che, insieme a molte altre cariche cittadine, fu abolita l’istituzione delle contrade. Tutte le proprietà passarono alle opere pie delle chiese principali delle contrade, che da allora si assunsero l’onere di provvedere alle beneficenze di cui finora si erano occupati i consigli di contrada.


GLI ORGANI DIRIGENTI E GLI STATUTI

Tutte le contrade di Volterra avevano un proprio stemma distintivo, che veniva riportato sul gonfalone che precedeva gli abitanti della contrada in battaglia e nelle processioni pubbliche; gli abitanti dovevano eleggere un proprio Consiglio, mentre a governare e rappresentare ogni contrada era preposto uno o due Balitori, coadiuvato da un Vessillifero e da un Notaio, inoltre dovevano essere scelti due Sindaci revisori dei conti. I Balitori erano membri effettivi del Consiglio Maggiore e i principali magistrati cittadini, i Priori, erano eletti in modo che ve ne fosse almeno uno per contrada.

Ogni contrada aveva un luogo di riunione, costituito in genere dalla chiesa parrocchiale, e poteva possedere terreni, case ed attività produttive dalle quali ricavare utili che venivano usati per diminuire la quota di tasse che dovevano pagare i contradaioli, per le feste religiose oppure per fare beneficenze.

Alla base delle contrade vi era uno statuto, sul quale erano segnate le norme che regolavano la vita pubblica dei propri membri; ogni abitante della contrada doveva giurare di rispettarlo e di farlo rispettare dagli altri. Tutte le contrade avevano uno statuto, che nella maggior parte dei casi doveva essere assai simile e che veniva periodicamente aggiornato; solamente quello della contrada di Sant’Agnolo dei primi del Quattrocento è sopravvissuto, gli altri sono stati tutti perduti.

Con l’annessione di Volterra nello stato fiorentino, nel 1472, le contrade non dovettero consegnare i beni alla comunità, il loro patrimonio rimase il medesimo e, quando il governo fiorentino concesse ai volterrani di rieleggere i Priori, questi furono nuovamente scelti in base alle contrade.

In seguito alla riforma del ‘600 le contrade mantennero invariati i propri magistrati, ma il consiglio era composto da 10 nobili e da 10 artieri ed i magistrati principali potevano essere eletti solo fra i nobili cittadini che avevano più di 22 anni di età. Le contrade divennero così un ambiente dove i giovani rampolli delle famiglie nobili volterrane iniziavano la loro carriera pubblica. L’attività di contrada si limitava adesso solo alle beneficenze a poveri, alla concessione di doti alle fanciulle in età da marito ed a contributi per le opere religiose che talvolta venivano dati direttamente alle confraternite o alle opere delle chiese.


I COMPITI DELLE CONTRADE

All’interno dell’amministrazione comunale medievale le contrade avevano un compito molto importante. Numerose attività quotidiane erano demandate ai magistrati delle contrade, in particolare dovevano occuparsi delle opere pubbliche che interessavano il territorio di loro giurisdizione oppure, in collaborazione con le vicine, di lavori di maggiore portata. Strade, mura, fonti e fognature erano pagate in parte con i soldi della cassa comunale ed in parte con i contributi esatti dai balitori agli abitanti delle contrade interessate.

Un altro compito molto importante era quello di tenere il censimento della popolazione, che era collegato direttamente con la gestione delle tasse, che veniva praticata da cittadini appartenenti a tutte le contrade. La tassa più importante era il cosiddetto Sal delle Bocche, che era una legge che imponeva ad ogni volterrano adulto di comprare dal comune una certa dose di sale al prezzo imposto dall’amministrazione e che quindi comportava un attento controllo degli abitanti.

Un altro incarico riguardava il reclutamento della milizia cittadina e la gestione delle truppe; ogni cittadino adulto doveva contribuire alla difesa della città ed era raggruppato in una compagnia composta interamente dai membri della sua contrada. Fra essi venivano scelti i miliziani che dovevano occuparsi della sorveglianza delle porte e del servizio di ronda notturna in guerra; durante le campagne militari gli uomini seguivano i vessilli della propria contrada.

Con l’annessione di Volterra nello stato fiorentino, nel 1472, diminuirono i compiti dei magistrati e dei consigli delle contrade, rimanendo loro solamente la gestione delle opere pubbliche e del censimento per la riscossione dei tributi. Dopo il Seicento i balitori si occupavano solamente di amministrare le proprietà della contrada.


LE NUOVE CONTRADE

Nel 1996 la Consulta dello Sport del Comune di Volterra insieme al Gruppo Storico Sbandieratori e Balestrieri Città di Volterra dette vita ad un progetto che aveva lo scopo di far rivivere le contrade. L’intento era quello di coinvolgere, grazie alle contrade, i cittadini in nuove iniziative di aggregazione e di sviluppare delle rievocazioni storiche che possano essere di interesse per gli abitanti di Volterra e di richiamo per i visitatori in modo da incentivare ulteriormente il turismo nella nostra città.

Si sono così costituiti alcuni comitati di cittadini che si sono dedicati alla riorganizzazione delle contrade, eleggendo dei propri rappresentanti che sono andati poi a formare il Comitato delle Contrade di Volterra, avente lo scopo di favorire e di coordinare la rinascita delle contrade cittadine.

A monte di questo progetto c’è stato un’opera studio che è servita a stabilire i confini delle contrade ed alcune modalità per la loro rinascita. Non è possibile infatti riportare alla luce tutte le contrade che esistevano nel medioevo; alcune di esse infatti sono oggi state irrimediabilmente distrutte, come la contrada di Piano di Castello su cui è stata costruita la Fortezza Medicea o quella di San Giusto, che è franata nelle Balze. Anche gli spostamenti di popolazione, che si è trasferita progressivamente in periferia svuotando il centro città, ha reso necessario realizzare un nuovo assetto delle contrade.

Per questo è stato deciso, di comune accordo anche con i membri dei comitati, di accorpare alcune contrade e di ricostruire solo sei contrade e non dodici. Le contrade scelte sono: Porta a Selci, che risulta dall’unione di Porta a Selci e Piano di Castello; Sant’Agnolo, che vede unite Sant’Agnolo e Castello; Santa Maria, che comprende le altre tre contrade del centro cittadino: Piazza, Santa Maria e Fornelli; Porta all’Arco e Sant’Alessandro rimane invece un’unica contrada; così pure è una sola contrada Santo Stefano; San Giusto comprende le antiche contrade di Pratomarzio, San Giusto e Montebradoni e Val Guinizinga. A queste contrade di città sono stati aggiunti anche gli abitati di Saline e di Villamagna, che hanno costituito ciascuno una contrada.


GLI STEMMI VECCHI E NUOVI

Con la nuova divisione delle contrade i vecchi stemmi storici non andavano più bene, pertanto sono stati studiati dei nuovi stemmi che rappresentassero le otto contrade moderne.

In generale è stato scelto di seguire un criterio pittorico più araldico, invece di quello “realista” adottato per riprodurre i vecchi stemmi storici. Per la rappresentazione degli elementi araldici sono stati riprodotti elementi di stemmi tre-quattrocenteschi realmente esistenti.

Dove era possibile sono stati mantenuti gli stemmi originali, mentre nel caso delle contrade accorpate sono stati realizzati degli “stemmi compositi”, in grado di rappresentare la storia della contrada, nei quali sono riprodotti tutti gli elementi presenti sugli stemmi storici delle contrade corrispondenti. Inoltre è stato deciso di assegnare un simbolo araldico anche agli aggregati urbani di recente istituzione che però sono divenuti una realtà fondamentale della vita volterrana. Le nuove contrade hanno preso i colori delle vecchie contrade più importanti.

Località come Colombaie e Fontecorrenti o Borgo San Lazzero, pur esistendo nella toponomastica medievale, non godevano certamente di uno stemma araldico; oggi però ospitano la maggior parte degli abitanti delle rispettive contrade, pertanto sono riprodotti sullo stemma della contrada, con dei simboli che non sono scelti a caso, ma studiati in base a situazioni simili note per altre città. Anche il modo con cui sono raffigurati è leggermente diverso rispetto alle realtà storicamente attestate.

Sappiamo che Villamagna esisteva nel medioevo ed era una realtà importante della campagna volterrana. Aveva anche uno stemma che però non si è conservato negli stemmari comunali. La scelta si è ispirata ad uno studio compiuto da uno dei vecchi parroci della frazione.

Saline non esisteva nel medioevo, dove oggi si trova questa località allora vi erano numerosi toponimi, abbiamo scelto i due di Cavallare e di Moie del Re che sono quelli più ricorrenti nei documenti. Gli elementi sono stati scelti in quanto rimandano al nome: un ponte (il Cavallare) e la caldaia del sale (per le Moie). I colori delle due contrade sono di fantasia scelti dagli abitanti delle frazioni.

© Alessandro Furiesi, ALESSANDRO FURIESI
Alabastrai Buontemponi, in “Volterra”
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PAZZAGLI Carlo, Nobiltà civile e sangue blu. Il patriziato volterrano alla fine dell’età moderna, Firenze, Olschki, 1996.